Cassazione civile anno 2005 n. 1471 Ritenuta di imposta Indennità

LAVORO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
1. X X propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Torino avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della ritenuta alla fonte operata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) – di cui era stato dipendente – sulla parte dell’importo corrispostogli nel 1998 da detto Istituto, a titolo di trattamento di fine rapporto, costituita da buoni postali fruttiferi e dai relativi interessi.
Eccepì, in sintesi, che i buoni postali fruttiferi erano esenti da imposte e che, in ordine agli interessi, si era verificata una doppia imposizione, essendo stati tali interessi assoggettati a ritenuta alla fonte ai sensi del d.l. 19 settembre 1986, n. 556, convertito nella legge 17 novembre 1986, n. 759.
La Commissione tributaria adita, con sentenza depositata il 20 dicembre 2000, rigettò il ricorso.
2. Avverso tale sentenza il X propose appello limitatamente alla parte della pronuncia che aveva considerato legittima la ritenuta operata dal datore di lavoro sugli interessi maturali sui buoni postali fruttiferi, non insistendo, invece, sulla richiesta di rimborso della ritenuta effettuata sulla quota capitale dei titoli stessi.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza depositata il 17 aprile 2002, accolse l’appello, ritenendo che il calcolo dell’imposta dovesse essere effettuato sulle somme percepite dal contribuente a titolo di trattamento di fine rapporto in numerario ed in titoli, al netto degli interessi maturati sui buoni postali. Osservò al riguardo che detti interessi "non rappresentano accantonamenti dell’indennità di fine rapporto, bensì il frutto dei titoli in cui sono state investite le somme costituenti il TFR: essi, pertanto, non hanno la natura giuridica di reddito di lavoro dipendente e formano il risultato dello strumento finanziario utilizzato dal datore di lavoro per accantonare l’indennità di fine rapporto maturata". 3. Avverso la detta sentenza propongono ricorso per Cassazione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate, sulla base di un unico articolato motivo.
Il X resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. 8 giugno 1946, degli artt. 16, 17 e 48 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.
Osservano, in sintesi, che: a) come risulta dagli artt. 2 e 3 del citato D.P.C.M., nonchè da una nota del C.N.R. prodotta dallo stesso contribuente in giudizio, detto Istituto calcola annualmente, per ciascun dipendente, il rateo di indennità di anzianità maturato e lo investe in buoni postali fruttiferi, i quali sono di piena ed esclusiva proprietà dell’Istituto stesso; b) al momento della cessazione del rapporto, al dipendente spettano, a titolo di trattamento di quiescenza, somme pari al valore nominale dei titoli e gli interessi prodotti dagli stessi (al netto della ritenuta alla fonte ex d.l. n. 556 del 1986) fino al momento della cessazione del rapporto; c) per prassi, su richiesta del dipendente, in luogo delle somme anzidette vengono materialmente consegnati – come avvenuto nella fattispecie – i buoni postali fruttiferi acquistati nel corso degli anni dal CNR (una parte dei quali viene invece convertita per consentire all’Istituto il versamento delle ritenute fiscali sul TFR ed il recupero degli interessi maturandi dopo la cessazione del rapporto di lavoro); d) le ritenute fiscali sul trattamento di quiescenza vengono calcolate sul coacervo del valore nominale dei buoni e degli interessi prodotti, al netto della ritenuta fiscale alla fonte ai sensi del citato d.l. n. 556 del 1986; e) anche i predetti interessi, pertanto, compongono la base imponibile e, quali somme percepite dal dipendente in diretta ed immediata correlazione con la cessazione del rapporto, non possono non essere assoggettate ad imposizione, ex artt 16 e 17 del DPR n. 917 del 1986; f) la tassazione di detti interessi non comporta alcuna doppia imposizione, poichè la ritenuta sugli stessi ex d.l. n. 556 del 1986 riguarda il CNR, proprietario del titolo, e non già il lavoratore, e poi, come già detto, gli interessi che compongono la base imponibile del TFR sono già al netto della ritenuta medesima.
Il controricorrente, nel chiedere il rigetto del ricorso, precisa, in particolare, che, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, i buoni postali fruttiferi sono ab origine intestati congiuntamente al presidente del CNR ed al dipendente, al quale vengono poi corrisposti all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, salvo una parte che viene trattenuta dall’Istituto per assolvere all’IRPEF: di conseguenza – si osserva -, nel caso di tassazione anche degli interessi sui b.p.f., il dipendente subirebbe, come avvenuto nella fattispecie, una indebita doppia imposizione. Nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., poi, il resistente insiste sulla deduzione secondo cui, almeno per il periodo dal 1986 al 1996, nel quale gli interessi sui buoni postali – così come quelli sugli altri titoli di Stato – sono stati assoggettati a ritenuta alla fonte, si è verificata una doppia tassazione, come ha riconosciuto questa Corte nella sentenza n. 584 del 2004. 2. Il ricorso è fondato e va accolto.
Questa Corte ha già avuto più volte occasione di pronunciarsi sulla questione dell’assoggettabilità ad IRPEF della quota dell’indennità di fine rapporto corrisposta dal Consiglio nazionale delle ricerche in buoni postali fruttiferi e relativi interessi ed ha costantemente affermato il principio secondo cui, sia per la parte di indennità corrisposta in buoni postali, sia per quella costituita dagli interessi maturati sui titoli stessi – almeno su quelli emessi anteriormente alla data del 20 settembre 1986, a decorrere dalla quale detti interessi sono stati assoggettati a ritenuta alla fonte, ai sensi del d.l. 19 settembre 1986, n. 556, convertito nella legge 17 novembre 1986, n. 759 -, l’indennità medesima è soggetta ad imposizione, secondo il regime della tassazione separata, previsto per il trattamento di fine rapporto e le indennità equipollenti, comunque denominate, dagli artt. 16 e 17 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917. Tale regola, infatti, è applicabile anche quando detto trattamento non venga corrisposto interamente in denaro, ma, anche solo in parte, attraverso la consegna di buoni postali fruttiferi (con i relativi interessi), nei quali il datore di lavoro abbia investito i contributi accantonati per il trattamento di quiescenza del personale dipendente, atteso che gli importi erogati a titolo di trattamento di fine rapporto non mutano natura solo perchè corrisposti nella forma anzidetto (Cass., nn. 584, 6315, 17043, 18860, 18866, 20444 e 21508 del 2004).
Per quanto concerne più specificamente la questione – l’unica oggetto del presente giudizio – della tassabilità della quota dell’indennità di fine rapporto costituita dagli interessi maturati sui buoni postali, la citata sentenza n. 584 del 2004 – richiamata dal resistente – ha affermato il principio secondo il quale, a decorrere dall’entrata in vigore del menzionato d.l. n. 556 del 1986, che ha assoggettato a ritenuta alla fonte detti interessi, questi, al fine di evitare una illegittima doppia imposizione, sono soggetti a tassazione "limitata alla differenza tra l’aliquota applicata su tutta la detta indennità e quella relativa alla ritenuta di acconto operata al momento della riscossione degli interessi". Tale precedente è tuttavia rimasto isolato nella giurisprudenza di questa Corte, le cui pronunce successive, sopra indicate, hanno affermato la tassabilità degli interessi senza distinzioni, escludendo in alcuni casi espressamente la configurabilità di una doppia imposizione per effetto della citata normativa (v., in particolare, sentt. nn. 18866 e 20444 del 2004).
A prescindere dal rilievo che la sentenza n. 584 del 2004 sembra fondata su presupposti di fatto peculiari, il Collegio intende dare continuità al più recente ed ormai consolidato indirizzo.
Questo si fonda sulla considerazione secondo la quale i buoni postali, pur se formalmente intestati anche al lavoratore, rimangono, durante il corso del rapporto, in possesso del datore di lavoro e, quindi, gli interessi sugli stessi maturano (di regola, e salvo prova contraria) in favore di quest’ultimo e non del singolo prestatore – non sussistendo alcun titolo giuridico che valga ad attribuirne la proprietà al prestatore già in corso di rapporto – e vengono anch’essi accantonati per essere destinati a far parte dell’indennità di fine rapporto; da ciò consegue che non assume rilievo, ai fini della configurabilità di una duplicazione d’imposta, la circostanza che, ai sensi del d.l. 19 settembre 1986, n. 556 (convertito nella legge 17 novembre 1986, n. 759), gli interessi siano stati assoggettati a ritenuta alla fonte, in quanto tale imposizione ha inciso soltanto sul datore di lavoro – che deteneva i titoli – e non sul dipendente, al quale, al termine del rapporto, è stato attribuito il controvalore degli interessi maturati sui titoli al netto, e non al lordo, della detta imposizione (in tal senso, in particolare, v. la citata sent. n. 20444 del 2004).
Tali affermazioni valgono pienamente anche per il presente giudizio, nel quale il contribuente non ha fornito la prova – il cui onere a lui spetta trattandosi di azione di rimborso (v., da ult. Cass. n. 13056 del 2004) – che gli interessi sui buoni postali siano stati assoggettati, nella fattispecie, ad un particolare regime che ne prevedesse l’attribuzione, durante il corso del rapporto, direttamente a suo favore, nè – soprattutto – ha contestato la circostanza, che finisce con assumere rilievo decisivo, secondo cui gli interessi corrisposti all’atto della cessazione del rapporto, e destinati a concorrere alla formazione della base imponibile dell’IRPEF, fossero al netto, e non al lordo, della suddetta ritenuta alla fonte.
3. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non essendo, poi, necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando non dovuto il rimborso richiesto dal contribuente.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto il rimborso. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2004.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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