Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 11-11-2011, n. 41076

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 10.11.2010 la Corte d’Appello di Milano confermava la condanna alla pena di anni sei di reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a L.G. quale colpevole di avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, costretto, con violenza e con abuso d’autorità, la nipote M. F., minore non ancora (OMISSIS) e affetta da ritardo psicoevolutivo, a subire baci, toccamenti delle parti intime, una penetrazione manuale, rapporti orali e a compiere masturbazioni.

La Corte confermava l’affermazione di responsabilità, pronunciata dal Tribunale con argomentazioni coerenti ed esenti da vizi logici, che integralmente richiamava condividendole, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la deposizione della parte lesa, anche se rappresenta l’unica prova del fatto da accertare e manchino riscontri esterni, può essere posta a base del convincimento del giudice purchè il controllo della deposizione sia rigoroso e penetrante specie se trattasi di minore chiamato a deporre su abusi sessuali.

La corte territoriale, rilevato che la ragazza, ancor prima del contestato abuso subito dallo zio, era stata vittima di un accertato abuso sessuale commesso da un amico di famiglia (quando aveva 7/8 anni) ed era stata oggetto d’iniziative sessuali da parte di due cugini e forse del fratello maggiore, riteneva assolutamente attendibili le sue dichiarazioni accusatorie, reiterate nell’incidente probatorio del 26.05.2006, caratterizzate da coerenza, precisione, aderenza a situazioni reali, ragionevolezza, costanza nel tempo e confermate da tutti i soggetti ai quali la bambina aveva riferito quanto avvenuto con lo zio.

Le prime rivelazioni erano avvenute quando la sua affidataria ( C.F.), notandola turbata, le aveva chiesto spiegazioni e aveva appreso dalla bambina, piangente, che anche lo zio le faceva le stesse cose subite dall’altro ( T. G.).

La genesi dell’accusa, collocatasi in un ambito estraneo alla famiglia d’origine, rafforzava la credibilità della ragazza di cui nessun esperto aveva messo in dubbio la capacità di testimoniare, sebbene fosse affetta da un lieve deficit intellettivo e affettivamente immatura.

La stessa, secondo i CT del PM ( Ta. e R.) e la psicologa B., aveva un esame di realtà adeguato; era capace di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, sicchè doveva escludersi un’eventuale patologia psichica come causa di false rivelazioni.

La corte distrettuale, rilevato che le rivelazioni del febbraio 2005 riguardavano abusi attribuiti a L. risalenti al periodo (OMISSIS) e che in tale lasso di tempo la bambina non ne aveva fatto parola con alcuno, neppure agli psicologi che la seguivano, nè al GIP che, in data 12.03.2003, l’aveva sentita in incidente probatorio nel procedimento a carico del T., riteneva tale circostanza inidonea a inficiare l’attendibilità della dichiarante la cui presa di coscienza dell’abuso era progressivamente maturata "a causa della peculiare dinamica relazionale distorta instauratasi tra zio e nipote, caratterizzata da un coinvolgimento emotivo della minore in una sorta di confusione di sentimenti ingenerata dal comportamento del L. fatto di lusinghe, di ricatti affettivi, di dominio e controllo oltre che d’induzione al silenzio e di minacce".

Osservava la corte che nel c.. quaderno dei pensieri, dato a F. dalla comunità ove era stata accolta dalla fine del mese di febbraio 2005, i riferimenti al L. e al T. non consentivano illazioni su un’erronea attribuzione al primo di abusi commessi dall’altro (le due figure non erano confuse e peculiari erano gli episodi dell’una e dell’altra) e ancora che la dott. R., la C. e la dott. B. avevano notato (all’epoca dei fatti attribuiti al L.) che la bambina aveva sbalzi d’umore, aggressività, agitazione, ansia, un irrefrenabile turbamento, oltre che un crollo scolastico come risultava dalla segnalazione della psicologa G. e dell’assistente sociale Fa..

Il quadro accusatorio, infine, non era seriamente contraddetto dalle dichiarazioni di M.A. che aveva riferito sugli orari di lavoro del L. che erano compatibili col narrato della vittima.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando mancanza e manifesta illogicità della motivazione:

– con riguardo alla falsificazione delle ipotesi alternative. Era stata esclusa la possibilità di contusione tra vissuto e fantasia e tra soggetti abusanti da parte della minore, ma ciò era smentito da una serie di contraddizioni rinvenibili nel c.d. quaderno e nelle varie dichiarazioni della minore che aveva fatto delle mere congetture;

– in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della minore, affetta da deficit intellettivo, che erano contraddittorie, inverosimili e tardive. Lo stato di stress era riconducibile al trauma subito ad opera del T. e non dal L. che, dal test di Rorschach, era risultato esente da devianze sessuali. Era inoltre emerso che la ragazza era amorevole e affezionata agli zii, come riferito dalla moglie dell’imputato. Incongruo era il richiamo, in sentenza, delle dichiarazioni del M. dato che la persona offesa aveva omesso di indicare i momenti dei presunti abusi. Le confuse esternazioni sul quaderno erano prive di forza probatoria perchè non genuine nè spontanee;

– sulla mancata assunzione di prove decisive quali l’esame della parte lesa e l’espletamento di una perizia sulla sua capacità di testimoniare;

– sulla mancata applicazione dei principi della carta di Noto e del simposio di Venezia con la conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese su domande suggestive;

– sul diniego dell’attenuante del fatto di minore gravità e sulla negata prevalenza delle attenuanti genetiche sulle aggravanti.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

L’imputato, infatti, propone una diversa ricostruzione dei fatti segnalando alcuni elementi che sono stati congruamente valutati dai giudici di merito i quali hanno adottato una decisione che non presenta alcuna lacuna motivazionale, nè cadute logiche specie sull’accordata attendibilità alle dichiarazioni della persona offesa sia sotto il profilo della coerenza interna sia sui riscontri accertati.

In particolare, i predetti hanno accertato che la persona offesa è stata oggetto di abusi sessuali da parte dell’imputato che ha avuto possibilità di agire, pressochè indisturbato, approfittando del rapporto di parentela con la vittima che gli aveva consentito di avere facili contatti con la predetta.

E’ stato valutato il contenuto delle dichiarazioni accusatorie, evidenziando la casualità della genesi dell’accusa, la coerente descrizione dei fatti, la struttura logica del racconto, le caratteristiche peculiari di contestualizzazione, persistenza e coerenza dello stesso.

Quanto all’incidente probatorio, va premesso che il divieto di domande suggestive che possono falsare il risultato della prova, riguarda, ex art. 499 c.p.p., l’esame diretto del testimone.

Esse, invece, rappresentano un utile strumento di controllo dell’attendibilità del teste nella fase del controesame.

Sono sempre vietate sia nell’esame diretto che nel controesame le domande che possono nuocere alla sincerità della risposta o perchè hanno contenuto intimidatorio oppure perchè sono destinate a indurre una risposta compiacente.

Comunque non possono considerarsi suggestive le domande del giudice dirette a vincere la reticenza o la ritrosia del testimone minorenne.

Nella fattispecie, dall’esame della trascrizione dell’audizione protetta del minore, effettuata perchè è stata eccepita dal difensore l’inutilizzabilità di talune risposte, non è dato rinvenire domande suggestive o nocive, anzi dalla completa lettura della trascrizione emerge che l’esame è stato condotto senza rilievi da parte del difensore.

Rilevato, poi, che "l principi posti, in tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, dalla cosiddetta "Carta di Noto", lungi dall’avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologico dello stesso, come illustrato nelle premesse della Carta medesima" (Cassazioned Sezione 3, n. 20568/2008 RV. 239879), va osservato che la censura sollevata sul punto è assolutamente generica per la mancata specificazione di dati di riferimento.

E’ stata, quindi, coerentemente ritenuta la responsabilità, oltre che per la genesi dell’accusa raccolta dall’affidataria della minore che aveva colto il suo profondo turbamento, dalle caratteristiche delle dichiarazioni; dai riscontri provenienti da terzi che ricevevano le sue confidenze; dallo stato di sofferenza di F. riconducibile all’attualità degli abusi impostegli dallo zio;

dall’univocità delle dichiarazioni accusatorie tali da non lasciare spazi interpretativi di sorta; dalle caratteristiche personologiche di F., priva di tratti confabulatori e dotata di capacità di rendere testimonianza.

In tale contesto valutativo nessuna emergenza deponeva a favore dell’ipotesi che l’accusa frutto di invenzione o di confusione oppure che fosse ricollegabile a motivi di astio o di qualsiasi intento calunniatorio.

Non è fondata, quindi, la censura sul punto che contesta un giudizio logico e motivato del giudice d’appello che ha esaminato tutti gli elementi disponibili e considerato analiticamente le obiezioni formulate dalla difesa con esaurienti e convincenti risposte alle deduzioni della difesa, vertenti su aspetti marginali della vicenda e con la razionale esclusione di ogni profilo di non genuinità e di suggestione accusatoria.

In conclusione, non è ravvisabile il dedotto vizio di motivazione poichè questo sussiste, secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte, allorquando l’iter argomentativo che ha condotto alla decisione si dimostri incompleto, avulso dalle risultanze di causa, privo del necessario rigore, non già quando il giudice ha valutato gli elementi probatori in difformità alla ricostruzione dei fatti proposta dalla parte, alla quale non è consentito trasformare in maniera surrettizia il controllo di legittimità sul provvedimento impugnato in un giudizio di merito.

Non è, quindi, puntuale il motivo vertente sull’omessa assunzione di prova decisiva.

La motivazione della sentenza di merito deve trattare solo le prove controverse e decisive, sicchè è decisiva la prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza perchè ne intacca la sua struttura portante.

Pertanto, il riferimento a specifici atti del processo nel motivo di ricorso assume rilevanza solo se dimostri che il giudice abbia trascurato di esaminare fatti decisivi ai fini del giudizio, nel senso che se fossero stati convenientemente valutati avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata.

Nel caso di specie, la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’esecuzione di una perizia sulla M. e per esaminare nuovamente la predetta era priva di valido sostegno argomentativo e non decisiva sia perchè lo stato psichico della predetta è stato correttamente ricostruito dagli esperti in tempi prossimi all’accadimento dei fatti sia perchè l’esame espletato con incidente probatorio ha costituito, quale risultanza di strumento di prova, oggetto di valutazione, sicchè in nessun caso le prove richieste avrebbero potuto assumere rilevanza così pregnante da superare il quadro probatorio.

Peraltro, la perizia, per il suo carattere neutro sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) (Sezione 4, n. 14130/2007 RV. 236191).

Si tratta di un giudizio di fatto che, nella specie, è sonetto da adeguata motivazione, e non è, quindi, insindacabile in cassazione.

Il motivo sul diniego dell’attenuante della minore gravità è inammissibile perchè non dedotto con l’atto d’appello.

Incensurabile è il giudizio di comparazione delle circostanze, genericamente contestato in ricorso, avendo i giudici dell’appello rilevato l’assenza di circostanze per addivenire al giudizio di prevalenza tenuto conto della protrazione nel tempo degli abusi e della mancanza di resipiscenza.

Grava sull’imputato l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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