Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-05-2012, n. 7998 Cause scindibili e inscindibili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) All’inizio del 2001 i signori To.Gi. e T. I. si proclamavano proprietari di una casa sita in comune di (OMISSIS) e la signora T. di un piazzale antistante, censito quale mappale n. 103, ora 103 b, confinante con il mappa le 102 delle signore C. e O.F., sul quale insisteva un fabbricato interessato da nuovi lavori edili.

Convenivano in giudizio le suddette, per chiedere il risarcimento dei danni per varie violazioni addebitate alle convenute.

Svolgevano inoltre domande volte a negare la esistenza di servitù di passo gravante sul mappale 103, tanto meno in favore del locale caldaia situato nell’immobile di proprietà delle convenute, in corso di trasformazione.

Infine, per l’eventualità che le convenute contestassero la proprietà T. sul mappale 103, ne chiedevano l’accertamento per intervenuta usucapione.

Le signore O. resistevano in giudizio e in via riconvenzionale chiedevano il riconoscimento della comproprietà sul mappale 103 o in subordine l’accertamento dell’esistenza di servitù di passaggio costituita per usucapione in favore del mappale 103. 1.1) Il tribunale di Treviso, contumaci M., E., L. e T.R. nonchè C. ed D.Z.E., con sentenza del 31 luglio 2006 negava che la domanda di usucapione, ove tempestiva, fosse ammissibile, in quanto introdotta contro soggetti, le signore O., non formalmente proprietarie del bene.

Accoglieva invece la domanda di riconoscimento della servitù di passaggio sul fondo 103 in favore del fondo 102.

Quanto ai danni da violazione degli accordi intercorsi tra le parti per utilizzo e danneggiamento del piazzale, condannava le convenute al pagamento di lire tre milioni quale risarcimento danni.

1.2) La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 23 settembre 2009 dichiarava la nullità del capo di sentenza che aveva accertato l’intervenuta usucapione della servitù di passaggio a favore delle O. e disponeva la rimessione al tribunale di Treviso per l’integrazione del contraddittorio con l’apparente proprietario del bene servente.

Rigettava l’appello incidentale delle appellate O. relativo alla condanna risarcitoria.

Rigettava le altre doglianze indennitarie e risarcitorie degli appellanti principali To. – T., i quali avevano anche domandato che fosse determinato il contenuto della servitù di passaggio, limitandola al passo pedonale o con mezzi di piccole dimensioni, e che fosse negata la servitù per il locale caldaia.

C. e O.F. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 12 aprile 2010, articolato in 11 motivi e illustrato da memoria.

Parte intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

2) La sentenza della Corte d’appello ha rilevato d’ufficio il difetto di integrità del contraddittorio, verificatosi in primo grado "nei confronti del formale proprietario del bene".

Essa – con riguardo al solo capo di domanda concernente l’usucapione di servitù di passaggio sul mappale 103 – previa sua separazione, ha annullato il capo di sentenza e ha rimesso la causa al tribunale di Treviso ex art. 354 c.p.c..

Con i primi tre motivi di ricorso C. e O.F. lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, che la Corte di appello abbia ignorato un loro specifico rilievo di inammissibilità dell’appello, rilevabile anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c..

Deducono che con ordinanza depositata il 28 giugno 2007 la Corte veneziana aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei signori T. – D.Z. e che gli appellanti non avevano dato corso a tale adempimento.

Le censure sono fondate.

A seguito di riserva assunta il 19 giugno 2007, la Corte di appello aveva reso l’ordinanza sopraindicata, che non risulta essere stata rispettata dai signori To.Gi. e T.I., i quali in narrativa di controricorso adducono a motivo, genericamente, "l’impossibilità oggettiva e assoluta di provvedervi".

La Corte non ha indicato quali sarebbero i soggetti nei confronti dei quali integrare il contraddittorio, che il ricorso (motivo 5) individua nei signori L., intestatari del bene, contrapposti al To. in controversia per l’usucapione della proprietà dell’area. Soccorre però la sentenza di primo grado (pag. 10), dalla quale si apprende che la particella 103 era intestata a T.M. A. in L..

To. e T. resistono al ricorso deducendo che una questione processuale implicitamente disattesa dalla Corte d’appello non può essere oggetto di denuncia del vizio di omessa pronunzia, configurabile solo con riferimento alle domande di merito.

Essi sostengono inoltre che sarebbe venuto meno l’interesse ad agire delle ricorrenti O., perchè i litisconsorti "non sarebbero più tali", essendo intervenuta sentenza di usucapione a favore dei suddetti resistenti To..

Fanno riferimento al motivo 9 del ricorso principale O., svolto in via subordinata, ove si legge che nelle more del giudizio di appello era divenuta definitiva una sentenza resa nel 2008 dal tribunale di Treviso in un giudizio To. – L..

2.1) Queste considerazioni non colgono nel segno.

La questione relativa alla inammissibilità del gravame attiene al controllo circa la sussistenza di un presupposto processuale dell’azione, che rientra tra i poteri officiosi del giudice, esercitabile in ogni stato e grado del processo.

Non è chiaro dalla sentenza impugnata se il rilievo relativo all’omessa integrazione del contraddittorio sia stato ivi disatteso o trascurato, ma il profilo è irrilevante, a fronte della denuncia della violazione dell’art. 331 c.p.c., fatta valere esplicitamente nel secondo e terzo motivo e implicitamente nel primo.

La violazione, che va valutata ex ante, cioè riportandocisi al momento in cui fu commessa, in quanto potenzialmente idonea a determinare l’improseguibilità dell’appello, sussiste, giacchè la Corte d’appello ha impartito l’ordine di integrazione nel 2007 e non ha preso in esame la sentenza resa a Treviso nel 2008, in un giudizio al quale le signore O. erano estranee.

Poichè la Corte d’appello con la sentenza del 2009 ha rinviato al primo giudice per integrazione del contraddittorio con il formale proprietario del bene e tale formale proprietario era parte L., è da escludere che la Corte abbia proceduto a implicita revoca dell’ordinanza ex art. 331 c.p.c., giacchè i To., asseritamente riconosciuti proprietari per usucapione nei confronti dei L., erano ovviamente già in causa.

La rimessione al primo grado non avrebbe quindi avuto senso se si fosse inteso revocare l’ordinanza in forza di sopravvenuta nuova situazione.

2.2) Dunque, una volta tenuta ferma l’ordinanza di integrazione del contraddittorio, la Corte di appello doveva trarre le conseguenze dell’ingiustificato inadempimento di essa, dichiarando inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 331 c.p.c., comma 2.

Il Collegio si attiene infatti alla interpretazione espressa da questa Sezione (Cass. 17505/05): "In ipotesi di inscindibilità della causa ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., qualora sia stata ordinata l’integrazione del contraddittorio, l’impugnazione e1 dichiarata inammissibile se nessuna delle parti vi provvede nel termine fissato, giacchè il difetto di integrità del contraddittorio impedisce all’impugnazione di conseguire il proprio scopo. Ne consegue che il giudice d’appello non può procedere, in tal caso, alla rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., per violazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado, restando l’applicazione di tale norma preclusa dall’inammissibilità del gravame".

Questa affermazione non urta, ma si coordina, con altro principio, secondo il quale la rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., si caratterizza per la pregiudizialità dell’accertamento del vizio, che preclude l’esame del merito della pretesa (Cass. 432/03; 6666/01).

Infatti il giudice d’appello, ove sia ravvisatile ipotesi di inammissibilità del gravame ex art. 331, comma 2, deve emettere la relativa declaratoria, senza dar corso a quello scrutinio degli atti, successivo al rilievo di inammissibilità, che può portare alla rimessione ex art. 354.

Va in proposito osservato che la declaratoria attiene a giudizio al quale il terzo eventualmente pretermesso in primo grado è rimasto estraneo, sicchè la stabilizzazione di un eventuale giudicato tra le parti non può nuocergli direttamente.

2.3) L’accoglimento di queste censure cagiona l’assorbimento dei motivi da 4 a 9 e la cassazione – senza rinvio – della sentenza impugnata, limitatamente alla parte oggetto del capo di sentenza cui si riferiva la separazione del giudizio e che è oggetto di queste prime nove censure.

Giova invero precisare che il quarto motivo denunciava l’insufficienza della motivazione attinente alla rimessione ex art. 354 c.p.c..

Il quinto, evidentemente subordinato, ipotizzava l’insussistenza delle condizioni sostanziali per far luogo a detta declaratoria;

altrettanto vale per il settimo.

Anche l’ottavo motivo, ipotizzando l’inammissibilità della declaratoria ex art. 354 c.p.c. in forza di un giudicato interno sull’accertamento della servitù, esponeva ipotesi subordinata a quella principale.

Il sesto era espressamente subordinato al mancato accoglimento dei primi.

Il nono denuncia la violazione del principio di economia processuale ex art. 111 Cost. in relazione sempre alla medesima questione.

3) Devono essere invece esaminati i motivi decimo e undecimo.

Il primo di essi denuncia omessa motivazione con riferimento alla liquidazione di euro tremila quale risarcimento danni in favore di To. – T. per danneggiamenti eseguiti nel piazzale.

Le ricorrenti lamentano che si sia proceduto a valutazione equitativa e si dolgono soprattutto che sia stata omessa la valutazione della circostanza, "emersa in sede istruttoria", dell’avvenuta riparazione a cura delle stesse appellate signore O..

La censura è infondata.

La Corte ha condiviso il giudizio del tribunale che aveva fatto riferimento all’intera istruttoria svolta e aveva liquidato una modestissima somma.

Ha ribadito che la prova di gran parte dei danni lamentati non è stata raggiunta e che altri inconvenienti non eccedevano il normale livello di tolleranza che nei rapporti di vicinato aiuta a discernere l’illecito dai comportamenti non lesivi ex art. 2043 c.c.. Ha ribadito che il piazzale fu riparato a cura e spese degli appellanti.

Dunque non è vero che vi sia stata omissione di motivazione; vi è stata anzi attenzione superiore a quanto i limiti motivazionali prescritti dal codice di rito consigliano in relazione anche alla residualità della materia e alla indispensabilità di liquidazione equitativa.

3.1) Nell’undicesimo motivo parte ricorrente si duole singolarmente del fatto che nulla sia stato liquidato a titolo di danni a favore delle O., sebbene esse avessero chiesto a propria volta la condanna dei To. – T. per il comportamento ostruzionistico da essi tenuto tra il maggio e il giugno 2000.

Le signore O. lamentano che la Corte territoriale abbia dato atto della portata contrastante delle deposizioni raccolte, ma abbia poi riconosciuto solo i danni in favore di controparte.

In realtà la mancanza di prova cui fa esplicito riferimento la sentenza impugnata in ordine ai danni richiesti dalle O. va riferita alle precedenti considerazioni sulla dovuta normale tolleranza.

Il ricorso si aggrappa a testimonianze circa la presenza di un’auto To. parcheggiata nel piazzale, che avrebbe limitato l’accesso dei furgoni, e a una generica testimonianza su sospensione lavori causata forse da questo comportamento o forse da circostanze non ben precisate (la deposizione è stata infatti riportata in ricorso con inopportuni puntini di intermittenza). E’ quindi evidente come non vi fossero elementi istruttori di portata decisiva tale da far ritenere carente o mancante la motivazione della Corte d’appello circa le voci di danno apprezzabili o da liquidare.

Nel suo giudizio, congruo e logico in relazione a quanto esposto e a quanto già espresso dal giudice di primo grado, la Corte ha formulato una valutazione che, stanti i limiti della materia del contendere, non è censurabile in questa sede. Valga osservare che la stessa parte ricorrente non è stata in grado di precisare e puntualizzare nell’arco del giudizio una entità credibile dei danni che qui reclama.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso nei limiti sopra precisati e il rigetto degli ultimi due motivi, di minor portata, con la condanna dei resistenti alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso, assorbiti i motivi da quattro a nove. Rigetta il decimo e l’undicesimo.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti. Condanna i resistenti alla refusione delle spese di lite liquidate in favore di parte ricorrente in Euro 3.500,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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