Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 11-11-2011, n. 41117

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21.7.2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto da D.A. avverso l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso tribunale, in data 24.12.2009, con la quale era stata chiesta la scarcerazione ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3.

Premetteva il tribunale che al D. era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere con ordinanza del 20.3.2006 nell’ambito del procedimento cd. Arcobaleno in relazione ai reati di cui all’art. 612, comma 2, artt. 635 e 628 cod. pen., aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, procedimento nel quale il predetto era stato rinviato a giudizio e che si era concluso con sentenza di condanna di primo grado emessa il 2/2/2009. Al D. era stata, altresì, applicata la misura cautelare custodiale nell’ambito di altro procedimento, cd. Shark, in data 3/9/2009.

Il Gip aveva rigettato l’istanza difensiva di scarcerazione ritenendo infondata la prospettazione secondo la quale i fatti oggetto della seconda ordinanza cautelare erano conosciuti agli inquirenti sin dal momento dell’emissione della prima ordinanza, atteso che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia P. e N., poste a fondamento nella seconda misura, pur essendo presenti già al momento dell’emissione della prima ordinanza, avevano richiesto ulteriori indagini ai fini dell’acquisizione dei necessari riscontri avvenuta in epoca successiva.

Richiamati, quindi, i criteri ermeneutici interpretativi della disciplina di cui all’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, il tribunale riteneva che nel caso di specie, esclusa la sussistenza della connessione tra i reati oggetto di contestazione nell’ambito dei due diversi procedimenti – peraltro, non invocata dalla difesa – non era dato rilevare neppure dagli atti indicati ed allegati dalla difesa che i riscontri alle dichiarazioni dei predetti collaboratori fossero stati acquisiti già prima del 2009. Pertanto, pure alla luce delle allegazioni difensive, non poteva ritenersi provato il requisito della desumibilità dagli atti degli elementi posti a fondamento della seconda misura cautelare.

2. Avverso il citato provvedimento il D. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, lamentando, con un unico motivo di ricorso, la violazione della disciplina dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, ed il vizio di motivazione in ordine alla valutazione della documentazione prodotta ai fini della prova della sussistenza dei presupposti di cui alla disciplina della predetta norma.

Lamenta, in primo luogo, l’erronea affermazione relativamente all’asserita mancata invocazione da parte della difesa della sussistenza della connessione, atteso che, di contro, già nell’istanza avanzata al giudice procedente e richiamata nei motivi di appello era stata espressamente indicata la sussistenza della connessione, ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen.,, comma 1, lett. b), tra i reati contestati al ricorrente nei due procedimenti.

Inoltre, il ricorrente ribadisce che gli elementi fondanti la contestazione della seconda ordinanza custodiate, contenuti nell’informativa dei Carabinieri del RONO del 2009 erano contenuti già nell’informativa degli stessi Carabinieri del 2006, conosciuta ed esaminata dai pubblici ministeri. Sul punto, ad avviso del ricorrente, il tribunale ha omesso di motivare, limitandosi a richiamare le decisioni del giudice di legittimità e di quello delle leggi sulla disciplina in esame.

Motivi della decisione

1. E’ indirizzo costante quello cui si richiama l’ordinanza impugnata, S.U., n. 14535, 19/12/2006, Librato, rv. 235910, che qui è opportuno ricordare.

Nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure ( art. 297 cod. proc. pen., comma 3, prima parte). Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento riguardino, invece, fatti tra i quali non sussiste la connessione prevista dall’art. 297 cod. proc. pen.,, comma 3, la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive.

Nell’ipotesi, invece, di più ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino, invece, fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero.

Pertanto, nel caso di misure emesse in procedimenti diversi pendenti dinanzi alla medesima autorità giudiziaria in relazione a fatti non legati da connessione qualificata non opera la retrodatazione automatica se i fatti cui si riferisce la seconda ordinanza, pur fondati su elementi già presenti precedentemente, siano fondati su circostanze di fatto che "non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato";, quando, cioè, "la presa di coscienza e la elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede tempi non brevi che danno ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento penale". 2. La censura relativa alla valutazione del presupposto della connessione è assolutamente aspecifica e, pertanto sotto tale profilo il ricorso è inammissibile. In specie, il Collegio rileva che il tribunale, benchè non abbia esplicitamente argomentato sul punto, ha espressamente valutato la mancanza del presupposto della connessione. Di contro, la doglianza del ricorrente resta generica, atteso che non indica in alcun modo se ed in che modo fosse ravvisabile la connessione.

3. Quanto alla desumibilità dagli atti del precedente procedimento degli elementi posti a fondamento della seconda misura cautelare – a differenza di quanto assume il ricorrente – l’ordinanza impugnata ha esplicitato con motivazione compiuta, esente ha vizi logici e da contraddizioni la ritenuta insussistenza di detto presupposto, facendo, altresì corretta applicazione dei richiamati criteri ermeneutici.

Ed invero, il tribunale ha rilevato come la documentazione prodotta dal ricorrente fosse idonea ad attestare esclusivamente che gli investigatori avevano avviato un’intensa attività di indagine volta ad acquisire i riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori, circostanza questa neutra ai fini della valutazione in oggetto. Ha, altresì, evidenziato che ai fini della sussistenza del requisito della desumibilità non è sufficiente e che gli atti siano stati messi a disposizione del pubblico ministero ma occorre, altresì, che gli stessi siano stati in qualche modo valutati.

In conclusione, quindi, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

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