Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 11-11-2011, n. 41075

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

a) Con sentenza del 7.10.2010 la Corte di Appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari, resa in data 2.5.2008, con la quale C.A. era stato condannato alla pena di mesi 6 di arresto ed Euro 45.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c) per aver realizzato un tetto ed una copertura di veranda con solaio inclinato in totale difformità del permesso di costruire e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed ambientale (capo a) e per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per aver realizzato nello stesso immobile un vano scala esterno in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza la prescritta autorizzazione; pena sospesa e non menzione. Rilevava, preliminarmente, la Corte che gli abusi edilizi si erano protratti fino all’1 marzo 2006, quando si era proceduto al sequestro, per cui solo da tale data era cessata la permanenza del reato.

Assumeva poi la Corte, in relazione al vano scala, che, dalla deposizione dell’assistente capo Co. e dalla mancata menzione dell’opera nella richiesta di variante presentata l’11.6.2004 si evinceva che l’opera medesima era stata realizzata in epoca prossima all’accertamento, effettuato dal Corpo Forestale il 7.4.2004, per cui era inapplicabile la disciplina del condono edilizio ex L. n. 326 del 2003. In ogni caso l’intervento abusivo non era condonabile perchè realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e non potendo essere configurato come restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria.

Quanto alla realizzazione del tetto ed alla copertura della veranda, le questioni prospettate avrebbero avuto rilevanza solo in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, essendo pacifico che il condono ambientale ai sensi della predetta legge non estingue il reato edilizio. L’effetto estintivo non operava, però, neanche in relazione al reato di cui all’art. 181, non avendo il C. usufruito del procedimento previsto dalla L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 39 e non potendosi applicare neppure la disposizione di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter, non trattandosi certamente di un "abuso minore". 2) Ricorre per cassazione C.A., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, l’esercizio da parte della Corte di una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi, nonchè il vizio di motivazione.

La Corte territoriale, nel ritenere inapplicabile il condono ex L. n. 326 del 2003 "ratione temporis", non ha preso in considerazione la memoria ed i documenti depositati in data 6.5.2010 ed acquisiti con ordinanza 8.7.2010. Il C. in altro procedimento era stato imputato del reato di cui all’art. 483 c.p. (per aver dichiarato nell’istanza di condono edilizio che la struttura del vano-scala era stata ultimata in data 30.3.2003, mentre nell’istanza di variante in data 11.6.2004, non vi era alcun riferimento a tale vano, nè alla chiusura dei balconi, nè al vano con copertura inclinata). Da tale contestazione, però, il C. era stato mandato assolto, con sentenza 4.11.2009, irrevocabile il 22.1.2010. La Corte di merito ha confermato la condanna dei prevenuto, tenendo non applicabile la concessione in sanatoria, non essendo stato realizzato il vano in epoca antecedente al 30.3.2003, senza tener conto del giudicato che si era formato sul punto.

Quanto all’esistenza del vincolo di inedificabilità, la Corte territoriale non ha tenuto conto che si trattava di un intervento di modesta entità che non comportava aumento di cubatura (volume tecnico non computabile in termini di superficie e volume anche ai sensi della L.R. n. 8 del 2004).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione alla L. n. 42 del 2004, art. 181 e L. n. 308 del 2004, avendo erroneamente la Corte di merito ritenuto non applicabile, non solo il condono ambientale (decisione pur con qualche riserva condivisibile), ma neppure il disposto dell’art. 181, come modificato dalla L. n. 308 del 2004. 3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) Va ricordato che è ormai pacifico (a partire dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 21.12.1993, ric. Borgia) che il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzazione ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del- territorio). E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto amministrativo (cfr. Cass. pen. sez. 3 21.1.1997 – Volpe ed altri). Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge ( art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 2.5.1996 n. 4421 – Oberto ed altri). Tutti tali condivisibili principi sono stati ribaditi da Cass. sez. 3 n. 11716 del 29.1.2001. 3.1.1) La Corte territoriale ha ritenuto che la concessione in sanatoria non potesse produrre effetto estintivo, trattandosi di opera non condonabile, sia "ratione temporis" sia perchè realizzata in zona vincolata.

3.1.1.1) Quanto al primo profilo non vi è stata alcuna violazione del precedente giudicato.

L’assoluzione del C. dai diverso reato di cui all’art. 483 non ha alcuna incidenza in ordine alla ritenuta sussistenza del reato edilizio. Peraltro l’assoluzione dal reato di falso era intervenuta, come risulta dalla stessa motivazione della sentenza riportata nel ricorso, perchè la mancata indicazione nella richiesta di variante del vano scala, di per sè, in assenza di qualsiasi altro elemento, non consentiva di ritenere che il C. avesse dichiarato il falso nell’affermare che l’opera era stata realizzata in data anteriore ai 30 marzo 2003. La sentenza irrevocabile non aveva, quindi, in alcun modo, accertato che l’opera fosse stata realizzata entro il 31.3.2003. La Corte di merito ha ritenuto che l’opera fosse stata realizzata successivamente a tale data sulla base anche della testimonianza dell’assistente capo Co., che confortava le risultanze della richiesta di variante.

E non c’è dubbio che "In tema di condono edilizio previsto dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, conv. con modif. in L. 30 novembre 2003, n. 326; ove il reato sia stato accertato in data successiva al 31.3.2003, termine utile ai fini della condonabilità dell’opera, è onere dell’imputato che invoca l’applicazione della speciale causa estintiva provare che l’opera sia stata ultimata entro il predetto termine, fermo restando il potere-dovere del giudice di accertare la data effettiva del completamento dell’opera abusivamente eseguita" (cfr. Cass. sez. 3 n. 12919 del 20.2.2008; conf. Cass. sez. 3 n. 13071 del 19.10.1999).

3.1.1.2) In ogni caso l’opera non era condonabile perchè realizzata in zona sottoposta a vincolo.

Le opere abusive eseguite in aree sottoposte a vincolo ambientale, paesistico, idrogeologico possono, infatti, ottenere la sanatoria ai sensi della L. n. 326 del 2003, art. 2 solo per gli interventi di minore rilevanza (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria).

Questa Corte ha costantemente affermato che "in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, la disciplina dettata dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32 (conv. con modif. in L. 24 novembre 2003, n. 326) esclude del tutto l’applicazione del condono edilizio per gli abusi edilizi maggiori (nuove costruzioni o ristrutturazioni edilizie), mentre, per gli abusi edilizi minori (interventi di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria) lo consente a condizione che questi ultimi siano conformi alla norme urbanistiche ovvero alla prescrizioni degli strumenti urbanistici" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 35222 dell’11.4.2007). La Corte territoriale, con accertamento argomentato ed immune da vizi logici, ha rilevato che non si era in presenza di un intervento "minore". A prescindere da ogni questione in ordine all’esistenza di un aumento di cubatura, non è contestabile, infatti, che: a) la copertura di un vano scala determina una modificazione del prospetto e del profilo dell’edificio; b) coprire una scala con una struttura edilizia che la inglobi non costituisce nè un intervento di restauro e risanamento conservativo e neppure di manutenzione straordinaria.

3.2) Correttamente poi la Corte territoriale ha ritenuto che l’autorizzazione paesaggistica non estinguesse il reato ambientale di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e tanto meno il reato edilizio di cui al capo b.

La L. n. 308 del 2004, art. unico, comma 37 ha introdotto una ipotesi di sanatoria per lavori abusivi compiuti, in zone sottoposte a vincolo, entro il 30 settembre 2004, sempre che intervenga ex post l’accertamento di compatibilità paesaggistica.

La norma non prevede alcuna esclusione in relazione all’entità dell’abuso ("lavori compiuti su beni paesaggistici") – cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 15946 del 5.4.2006 -, ma subordina la sanatoria alla condizione che: a) le tipologie edilizie realizzate ed i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino tra quelli previsti ed assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico; b) i trasgressori abbiano previamente pagato la sanzione pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167 maggiorata da un terzo alla metà ed una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata dall’autorità amministrativa competente. Lo stesso ricorrente ha finito per riconoscere che non ricorrevano le condizioni per l’applicabilità del "condono ambientale" di cui alla L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37 (cfr. pag. 6 ricorso).

Ineccepibilmente ha ritenuto, infine, la Corte di merito che non potesse operare, neppure, l’effetto estintivo di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter (aggiunto dalla L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 36, lett. c)), stante la tipologia dell’abuso. Tale norma ha previsto una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica, sia pure a limitati casi. Stabilisce, infatti, che "ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1 quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica: 1) per il lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; 2) per l’impiego di materiali in difformità dell’autorizzazione paesaggistica;3) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3".

La Corte territoriale ha rilevato, invero, che l’intervento realizzato consisteva nella copertura di una veranda (o patio come definito nell’autorizzazione paesaggistica) che comportava la realizzazione di nuova volumetria.

3.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

3.3.1) L’inammissibilità del ricorso preclude, poi, ogni possibilità di far valere e rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata. Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent. n. 23428/2005 – Bracale), L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi, invero, "in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale".

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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