Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-05-2012, n. 7994 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di P.A., proposta nei confronti della società Novartis Farma, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli dalla predetta società con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 e successive modifiche.

La Corte territoriale respingeva, preliminarmente, l’eccezione d’improcedibilità dell’appello per la mancata notifica dello stesso nel termine di dieci giorni di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2, risultando rispettato il diritto di difesa dell’appellato e non violato il criterio della ragionevole durata del processo.

Respingeva, altresì, in via pregiudiziale, la Corte del merito, l’ulteriore eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione essendo state svolte puntuali critiche alla decisione del giudice di primo grado e non incidendo, sull’idoneità dell’impugnazione, fermi restando i fatti allegati, l’abbandono dell’originaria impostazione difensiva.

Nel merito la Corte territoriale accertava che non era stata raggiunta la prova inerente la contestazione dell’addebito relativo all’effettuazione di una registrazione occulta della conversazione, svoltasi nel corso di un pranzo di lavoro, non essendo dimostrata detta registrazione e il possesso da parte del P., nell’occasione, di un registratore.

L’ulteriore addebito, concretatosi nell’aver richiesto ed ottenuto il rimborso delle spese di carburante per l’utilizzo dell’auto aziendale nel periodo gennaio 2004-novembre 2005 in misura superiore al 50% del dovuto in relazione ai chilometri percorsi, era, secondo la Corte del merito,e tardivo in relazione a larga parte del periodo preso in considerazione in ragione di un controllo mensile di legittimità della spesa e dell’esistenza di una struttura deputata al controllo contabile dei rimborsi, e generico perchè relativo ad una media di rimborsi calcolata in relazione ad un arco temporale molto ampio.

Pertanto, concludeva la Corte di Appello, andava esclusa la sussistenza della giusta causa di licenziamento.

Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di sei censure.

Resiste con controricorso la parte intimata che eccepisce, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso per la mancanza di idonea documentazione attestante la qualità di procuratori speciali di coloro i quali hanno rilasciato, in nome e per conto del legale rapp.te della società, la procura.

Parte ricorrente deposita, ex art. 372 c.p.c., documentazione relativa alla. sollevata eccezione d’inammissibilità del ricorso.

Il P. deposita memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Rileva, preliminarmente, la Corte che, alla stregua della documentazione-prodotta cit. ex art. 372 c.p.c. – l’eccezione d’inammissibilità del ricorso risulta infondata.

Invero dalla predetta documentazione risulta che D.O. ed C.E., i quali hanno rilasciato la procura per conto della società, risultano investiti del relativo potere rispettivamente dalla delibera del 26 marzo 2002 e del 27 novembre 2002 – Cfr. estratti autentici prodotti – e che il primo è altresì dirigente della società ininterrottamente dal 1 febbraio 2001 (V. attestazione autenticata dell’Amministratore delegato). Pertanto sussiste anche l’ulteriore condizione, di cui alla seconda delibera citata, secondo la quale il potere da promuovere azione… e di nominare procuratori….. dovrà esercitarsi con firma abbinata ad altro procuratore dei quali uno dovrà rivestire la qualifica di dirigente d’azienda.

Con il primo motivo del ricorso la società, deducendo violazione degli artt. 435, 153 e 154 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, assume, richiamando la sentenza del 30 luglio 2008 n. 2064 a Sezioni Unite di questa Corte, l’erroneità della sentenza impugnata in punto di ritenuta procedibilità dell’appello nonostante il mancato rispetto del termine di dieci giorni di cui al denunciato art. 435 c.p.c..

Con la seconda censura la società, denunciando violazione degli artt. 435, 153 e 154 c.p.c., in relazione agli artt. 325 e 327 c.p.c., nonchè art. 2909 c.c., prospetta che poichè il termine lungo per l’impugnazione veniva a scadenza il 25 febbraio 2009 ed entro tale data è maturato il termine di dieci giorni per la notifica del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, la sentenza di primo grado è passata in giudicato essendo la notifica dell’appello e del predetto decreto avvenuta successivamente.

Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico e giuridico vanno trattate unitariamente, sono infondate.

Invero è giurisprudenza consolidata di questa Corte che il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione all’appellato non è perentorio, e pertanto la sua inosservanza non comporta alcuna decadenza, semprechè resti garantito all’appellato uno spatium deliberano non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione, perchè egli possa apprestare le proprie difese (per tutte Cfr. Cass. 30 dicembre 2010 n. 26489).

Nè tale principio, come già rimarcato da questa Corte (Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358) è stato intaccato dalla sentenza 30 luglio 2008 n. 2064 delle Sezioni Unite della Cassazione, atteso che la stessa si riferisce al caso d’inesistenza di notificazione e non alla notificazione, come nel caso di specie, effettuata in ritardo, ossia oltre il predetto termine dei dieci giorni.

Nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite,infatti, si sancisce che nel processo del lavoro si è indubbiamente in presenza di un sistema, caratterizzato da una propria fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, che è suscettibile di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in ius, cui non può pervenirsi attraverso l’applicazione degli artt. 291 e 415 c.p.c., giacchè non è pensabile la rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, non esistendo una disposizione che consenta al giudice di fissare un termine per la notificazione, mai effettuata, del ricorso e del decreto presidenziale, e non essendo consentito, nel silenzio normativo, allungare – con condotte omissive prive di valida giustificazione e talvolta in modo sensibile, come nel caso in esame – i tempi del processo si da disattendere il principio della sua ragionevole durata.

La riaffermata distinzione, nel processo del lavoro, tra editio actionis e vocatio in ius, sia pure con il correttivo costituzionalmente orientato introdotto dalla citata sentenza n. 2064 del 2008, da conseguentemente conto, stante, nel caso in esame, la regolare vocativo in ius, della infondatezza della tesi, di cui alla seconda censura, secondo la quale la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato essendo stata la notifica dell’atto di appello, pur tempestivamente depositato, eseguita dopo il decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c.. L’avvenuta notifica dell’atto di appello, difatti, stabilizza, come ribadito dalla menzionata sentenza n. n. 2064 del 2008, gli effetti conseguenti al tempestivo deposito dell’appello.

Con la terza critica la società, allegando vizio di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 606 del 1966, art. 5 e art. 2729 c.c., sostiene, per quanto attiene l’addebito della registrazione, che la Corte del merito: travisa l’oggetto della prova ritenendo che dovesse essere dimostrato il possesso del registratore;

presuppone che la prova incombente al datore di lavoro escluda quella critica naturale, indiziaria e presuntiva; non motiva sufficientemente in ordine alla diversa valutazione della prova testimoniale operata dal giudice di primo grado; non motiva adeguatamente sulla circostanza che il cellulare del P. per l’attivazione della funzione vocale dell’agenda avrebbe richiesto una serie di operazioni.

La censura è infondata.

Va premesso che costituisce principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-forma le, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (in tal senso Cass. 12 febbraio 2003 n. 3267 e Cass. 27 luglio 2008 n. 2049).

Tanto precisato occorre sottolineare che la motivazione della sentenza impugnata, relativamente all’addebito concernente l’effettuazione di una registrazione occulta della conversazione svoltasi nel corso di un pranzo di lavoro, si basa essenzialmente sul rilievo che non risulta provata "l’avvenuta registrazione da parte del P. delle conversazioni fra i colleghi" e ciò in ragione della considerazione che nessuno dei testi escussi è stato in grado di riferire che le voci che provenivano dall’apparecchio fossero proprio quelle dei colleghi presenti al pranzo di lavoro. Nè, aggiunge la Corte del merito, vi è prova che il P. avesse con sè un registratore.

Orbene si tratta di un appressamento di fatto che in quanto congruamente motivato sfugge al sindacato di questa Corte di legittimità.

Nè al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 20 maggio 1995 n. 5748).

D’altro canto, e vale la pena di sottolinearlo, la società ricorrente non indica quali sarebbero gli elementi univoci e indiziari che non sarebbero stati presi un considerazione dal giudice del merito ai fini di una prova presuntiva.

Con il quarto motivo la società, asserendo vizio di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 2729 c.c., art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., deduce che la Corte del merito non motiva adeguatamente in ordine alla circostanza che il P. aveva sostenuto, in primo grado, un clima di ostilità diffusa nei suoi confronti non dimostrato, poi, dalle dichiarazioni testimoniali.

Il motivo non è condivisibile.

Invero la Corte del merito sul punto in questione argomenta adeguatamente rilevando che si tratta di una originaria prospettazione difensiva, poi, abbandonata che non inficia l’idoneità dell’atto di appello a raggiungere la sua funzione in ragione del denunciato mancato raggiungimento della prova in ordine alla effettuazione delle registrazioni.

Del resto spetta, a norma della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5, al datore di lavoro la prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo.

Con la quinta censura la società, prospettando vizio di motivazione e violazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 1 e della L. n. 300 del 1970, art. 7, critica la sentenza impugnata in punto di ritenuta tardiva, generica e non dimostrata contestazione della alterazione della carta carburante. In particolare denuncia la mancata valutazione della contestazione, l’illogicità della motivazione circa l’ampiezza del periodo e la non considerazione della conoscenza da parte del lavoratore degli itinerari.

La censura è infondata.

Anche in questo caso si tratta di un apprezzamento di fatto che essendo adeguatamente motivato sfugge al sindacato di questa Corte di legittimità.

Nè vi è illogicità nel ritenere tardiva la contestazione in ragione di un controllo mensile di legittimità della spesa e dell’esistenza di una struttura deputata al controllo contabile dei rimborsi. D’altro canto tale argomentazione non è inficiata dalla considerazione che la tardività è riferita a buona parte dei fatti addebitati e non a tutti. Del resto la società ricorrente non precisa in relazione a siffatti elementi per quali fatti non vi sarebbe la ritenuta tardività.

La asserita genericità, poi, non può ritenersi superata dalla semplice circostanza che il lavoratore conosceva gli itinerari atteso che la genericità è riferita dalla Corte del merito agli itinerari rispetto ai quali il consumo di benzina sarebbe stato esorbitante ed alla tabelle ACI di riferimento delle quali non è precisato se si tratta di percorsi urbani o extraurbani.

Con il sesto, ed ultimo motivo, la società, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, ed art. 1223, rileva l’omessa pronuncia da parte della corte di Appello sulla domanda di compensazione dell’allunate perceptum.

Il motivo non è accoglibile.

E’ principio acquisito alla giurisprudenza di questa Corte, infatti, che affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass. S.U. 28 luglio 2005, n. 15781).

Nella specie,invece, la società ricorrente si limita ad allegare di aver proposto in via subordinata all’eventuale accoglimento dell’appello una domanda di compensazione del risarcimento con 1’aliunde perceptum, tuttavia non spiega in quale atto del giudizio di appello ed in quali termini ha proposto la domanda di cui deduce l’omessa pronuncia.

Nè tanto è desumibile dalle conclusioni, assunte in appello dalla società, così come trascritte nel ricorso per cassazione.

Il ricorso, di conseguenza, va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per onorario oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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