Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-07-2011) 11-11-2011, n. 41007

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che ha dichiarato prescritti i reati commessi fino al 13.04.2003, pertanto rideterminando le pene e confermando nel resto la sentenza del Tribunale di Lodi del 21.09.2009, ricorrono gli imputati indicati in epigrafe chiedendo l’annullamento della sentenza, per i motivi per ciascuno di seguito indicati:

N..

Deduce cinque motivi di ricorso:

a) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), per difetto di querela in ordine al reato di appropriazione indebita ascrittagli al capo 2), dovendosi escludere l’aggravante di cui all’art. 11 c.p. che non può trovare applicazione nel caso in esame perchè la condotta di appropriazione del denaro confluito nella disponibilità del N. è stata esercitata su beni (i conti correnti) dei clienti della banca in ordine ai quali non rileva il rapporto funzionale con la banca;

b) la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a), per violazione delle norme sul concorso di persone nel reato giacchè non è stato provato un contributo causale, nè oggettivo nè soggettivo, del N. nell’illecito perchè la motivazione della Corte è relativa al fatto che il N. non poteva non sapere;

c) la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a) e lett. e), con un giudizio che fa generico rinvio ai parametri indicati nell’art. 133 c.p., non è stato riconosciuto il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche;

d) la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), in relazione all’art. 2 c.p.p. le dichiarazioni di B.G., che scagionavano l’amico N., sono state trasmesse alla Procura della Repubblica perchè sospettate di falso non veritiera dal Tribunale. La Corte, tuttavia ha ritenuto di non dover sospendere il giudizio a carico di N. violando così il principio di unicità della giurisdizione. e) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè "l’iter argomentativo è privo di ogni congruenza logica e giuridica perchè dalla lettura degli atti è pacifico che viene posto a fondamento del giudizio di responsabilità del N., elementi che non hanno trovato riscontro nelle risultanze istruttorie", tale è, letteralmente, il motivo di ricorso. Lamenta il ricorrente che le valutazioni che la Corte fa sui cospicui accrediti che B., nel proprio esclusivo interesse, faceva alla Golf S. Anna SpA, affermando che in nessun modo tali accrediti riguardavano N., che era del tutto estraneo alla predetta società non corrispondono al vero perchè N. aveva acquistato un immobile dalla società e, pertanto, non era B. che utilizzava i proventi realizzati sul conto corrente del N. ma era quest’ultimo che con la cifra versata alla società intese pagare l’immobile acquistato, perchè la Corte non ha correttamente valutato le operazioni fatte con la società Sant’Anna.

P..

Deduce due motivi di ricorso:

a) In relazione al capo 23, il ricorrente lamenta la mancanza ed il travisamento della prova in ordine alle circostanze di fatto e la contraddittorietà della motivazione sotto un duplice profilo:

a1. L’accusa riguarda l’appropriazione di 120.000 Euro relativi ad una parte dell’upfront spettante alla Popolare di Lodi per la vendita a Banca Akros di una opzione per 10 milioni di azioni TIM per la quale Banca Akros aveva corrisposto alla Popolare di Lodi un upfront di Euro 3.400.000,00. L’operazione sarebbe stata realizzata in base ad un accordo intercorso fra il direttore finanziario di BPL B.G. e vari clienti,finanziati dalla banca stessa, cui veniva accreditato parte del ricavato. Tuttavia, secondo il ricorrente, la Banca non versò una lira per la suddetta operazione che secondo la prassi bancaria venne effettuata a zero cost, senza esborso di denaro e fu realizzata per autofinanziare un’ altra operazione della stessa specie. E’ poi errato sia attribuire al P. il ruolo di complice ideale del trio B., F. e S. con la messa a disposizione del proprio conto corrente per effettuare le lucrose operazioni finanziarie con l’impiego di denaro dell’istituto di credito sia che fu utilizzato, nelle operazioni finanziarie pilotate, un affidamento di Euro 500.000, in seguito anche ampliato, destinato all’acquisto di immobili perchè,come emerge dalla testimonianza S., l’affidamento fu erogato proprio per operazioni mobiliari, sicchè è stato travisato non solo il disinvolto ampliamento del fido ma anche il suo successivo utilizzo per scopo diverso da quello per il quale era stato erogato. a2) In ordine al capo 25, relativo all’accusa di essersi appropriato della somma complessiva di Euro 1.102453,34, derivanti dalla vendita di dossier titoli appartenenti a L.S., S. O. e T.S., con un primo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge penale, in specie l’art. 646 c.p..

Secondo il ricorrente il denaro impiegato nelle operazioni finanziarie relative ai dossier titoli non era della banca ma dei singoli clienti cui i dossier si riferivano, che, anche se affidati, rischiavano in proprio nell’operazione. Non è stato infatti provato che il denaro perso dai predetti clienti e riconosciuto al P. derivasse da accreditamenti effettuati dalla banca invece che da utili conseguiti in seguito ad operazioni di compravendita di titoli.

A favore di tale tesi, infatti, milita la circostanza che, come dichiarato da B., le operazioni finanziarie erano state concepite per finanziare la Banca nell’aumento di capitale e per sostenere il titolo BPL sul mercato immobiliare. La Corte d’appello non ha considerato che una volta impiegato il denaro dell’affidamento nell’acquisto dei titoli esso non poteva più essere attribuito alla Banca e diventava di esclusiva pertinenza del cliente. I titoli, infatti, come risulta dalla contabilità dell’Istituto di credito e come dichiarato dal teste S., non erano nel conto economico della banca e risultavano attribuiti ad altri clienti. Ne risulta smentita l’accusa di appropriazione indebita di cose della Banca e la motivazione della sentenza appare contraddittoria, al pari della parte in cui si afferma che il denaro era della banca e che O.L. e T. avevano avuto una funzione di meri prestanomi. La Corte, nella ricostruzione di questa vicenda si avvale delle dichiarazioni del B. che viene, tuttavia, ritenuto credibile solo quando afferma cose che si risolvono in accuse per il P.. Infatti la Corte territoriale, nel ricostruire i fatti, attribuisce al B. la condotta di interversione del possesso del denaro della Banca quando lo ha attribuito ai conti correnti dei singoli clienti ed utilizzato per gestire le operazioni che si sono risolte in un guadagno per il P.. Quest’ultimo non ha avuto un ruolo effettivo nell’azione, che è stata integralmente gestita da altri, ed è stato ritenuto consapevole della effettiva provenienza del denaro attribuitogli pur in mancanza di prova di tale consapevolezza ed anche se nelle sue dichiarazioni B. aveva scagionato il P., come è emerso all’udienza del 27.11.2008.

B., infatti, aveva giustificato gli accreditamenti sul conto del P., come forme di riconoscimento di debito per la mancata effettuazione di operazioni finanziarie, disposte personalmente dal cliente ma non eseguite dall’ufficio da lui diretto ,a causa della gestione caotica del lavoro determinatosi nell’area finanziaria della banca in virtù delle operazioni finanziarie, in misura assai rilevanti, poste in essere.

Tale versione fornita dal B. è stata ritenuta credibile dalla Procura della Repubblica di Lodi per il cliente V. che si trovava nella medesima situazione processuale del P. ma, la cui posizione processuale, a differenza di quella del P., è stata archiviata.

Con motivazione contraddittoria e illogica, però, la Corte di merito, pur avendo ravvisato credibili le dichiarazioni del B. con riguardo ai fatti relativi al V. non ha attribuito altrettanta credibilità alle dichiarazioni del B. quando spiega quanto accaduto al P., giustificando tale valutazione con la circostanza che V. si era accorto dell’errore ed aveva formalmente chiesto spiegazioni a riguardo alla Banca, così inducendo il B. a riconoscergli il mancato conseguimento degli utili.

Il discorso della Corte tuttavia è contraddittorio perchè lo stesso metro di giudizio non è stato applicato al caso N. ed al caso M..

Ma le dichiarazioni di B. che scagionano il P. sono state riscontrate da convergenti dichiarazioni dell’imputato che ha affermato che era lui stesso ad ideare operazioni di Put and Cali che poi proponeva al settore Finanziario della Banca ed hanno trovato riscontro anche nelle dichiarazioni di S.. b) Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 110 c.p. ed il vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità: la Corte di merito ha individuato il momento dell’interversione del possesso, elemento qualificante la fattispecie di appropriazione indebita, nel momento in cui le somme rivenienti dalle predette operazioni sono state accreditate sul conto del P. e ciò in virtù dell’accordo intercorso con il B., che giustifica il concorso nell’azione di quest’ultimo.

Tuttavia dal dibattimento non è emersa alcuna prova di tale accordo e pertanto non è stato provato il concorso di P. nella condotta appropriativa posta in essere dal solo B.. c) Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione per travisamento e contraddittorietà in relazione ai motivi aggiunti di appello, depositati il 19.11.2010. La Corte, infatti, li ha ritenuti infondati affermando che essi costituiscono la prova che P. partecipava attivamente alle operazioni di gestione delle operazioni, non rendendosi conto che i predetti documenti non provenivano dal P. ed erano stati estratti dal fascicolo del P.M. che li aveva acquisiti presso la Banca.

Con memoria depositata in udienza il difensore del P., avvocato Cesare Cicorella ha avanzato istanza declaratoria di prescrizione del reato che sarebbe maturata, tenuto conto dei periodi di sospensione,il 5.7.2011.

P..

Deduce, con motivazione unica ed estesa, che la sentenza della Corte d’appello è ingiusta e gravatoria perchè non ha considerato gli aspetti contraddittori insiti negli elementi di prova posti a base della condanna di primo grado. In particolare non ha tenuto nella debita considerazione che le affermazioni dell’audit interno all’istituto di credito e le dichiarazioni rese dal ragionier S. sono interessate e volte a scagionarsi dalle responsabilità nella determinazione degli ammanchi che hanno gravato sul patrimonio dell’Istituto. La motivazione della Corte è perciò viziata da travisamento dei fatti ,non essendo stato provato che P.G. avesse ricevuto le notizie relative al conto corrente che formalmente gli era intestato ma che veniva gestito, al pari dei Euro 5.000.000 di affidamento concesso dalla Banca popolare di Lodi su quel conto, da S., B. e F..

Secondo il ricorrente, con motivazione illogica e carente, la Corte ha utilizzato solo gli elementi che servivano a giustificare l’affermazione di responsabilità, travisando il valore dell’evidenza, interna alla banca, dell’invio delle comunicazioni relative al conto corrente incriminato al titolare P. alla quale ha attribuito il significato equivalente ad una effettiva ricezione della stessa da parte del P.; travisando le evidenze documentali ha ritenuto che quest’ultimo avesse firmato disposizioni di prelievi sul conto, cosa mai avvenuta ed ha imputato al P. il mancato disconiscemento dei prelievi senza considerare che l’imputato non poteva disconoscere ciò che ignorava essere stato disposto. La motivazione, è,inoltre carente perchè non spiega perchè le dichiarazioni di S. sono più credibili di quelle di B., che sul P., i due dicono cose diverse; nè spiega perchè sia stata disconosciuta la manleva fornita dalla Banca Popolare di Lodi sul conto incriminato; nè motiva in cosa si sostanzia l’impossessamento da parte del P., che aveva solo consentito a fungere da intestatario del conto che, nella realtà, è stato da altri gestito.

In realtà al P. doveva essere imputato solo l’insider trading commesso dai vertici della Banca in suo favore non essendovi prova dell’impossessamento che solo giustifica la condanna per appropriazione indebita, tenuto anche conto del fatto che la Corte ha utilizzato elementi che non sono presenti nei capi di imputazione, quale l’affidamento per cinque milioni di Euro che rendeva possibili le operazioni finanziarie orchestrate dal trio B., F. e S..

R..

Deduce tre motivi di ricorso:

a) con il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione al comma 2 del predetto articolo e la nullità del decreto di citazione a giudizio. Lamenta il ricorrente che con l’imputazione ascritta al R., non è stata individuata, in forma piana, l’azione propria del delitto di appropriazione indebita perchè la condotta tipica del reato, nonostante la precisazione della Corte che ha puntualizzato che ove è scritto si "impossessava" deve intendersi si "appropriava" rimane incerta; certo è solo che R. non ha partecipato agli accordi spartitori, come emerge dalla testimonianza S. e dalle stesse dichiarazioni di B.; non è, comunque, possibile individuare nell’imputazione quale sia l’apporto causale fornito dalla condotta del R. ai fatti ideati e gestiti da B. sicchè deve considerarsi indeterminato il fatto ascritto al R. sia riguardo alle condotte esecutive, sia al tempo di commissione, sia alla realizzazione del reato. b) Con il secondo motivo lamenta la violazione della norma penale sostanziale in relazione agli artt. 110 e 646 c.p.. La qualificazione dei fatti ascritti al R. è errata; R. è estraneo al mondo bancario e al sistema delle partite viaggianti attuato dal B.. La sua responsabilità sta, solo, nell’accordo fatto con il B. secondo il quale si impegnava a mettere a disposizione del B. il conto corrente che aveva acceso presso la Popolare di Lodi: ma tale azione, di pura ricezione di denaro provento dell’appropriazione indebita commessa dal B., andava qualificata come ricettazione, ma per poter concretamente ipotizzare R. autore della ricettazione occorre superare il fatto ch’egli è stato accusato del concorso nell’azione del B. e che non vi è prova della sua consapevolezza della provenienza illecita del denaro. c) Con il terzo motivo lamenta l’illogicità e carenza della motivazione. La responsabilità del R. è stata affermata anche se B. lo ha scagionato.

Il Tribunale ha, infatti, ritenuto B. teste non credibile.

Tuttavia, successivamente, B. è stato assolto dalla imputazione di falso ma ciò non ha giovato alla posizione del R.:

quest’ultimo era stato indicato dal B. come cliente che doveva essere risarcito delle ingenti perdite subite a causa della gestione improvvida dei titoli del suo portafoglio da parte del B.. E tali perdite erano state documentate compiutamente da parte del R..

Analoghe spiegazioni del rapporto intrattenuto con M. ha fornito B. e M. è stato assolto a differenza del R., giudicato pertanto con motivazione contraddittoria.

S..

Deduce cinque motivi di ricorso:

a) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 27 Cost., artt. 40, 42, 43 c.p.; art. 533 c.p.p. per la carenza di motivazione in ordine agli elementi che identificano l’apporto causale della condotta dell’imputato, a titolo di concorso nell’azione del funzionario in assenza di qualsiasi prova di un accordo preventivo con B. o S.;

b) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per la carenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo dell’appropriazione indebita non essendo stata provata la volontà di ritenere le somme illecitamente conseguite;

c) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per la illogicità della motivazione in relazione alla mancanza di querela in relazione alla imputazione sub 10 che prevede, nella condotta posta in essere,l’utilizzo del conto corrente di un privato, cliente della banca, tale O., che era l’unico legittimato a proporre la querela, che non è stata proposta. Lamenta inoltre la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, che deve essere sempre rapportata al titolare del conto corrente, che è un privato d) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per l’erronea applicazione deH’art.69 c.p. per l’errato giudizio di bilanciamento delle circostanzi attenuanti generiche, che andavano ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti contestate. e) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p.. f) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per la violazione dell’art. 429 c.p.p. per essere l’imputazione ascritta al S. assolutamente generica.

L..

Pagine 45 e 46 utili della banca; P.G. rigetto e spese per tutti.

Motivi della decisione

N..

2. Il ricorso di N. è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

2.1 In merito alla doglianza sub a) va rilevato che già la Corte di merito ha ritenuto congrua ed esaustiva la motivazione con la quale il giudice di prime cure ha respinto l’eccezione relativa alla sussistenza dell’aggravante dell’abuso di relazione d’ufficio, affermando,in linea con la giurisprudenza di legittimità, che l’aggravante sussiste tutte le volte che coinvolti nel reato sono dipendenti dell’Istituto di credito, legati a quest’ultimo da immedesimazione organica.

2.2 Va,infatti, ricordato che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha già deciso, individuando i principi giurisprudenziali che presiedono all’interpretazione della norma, che la circostanza aggravante dell’abuso di ufficio o della prestazione d’opera, prevista all’art. 61 cod. pen., n. 11, non si riferisce soltanto ai rapporti derivanti dalla comune appartenenza dell’autore del fatto e del soggetto passivo ad un medesimo ufficio o dall’esistenza tra gli stessi di un rapporto di prestazione d’opera, ma si configura anche quando l’agente si avvale di tali situazioni per commettere il reato, strumentalizzando l’ufficio ricoperto o la prestazione svolta, potendo, inoltre, configurarsi anche per le ragioni di fiducia che l’ufficio ingenera tra chi lo esercita e il privato. Il termine "ufficio" cui fa riferimento la disposizione, inoltre, va inteso tanto nel suo senso soggettivo, come esercizio di mansioni da parte dell’agente, quanto in senso oggettivo, come luogo in cui le stesse sono svolte. Ne consegue che le relazioni di ufficio possono consistere anche in rapporti di mero fatto, indipendentemente dalla qualificazione giuridica degli stessi. Sentenza n. 42790 del 2003 rv.

227614; Sentenza n.44868 del 2004 rv 230284; Sentenza n. 97 del 1982, rv n. 156799. 2.3 A tal proposito non può sfuggire che le operazioni manipolative degli strumenti bancari, siano esse quelle di cd. "sganciamento" che le altre pure ricostruite quali modalità dell’azione criminale dai giudici di merito, erano state tutte ideate e strutturate in modo seriale dal funzionario di banca che, n ragione del suo ruolo e della sua funzione organica nell’Istituto di credito,poteva agevolmente disporre dei beni di quest’ultimo e cooptare la clientela più idonea a recepire il progetto criminale.

Determinata tale caratteristica unitaria dell’azione illecita ,non è poi consentito, secondo i principi ermeneutici già fissati da questa Corte, frazionare l’unitarietà della ricostruzione dell’azione criminosa, osì come compiutamente fatta dai giudici di merito, per isolarne singoli momenti realizzativi che assumerebbero valenze neutre, non più illecite e quindi postulabili come effettive. In altre parole è innanzitutto errato affermare che con le manipolazioni dei vari conti correnti e con gli affidamenti altrettanto fittizi , elargiti dal funzionario infedele, snodi essenziali dell’azione criminale ideata e posta in essere dal B., ci potesse essere un qualche reale effetto acquisitivo di situazioni giuridiche perchè i giudici hanno accertato che tutta l’attività era caratterizzata da illiceità e la regola fondante l’ordinamento giuridico è quella che il fatto illecito non è fonte acquisitiva diretta di diritti.

2.4 Il motivo di ricorso riguardante l’aggravante della appropriazione indebita, oltre che inammissibile perchè contrastante con i principi giurisprudenziali di legittimità lo è anche perchè formulato in modo non corretto.

Infatti, il ricorrente si limita a reiterate la doglianza nella identica forma già prospettata in primo grado: tanto viola il principio di specificità dei motivi di ricorso, in base al quale il motivo è generico ed inammissibile se non si configura come motivata critica alle argomentazioni del provvedimento impugnato ed in stretta correlazione con le stesse.

2.5 Anche la doglianza sub d) è meramente reiterativa di quella già prospettata con l’appello, in merito alla quale la Corte ha osservato che la circostanza dell’invio degli atti all’Ufficio inquirente, per la valutazione dell’eventuale rilevanza penale, non costituisce motivo codificato di sospensione del processo , non essendo prevista dalle norme, per tale situazione alcun rapporto di pregiudizialità.

E la motivazione della Corte di merito è sicuramente da condividere, come in effetti è condivisa dal collegio.

2.6 Anche gli altri motivi di ricorso sono inammissibili: quelli sub b) ed e) sono generici e versati in fatto sicchè non possono essere oggetto di giudizio di legittimità per le ragioni più diffusamente indicate per il ricorso di P.F.; la doglianza sub c) è pretestuosa perchè la Corte di merito ha specificamente motivato il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche con l’esiguità della pena inflitta e con la gravità della condotta illecita da attribuirsi ,in via diretta, anche al N..

Il ricorso N. è, pertanto, inammissibile.

P..

3. Il ricorso di P.F. è manifestamente infondato perchè, pur invocando formalmente il vizio di logicità della motivazione, nella sostanza incentra le censure su una alternativa ricostruzione dei fatti prospettante ed accreditando una diversa valutazione delle prove raccolte. Inammissibili,pertanto, si prospettano entrambi i profili di pretesa illogicità della motivazione sviluppati nel motivo sub a).

3.1 A tale riguardo è opportuno ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno affrontato il tema dei limiti del sindacato di legittimità in diverse sentenze che costituiscono il quadro di riferimento per la valutazione di ammissibilità del ricorso che denunci il vizio di motivazione.

In particolare nella sentenza n. 930 del 1995 rv 203428 si è ritenuto che " il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre." e con la sentenza n. 16 del 1996 (rv.205621) che "… la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica." E con la sentenza n. 6402 del 1997 (rv. 207944) si è anche ritenuto che "L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. "con la sentenza n. 12 del 2000 (rv. 216260) l’ambito di valutazione è stato ulteriormente messo a punto nel senso che: "In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno …" e con la sentenza n. 47289 del 2003 (Rv. 226074) si è puntualizzato che "L’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" …. ". 3.2 Orbene il ricorso del P. in nulla si conforma alle predette direttive del giudizio di legittimità perchè non individua fratture argomentative della motivazione ma si limita a sostituire il proprio ragionamento, per lo più assertivo, a quello svolto dalla Corte per accreditare una ricostruzione della vicenda più favorevole all’imputato.

3.3 Le censure, pertanto, si risolvono in mere deduzioni di fatto dirette a sovvertire le conclusioni cui perviene la Corte di merito e ad accreditare una ricostruzione alternativa dei fatti, procedendo da una diversa interpretazione degli elementi probatori sollecitando un sindacato di merito che resta precluso nel giudizio di legittimità.

Censure in fatto sono l’affermazione che " P. non rientrava nella categoria dei clienti a rendimento cd. garantitole in quelli il cui conto corrente era cd. prestato ovvero gestito da B. F. e S." (pag. 9) e che "il denaro accreditato sul conto corrente del P. non era di pertinenza della Banca ma apparteneva a L., O. e T…. A quali erano i formali titolari dei dossier ai quali appartenevano i titoli venduti ed il cui ricavato poi non è confluito sul loro conto corrente, ma su quello dell’odierno imputato…" (pag. 12) e censure inammissibili in sede di legittimità sono quelle mosse alla valutazione che la Corte di merito fa del materiale probatorio costituito dalle dichiarazioni di B..

3.4 Nessuna censura rilevabile in questa sede può infatti essere mossa alla valutazione che la Corte territoriale ha dato della credibilità del B. per talune affermazioni e non per altre, perchè le argomentazioni della Corte sono logiche e coerenti e si inseriscono in un discorso unitario che fornisce una ricostruzione ragionevole e sensata dell’attività illecita posta in essere all’interno dell’impresa bancaria e delle ragioni specifiche che hanno indotto i giudici, nell’accertamento dell’illecito, ad attribuire a taluni clienti dell’Istituto creditizio il ruolo di concorrenti.

3.5 Anche gli ulteriori motivi di ricorso sono inammissibili. Essi, infatti, presuppongono la conoscenza di una serie di atti (dichiarazioni P., dichiarazioni B., dichiarazioni S., documentazione dell’agenzia delle Entrate, documenti dell’attività bancaria e dell’impresa) che vengono richiamati per accreditare i vizi della motivazione. Tuttavia il ricorrente ha omesso di produrre o anche solo di inserire compiutamente in ricorso tali atti. Orbene, secondo la consolidata e reiterata giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti e che, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze.

3.6 E’,infatti, onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto, perchè di essi è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso.

3.7 Per completezza va rilevato che l’inammissibilità del ricorso, in ragione del mancato instaurarsi del rapporto processuale, preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità SS.UU. n. 23428 del 2005 rv 231164;

P..

4. Il ricorso è manifestamente infondato e, perciò inammissibile, perchè i motivi sono generici e perplessi e non consentono di individuare argomentate critiche a punti specifici della sentenza, così come richiesto, per l’ammissibilità dell’impugnazione dal combinato disposto dell’art. 581, comma 1, lett. c) e art. 5901, comma 1, lett. c).

4.1 Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice dell’impugnazione, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione impugnata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame. (Sentenza n. 13261 del 2003 Rv. 227195);

R..

5.Anche il ricorso del R. è manifestamente infondato.

5.1 Il primo motivo di ricorso è meramente reiterativo della doglianza già avanzata, in primo e secondo grado, ed in nessun modo prende in esame le considerazioni dei giudici di merito,che con congrue e logiche argomentazioni hanno disatteso la doglianza.

Oltretutto il motivo di ricorso è formulato in modo perplesso e pleonastico il che contrasta con il principio di specificità dei motivi di impugnazione configurato, per l’ammissibilità dell’impugnazione, dal combinato disposto degli art. 581 comma 1, lett. c) e art. 5901, comma 1, lett. c). Il motivo di ricorso, pertanto è inammissibile.

5.2 Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Infatti, anche a voler prescindere dalla mancanza d’interesse processuale a formulare un motivo di ricorso incentrato sulla sussistenza della più gravosa, per l’imputato, ipotesi di ricettazione/riciclaggio, va rilevato che i giudici di meritoria di primo che di secondo grado, hanno correttamente motivato sulla sussistenza del concorso nella complessa fattispecie di appropriazione indebita, materialmente organizzata e gestita, nella parte più incisiva, dal funzionario di banca.

Ed è di tutta evidenza che la sussistenza del concorso nel reato presupposto della ricettazione, per l’esplicita riserva contenuta nell’art. 648 c.p., esclude la configurabilità di tale ultima fattispecie criminosa.

La doglianza, pertanto, lungi dal configurare un motivo di ricorso ammissibile si atteggia come una ipotesi di ricostruzione dei fatti alternativa a quella compiutamente delineata e circostanziata dai giudici di merito. Questi ultimi, infatti, con un’ampia e puntuale motivazione, esente dai vizi tipici di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), hanno compiutamente dettagliato la rappresentazione di come si sia articolata, nell’ambito del nuovo rapporto bancario di c/c n. (OMISSIS), fattivamente, l’adesione al lucrosissimo programma criminale, di cui è buona sintesi il brano che segue: "L’accordo tra B. e R. si desume in maniera inequivoca dalla semplice considerazione che l’operazione di "sganciamento" presupponeva necessariamente l’accordo preventivo tra i due, poichè è di tutta evidenza che B., che è risultato aver disposto entrambi gli ordini (vedi fascicolo n. 11 ricognizione interna) non avrebbe mai disposto l’accredito di simile ingente somma (i due accrediti per le operazioni ai capi 26 e 27 ammontano complessivamente ad Euro 580.000,00) senza aver in precedenza preso accordi con il destinatario dell’accredito stesso, prescelto come gli altri tra i clienti più "adatti" allo scopo,ovvero soggetti in rapporto personale con almeno uno dei tre funzionali infedeli, con cui poteva essere instaurato con reciproca soddisfazione, un rapporto come quello verificato in atti, basato essenzialmente sulla fiducia del cliente titolare del conto corrente …". 5.4 Anche il terzo motivo di ricorso è assolutamente generico e,come tale inammissibile.

Infatti il ricorrente, per supportare la tesi che il R. aveva subito, nel corso degli anni, ingenti perdite patrimoniali per la dissennata gestione del direttore finanziario delle BPL, G. B. e che quindi gli accrediti sul conto corrente incriminato altro non erano che ristori informali per i danni subiti, fa continuo e generico riferimento alle dichiarazioni da quest’ultimo rese nel corso del procedimento ed alla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado , omettendo di fornire ogni puntuale indicazione degli specifici atti in cui le stesse sono inserite, per consentire a questa Corte, che non ne ha conoscenza nè ne deve avere, di valutarle compiutamente. Il motivo di ricorso pertanto, palesemente contrasta con il principio giurisprudenziale di autosufficienza del ricorso, creato da questa Corte di legittimità mediandolo dalla disciplina civilistica, e di cui sono testimonianza, tra le tante, le sentenze di seguito indicate,alle quali si fa rinvio (sentenza n. 16223 del 2006 rv 233781; sentenza n. 37368 del 2007 rv 237302;

sentenza n. 6112 del 2009 rv 243225).

S..

6. Il ricorso di S.F.G. è manifestamente infondato.

6.1 Il primo motivo di ricorso è generico perchè censura complessivamente la motivazione della sentenza senza individuare gli specifici punti della decisione, nè, rispetto a tali elementi, gli specifici motivi di diritto nè gli specifici elementi di fatto che sorreggono la censura. Inoltre nella formulazione del motivo il ricorrente, per avvalorare le censure, richiama atti del processo, senza individuarli compiutamente nè tantomeno allegarli così violando il principio di autosufficienza del ricorso e di specificità dei motivi (così come illustrati sub. 5.4 e 4.1).

6.2 Generico è anche il motivo di ricorso relativo alla mancata individuazione dell’elemento soggettivo del reato:

6.3 Il terzo motivo di ricorso, relativo alla insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 ed alla conseguente necessità della querela, è manifestamente infondato per le medesime ragioni esposte ai punti 2.1, 2.2 e 2.3 di questa motivazione, che qui integralmente si richiamano.

6.4 manifestamente infondati sono i tre motivi residui.

Le motivazioni di quelli relativi al giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche e al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., che il ricorrente addebita ad un "errore" dei giudici di appello, non sono pertinenti. Nessun errore è rilevabile, infatti, nella congrua ed ampia motivazione che ha ritenuto assolutamente congrua ,rispetto alla gravità dei fatti il giudizio di equivalenza ed ha escluso, attesa l’entità della pena irrogata, assai modesta, l’opportunità di riconoscere l’attenuante della minima partecipazione. L’ultimo motivo, che postula la genericità della formulazione delle imputazioni oltre ad essere assolutamente generico e, pertanto inammissibile, perchè rinvia ad un atto processuale che i giudici di legittimità non conoscono nè sono tenuti, a norma di legge, a conoscere, è del tutto pretestuoso perchè sulle imputazioni, e sugli aspetti tecnici ch’esse implicano, si sono espressi esaustivamente i giudici di entrambi i gradi.

L..

7. Anche il ricorso di L. è manifestamente infondato. Con il primo motivo il ricorrente contesta la credibilità delle dichiarazioni di S.S., che chiamano in correità il L., ma le contesta in modo generico e tali da non poter costituire validi motivi. Il ricorrente,infatti, non riproduce mai l’atto processuale dal quale si evincono le predette dichiarazioni, nè la individua in altro modo idoneo a renderlo integralmente conoscibile da questa Corte che, in virtù della preclusione insita nell’art., non può autonomamente prendere cognizione degli atti del procedimento penale ma solo del provvedimento impugnato, essendo il sindacato di legittimità riservato alla motivazione del provvedimento stesso.

7.1 Analoga considerazione va fatta in ordine al secondo ed al terzo motivo di doglianza, che postulano entrambi il vizio di motivazione per travisamento della prova dichiarativa, perchè basato sulla pretesa mancanza di credibilità dei testi S., B. e F..

La formulazione delle doglianze è meramente reiterativa dei motivi già formulati con l’appello, già compiutamente valutati e rigettati con motivazione congrua ed esaustiva dalla Corte d’appello. Essi , comunque, si sostanziano esclusivamente in doglianze di merito e di pura ricostruzione alternativa dei fatti, con un massiccio ricorso al contenuto delle dichiarazioni rese dai testi, riportate nell’interpretazione fattane dal ricorrente senza mai allegarne i verbali o la trascrizione integrale,in modo che la Corte ne possa percepire la manifesta illogicità.’ 7.2 A tal proposito va rilevato che questa Corte di legittimità, con una decisione che il collegio condivide e fa propria, ha già ritenuto che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e che pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze. Rv. 246552; Rv. 248192; N. 20344 del 2006 Rv. 234115, N. 16706 del 2008 Rv. 240123. 7.3 L’esame diretto degli atti,inoltre, da parte di questa Corte sarà ammissibile soltanto qualora dalla stessa esposizione del ricorrente emerga effettivamente il fumus di una illogicità della sentenza impugnata, che sia ricollegabile a un atto del processo "specificamente indicato nei motivi di gravame", ma se una siffatta illogicità non emerge dalla stessa articolazione del ricorso, l’esame diretto degli atti dovrà ritenersi precluso sulla base del citato principio. In altri termini, il ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare – sulla base del contenuto di tali atti, che devono essere "specificamente indicati" – la sussistenza ovvero l’insussistenza di un fumus di fondatezza delle doglianze in questione e, di conseguenza, l’utilità ovvero la superfluità di un esame diretto dei relativi atti.

7.4 Si deve pertanto concludere che, nel caso di specie, le risultanze processuali inadeguatamente esposte , non sono idonee a far emergere una illogicità di motivazione della sentenza impugnata e si risolvono in una ulteriore serie di censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa e alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

Il ricorso, pertanto, è inammissibile.

8. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese e della somma di Euro 1000,00 ciascuno alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *