Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
L’impresa edile Giannecchini Enzo e Geragioli Alfiero snc. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Lucca, la E.L.C.E. Costruzioni Edilizie per sentirla condannare al pagamento di Euro 15.529,13 per le opere edilizie realizzate in favore di quest’ultima in esecuzione di un appalto, nonchè al risarcimento del danno per recesso ingiustificato.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, la quale contestava la domanda attorea e formulava domanda riconvenzionale di risarcimento danni per i vizi e le difformità delle opere eseguite.
Il Tribunale di Lucca con sentenza del 24 novembre 2005 rigettava le domande dell’attrice e, accogliendo la domanda riconvenzionale, condannava la Giannecchini e Geragioli al risarcimento dei danni liquidati un Euro 39.943,35 per i vizi delle opere inerenti al fabbricato e di Euro 41.543,79 per i vizi riguardanti il muro di contenimento in cemento armato.
Avverso tale decisione proponeva appello la società Giannecchini e Geragioli lamentando che il Tribunale non aveva tenuto conto dei corrispettivi ad essa dovuti pur essendo questi del tutto pacifici, aveva omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di indennizzo conseguente al recesso ingiustificato della committente ex art. 1671 cod. civ. aveva di contro accolto una domanda riconvenzionale tardiva e, comunque, infondata nel merito. L’appellante rilevava, inoltre, la decadenza della controparte dalle garanzie di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., risalendo la prima contestazione delle opere al 1989 e deduceva, in particolare, l’esclusione della propria responsabilità con riferimento alla realizzazione del muro di cemento armato, essendo stata l’opera collaudata nel 1995. Chiedeva, infine, la restituzione di Euro 105.938,42 pagati per via della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado.
Si costituiva nel giudizio di appello la E.L.C.E. Edil Lido Costruzioni Edilizie di Guidi Fiorella s.a.s (già ELCE Edilido Costruzioni Edilizie srl) negando la fondatezza del gravame ed evidenziando che i difetti riscontarti inficiavano, comunque, il preteso credito dell’appaltatore; l’appellata precisava poi di non avere mai receduto dal contratto di appalto. Confutava ancora le eccezioni di prescrizione e decadenza mosse dalla controparte e proponeva, infine, domanda riconvenzionale ritenendo che il tribunale le avesse accordato solo la metà del risarcimento spettantele.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1198 del 2010, ha ritenuto che la ELCVE non è decaduta dalla garanzia per vizi delle opere effettuate in l’esecuzione del contratto di appalto, in quanto immediatamente cointestati. Tuttavia, in merito alla responsabilità dell’appaltatore, la Corte ha distinto quella per vizi delle opere relative al fabbricato da quelle per vizi della costruzione del muro in cemento armato, poi crollato. Quanto al primo punto, il giudice di secondo grado, sulla scorta del rilievo per cui l’appellante non aveva in alcun modo contestata l’esistenza dei vizi inerenti il fabbricato riscontarti in primo grado, ha ritenuto definitivamente accertato il danno in capo all’ELCE, pari ad Euro 39.943,35. Ha proceduto, peraltro, a scomputare da questa somma dovuta all’ELCE quella di Euro 15.529,13, dovuta da quest’ultima all’appellante.
Quanto alla responsabilità per vizi delle opere concernenti il muro in cemento armato la Corte d’appello, pur ritenendo la relativa domanda risarcitoria ritualmente proposta, in quanto, essendo il crollo del muro intervenuto in pendenza di giudizio, trattavasi di una mera emendatio libelli, ha reputato, però, insussistente la responsabilità della Giannecchini e Geragioli, dovendosi ritenere quest’ultima mera esecutrice materiale di quanto disposto dal progettista. La Corte, poi, ha respinto la domanda di indennizzo per recesso ingiustificato sul rilievo che i lavori al momento del preteso recesso erano ormai conclusi per stessa ammissione della parte appellante.
La Corte territoriale ha, infine dichiarato, inammissibile la domanda di restituzione di Euro 105.938,42, in quanto proposta nella comparsa conclusionale. Quanto alle spese, la Corte fiorentina ha confermato a carico della Giannecchini e Geragioli le spese del primo grado di giudizio ed ha, invece, imputato alla ELCE quelle del secondo.
La cassazione di questa decisione è stata chiesta da ELCE di Guidi F. sas. O Edil Lido Costruzioni Edilizie di Guidi Fiorella sas. (già ELCE Edilido Costruzioni Edilizie srl) con ricorso affidato a due motivi, illustrati con memoria. La Giannacchini Enzo e Geragioli Alfiero snc. in liquidazione hanno resistito con controricorso, hanno depositato, altresì, istanza di rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 376 c.p.c. e art. 139 disp. att. c.p.c., ritenendo che l’argomento trattato sia di costante attualità in quanto l’appalto è un contratto, frequentemente, adottato nei rapporto tra i cittadini.
Motivi della decisione
Va preliminarmente evidenziato che il Collegio ha disatteso l’istanza di assegnazione alle sezioni unite senza l’adozione di uno specifico provvedimento. Come questa Corte ha già chiarito, l’istanza di parte, formulata ai sensi dell’art. 376 c.p.c. e art. 139 disp. att. c.p.c., rappresenta un mero sollecito all’esercizio di poteri discrezionali (Cass. 27 maggio 1946, n. 671), il quale, non solo non è soggetto ad un obbligo di motivazione, ma non deve neppure manifestarsi necessariamente in uno specifico esame e rigetto dell’istanza (Cass. del 14/01/2003, n. 359).
1.= Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine all’impegno assunto con il contratto di appalto, relativamente alla costruzione del muro di contenimento in cemento armato, dalla società Giannacchini e Geragioli snc. ritenuta mero esecutore d’opera, etero diretto. Errata valutazione delle risultanze istruttorie in violazione dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). In particolare, la ricorrente evidenzia come la Corte di Appello abbia in motivazione, da un lato affermato che "se l’impresa appaltatrice non è in grado di svolgere un lavoro non deve accettarlo" e, dall’altro, che "la costruzione di un muro in cemento armato costituisce all’evidenza opera isolata e banale, che in sè non pone alcun problema di discrezionalità o sensibilità costruttive, eppure, in considerazione della struttura armata che la caratterizza, richiede necessariamente il progetto di un ingegnere abilitato" per concludere, poi, che "l’impegno assunto dall’impresa a cagione della particolare fisionomia dell’opera dedotta in contratto, fosse quello di mero esecutore di qualificate direttive altrui, in funzione come si usa dire di "nudus minister". In relazione all’erronea valutazione delle risultanze istruttorie la parte ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del contenuto del contratto, ovvero lo abbia erroneamente interpretato, ignorando la previsione di diligenza nell’esecuzione dei lavori, nonchè la prevista assunzione del massimo impegno tecnico ed organizzativo.
Lamenta ancora la società ricorrente che la Corte di Appello non abbai tenuto conto del responso negativo al collaudo del muro.
1.1.= Il motivo è fondato e va accolto perchè sono sussistenti le denunciate contraddizioni della sentenza impugnata e la stessa motivazione, posta a fondamento della decisione, non appare appagante, ma, anzi, lacunosa ed inadeguata.
1.1.a).) In via preliminare, appare opportuno osservare che l’appaltatore ha il preciso obbligo, normativamente sanzionato, di eseguire le opere a regola d’arte assicurando al committente un’opera esente da vizi e garantendo allo stesso un risultato tecnico conforme alle sue esigenze ed è tenuto a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni od i vizi dell’opera.
Inoltre, l’appaltatore stante l’ obbligo di eseguire a regola d’arte l’opera commessagli, deve osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli. Con la specifica intesa che al fine di assolvere il proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, l’appaltatore è obbligato a controllare -come è già stato affermato da questa Corte (sent. N. 821 del 1983), nei limiti delle sue cognizioni tecniche, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, ai titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera senza potere invocare il concorso di colpa del progettista o del committente. E di più, come, è stato già detto da questa Corte, (Cass. 2214/1975) neppure, eventuali errori nelle istruzioni del Direttore dei Lavori esimono l’appaltatore da responsabilità, essendo egli tenuto a controllarli e correggerli, secondo diligenza e perizia e dovendo egli sempre uniformarsi alle regole tecniche.
1.1.b).= Ora, non sembra che la Corte fiorentina, nel risolvere il caso concreto, oggetto del presente giudizio, abbia tenuto conto di questi principi, pacifici in dottrina e in giurisprudenza. Infatti, la Corte fiorentina, non sembra: a) abbia tenuto conto che l’appaltatore osservando i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli avrebbe potuto e dovuto avvedersi del vizio del progetto considerato che -come emerge dagli scritti delle parti- il vizio del progetto consisteva nel fatto che il progettista aveva scritto 1,52 cmq anzichè 15,2 cmq relativamente alla trazione dell’armatura, una variazione questa assai significativa e rilevante;
b) abbia accertato se: l’appaltatore avesse manifestato il proprio dissenso in ordine al vizio di cui si dice e che fosse stato indotto ad eseguire l’opera, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo; c) abbia considerato gli ulteriori rilievi del CTU ing. M., il quale ha rilevato la mancanza di un idoneo drenaggio a tergo del muro, il che evidenzia che l’opera non era stata costruita a regola d’arte. E di più, appare erronea l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le opere relative al muro furono positivamente sottoposte a collaudo, avendo la ricorrente riportato il testo della relazione del tecnico incaricato, che si conclude con il giudizio di non collaudabilità delle opere.
1.1.c).= Per altro, non vi è dubbio che la conclusione della sentenza di appello per cui "la costruzione di un muro in cemento armato costituisce all’evidenza opera isolata e banale, che in se non pone alcun problema di discrezionalità e sensibilità costruttiva" non sembra la logica conseguenza della premessa secondo la quale "se l’impresa appaltatrice non è n grado di svolgere un lavoro non deve accettarlo". Appare, altresì, intrinsecamente contraddicono affermare che la costruzione di un muro costituiva "un’opera banale" per poi advenire alla statuizione, secondo cui l’errore materiale del progettista – che anche secondo il CTU aveva sottodimensionato la struttura armata del muro, non poteva essere rilevato dall’appaltatore.
2= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., in materia di valutazione delle prove con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2967 cod. civ., in materia di ripartizione dell’onere della prova, degli artt. 1667 e 1669 c.c. in tema di responsabilità dell’appaltatore per vizi e dell’art. 1362 c.c. in tema di interpretazione del contratto. In particolare, specifica la ricorrente la Corte fiorentina in contrasto con l’insegnamento costante della giurisprudenza, secondo la quale sussiste la responsabilità solidale dell’appaltatore con il progettista e con il direttore dei lavori in caso di errore del progetto da altri predisposto, ha escluso la responsabilità della società Giannacchini e Geragioli, per i difetti inerenti la costruzione del muro. Nè vi era prova che la società Giannacchini e Geragioli abbia agito nella costruzione del muro de quo come mera esecutrice, cioè, in condizioni di completa subordinazione alle direttive del committente. La Corte avrebbe violato, secondo la ricorrente, l’art. 2697 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova e di conseguenza gli artt. 1667 e 1669 c.c., in ordine alla responsabilità dell’appaltatore per vizi dell’opera avendo in assenza di una qualsiasi prova escluso la responsabilità della società Giannacchini e Geragioli e ritenuto che la stessa abbia agito come mera esecutrice di ordini del committente non potendosi, ciò dedurre dal solo fatto che per l’opera appaltata fosse richiesto il progetto di un ingegnere abilitato.
2.1.= Anche questo motivo è fondato e va accolto perchè nel caso di specie la Corte di Appello non ha adeguatamente valutato la rilevanza dell’errore materiale del progettista, a fronte del quale l’acritica esecuzione dell’opera da parte dell’appaltatore integra una mancanza di diligenza minima, possibile fonte di responsabilità. 2.1.a).= Va qui osservato che, quando l’opera eseguita in appalto presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione, il progettista è responsabile, con l’appaltatore, verso il committente, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, perchè l’appaltatore ed il progettista, quando con le rispettive azioni od omissioni – costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuri di che diverse, concorrono in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nell’art. 1669 cod. civ., si rendono entrambi responsabili dell’unico illecito extracontrattuale, e rispondono entrambi, a detto titolo, del danno cagionato. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, specificamente regolata anche in ordine alla decadenza ed alla prescrizione, non spiega alcun rilievo la disciplina dettata dagli artt. 2226, 2330 cod. civ. e si rivela ininfluente la natura dell’obbligazione – se di risultato o di mezzi – che il professionista assume verso il cliente committente dell’opera data in appalto.
In definitiva, va accolto il ricorso, cassata, pertanto la sentenza impugnata e il processo rinviato ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze alla quale può essere rimesso, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., il regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze, alla quale rimette, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., il regolamento delle spese, anche per il presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2012
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