CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 23 maggio 2011, n.11319 OPPONIBILITA’ AI TERZI DELLE CONVENZIONI MATRIMONIALI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria. La ricorrente aveva comunque interesse ad agire nel giudizio di opposizione scaturito dalla procedura esecutiva, anche in presenza di rinuncia agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 629 c.p.c., da parte di uno solo dei creditori procedenti.

Infatti, la procedura immobiliare – nonostante la rinuncia della C. – proseguiva dinanzi al Tribunale di Barcellona P.G. su impulso di Banco di Sicilia, creditore intervenuto con titolo.

Il bene sub 5 era di proprietà della L.M. in ragione di metà indivisa.

Il bene sub 4 apparteneva in ragione di 13/32 alla stessa L.M. al momento del pignoramento (1991).

Pertanto lo stesso non poteva essere sottoposto a pignoramento in tali limiti. Lo stesso era passato nel patrimonio del marito, B., solo nel 1995, cioè ben dopo il pignoramento. Invece, per effetto dell’errore iniziale, la quota di 13/32 era tuttora ricompresa nei beni pignorati ed al termine della procedura era destinata ad essere espropriata anche essa.

Il motivo é privo di fondamento.

Il Tribunale ha correttamente rilevato che la avvenuta rinuncia alla esecuzione effettuata dalla originaria creditrice pignorante determinava esclusivamente una sopravvenuta carenza di interesse ad agire nei confronti della stessa C. (salva l’applicazione del principi della soccombenza virtuale in materia di spese di lite).

Infondato é anche il secondo motivo di ricorso, con il quale la L.M. deduce, sotto diverso profilo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 nn.3 e 5 c.p.c., nonché la contraddittorietà di motivazione.

Un suo interesse ad agire – ad avviso della ricorrente – continuerebbe a sussistere anche in ordine al bene di cui al punto 4 del pignoramento, del quale, tuttavia, ella non era più proprietaria da alcuni anni.

Il tribunale ha spiegato che la L.M. era priva di ogni interesse ad agire contro tutte le parti in relazione al bene si cui al punto 4 del pignoramento, considerato che lo stesso era stato venduto al marito (debitore esecutato) diversi anni prima del pignoramento.

Donde la inammissibilità della opposizione e la mancanza di qualsiasi interesse in capo alla L.M.

Con il terzo motivo di deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 629 c.p.c. 306 c.p.c., nonché motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

La rinuncia della C. non poteva considerarsi efficace in quanto non accettata dalla L.M.

La accettazione del debitore esecutato, ad avviso della ricorrente, sarebbe necessaria secondo le disposizioni di legge richiamate.

Il quarto motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 629 c.p.c. 306 e 84 c.p.c. nonché motivazione in parte omessa, insufficiente e contraddittoria.

La rinuncia del procuratore della C. doveva considerarsi inesistente o nulla perché proposta da difensore privo della procura speciale richiesta dall’art. 306 c.p.c.

Il terzo e quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

La censura di carenza di procura speciale é inammissibile, in quanto proposta per la prima volta dinanzi a questa Corte (Cass. 12843 del 1998) da chi – come la L.M. – non era comunque legittimato a proporla.

Inoltre, la rinuncia agli atti esecutivi, non richiede accettazione da parte del debitore esecutato e del terzo opponente salvo quanto già precisato in ordine alle spese del giudizio (Cass. 1985 del 1990, 3736 del 1981).

Il quinto motivo di ricorso riguarda la violazione e falsa applicazione degli articoli 162 c.p.c., 2697 e 2700 c.c., 115, 116, 184 bis, 210 e 213 c.p.c. nonché motivazione insufficiente e contraddittoria.

La sentenza, ad avviso della ricorrente, sarebbe errata anche per avere ritenuto in opponibile a terzi la convenzione di separazione dei beni del 9 aprile 1985.

Si tratta infatti di atto pubblico e la sua produzione si era resa necessaria solo a seguito della ordinanza 6 febbraio 2008 con la quale il giudice della esecuzione aveva negato la sospensione della esecuzione. Sicché la produzione del documento integrale non poteva essere ritenuta tardiva. Del resto, la C. non aveva formulato alcuna eccezione o difesa fondata sulla pretesa mancata annotazione del regime di separazione dei beni a margine dell’atto di matrimonio.

Il giudice, pertanto, aveva finito per invertire l’onere della prova, ritenendo tardiva la produzione documentale della opponente.

La annotazione comunque esisteva ed essa era pienamente valida ed efficace, il giudice avrebbe potuto chiede la esibizione del documento ufficiale ai sensi dell’art. 210 c.p.c. o 213 c.p.c..

Da ultimo, rileva la ricorrente, un invito a produrre tale documento avrebbe potuto rimettere in termini la opponente, ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c..

Anche questa censura é priva di ogni fondamento.

Il Tribunale, con accertamento insindacabile in questa sede, ha accertato che mancava l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio della convenzione matrimoniale di separazione dei beni all’epoca del disposto pignoramento.

Lo stesso giudice, dopo aver rilevato la tardività della documentazione prodotta (dal quale peraltro non era dato comprendere in quale data fosse stata disposta la annotazione sull’atto di matrimonio) ha concluso che la opposizione doveva essere rigettata, attesa la mancata prova ad opera della opponente dell’avvenuta trascrizione della convenzione di separazione a margine dell’atto di matrimonio. Come noto, ha ricordato il Tribunale, l’art. 162 c.c. condiziona l’opponibilità ai terzi delle suddette convenzioni alla annotazione del relativo atto a margine dell’atto di matrimonio, laddove la trascrizione del vincolo stesso per gli immobili, per effetto della abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 2647 c.c., é degradata a mera pubblicità – notizia, inidonea ad assicurare detta inopponibilità (Cass. 19 novembre 1999 n. 12864).

Il rigetto dei motivi che precedono determina l’assorbimento dell’ultimo motivo, con il quale si censura la violazione dell’art. 91 c.p.c., sotto il profilo che le spese del giudizio avrebbero dovuto essere poste a carico della controparte.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 1.700,00 (millesettecento/00) di cui Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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