Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 14-11-2011, n. 41439

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 29.11.2010 la Corte di Appello di Milano confermava la condanna alla pena di mesi 4 di arresto Euro. 25.000,00 d’ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a G.L. e a C. L. quali colpevoli dei reati di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142 e 181, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (per avere, in concorso con il (non ricorrente) committente dei lavori, quali direttori dei lavori, realizzato in zona assoggettata a vincolo paesaggistico in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, lavori di disboscamento, scavo, riporto e riversamento di materiale terroso modificativi della morfologia della scarpata esistente in un’area soggetta a trasformazione per la realizzazione di 4 strutture abitative); e art. 734 c.p. per avere, mediante la realizzazione delle suddette opere, alterato la bellezza naturale dei luoghi (in (OMISSIS)).

Rilevava la corte territoriale che per la realizzazione di dette strutture, regolarmente assentite, erano stati effettuati consistenti movimentazioni di terra non autorizzati sotto il profilo ambientale.

Era stata, infatti, mutata la morfologia della scarpata ottenendo due pianori rispetto all’andamento del terreno con l’abbattimento di un bosco ceduo e con riporto di terra sopra le ceppaie degli alberi.

La qualità e le competenze professionali dei due imputati escludevano la dedotta buona fede.

Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando mancanza e/o contraddittorietà della motivazione sull’affermazione di responsabilità risultando, dalla deposizione del tecnico comunale A., che essi avevano denunciato al Comune il movimento di terra e il riporto di terra sull’area adiacente ai fabbricati in costruzione dimostrando, con ciò, di avere percepito il carattere illecito di dette operazioni e di avere adempiuto con diligenza e esperienza ai loro doveri professionali.

Chiedevano l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato perchè censura con argomentazioni palesemente illogiche e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico- giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico degli imputati e confutata ogni obiezione difensiva.

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno assolto l’obbligo della motivazione spiegando esaurientemente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo infondati i rilievi difensivi in punto di esclusione della responsabilità.

Inconsistente, infatti, è l’assunto secondo cui i direttori dei lavori avevano correttamente esercitato il compito di sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione avevano assunto la responsabilità tecnica al punto di denunciare al Comune gli illeciti inerenti al taglio del bosco e all’alterazione della morfologia della scarpata livellata sì da ottenere due balze, stante che tali operazioni erano strettamente funzionali alla realizzazione delle quattro strutture abitative da collocare necessariamente su terreni pianeggianti mediante l’alterazione artificiale della scarpata, che è una brusca rottura del profilo topografico di un terreno giacente secondo un piano inclinato.

Chiara è, perciò, la compromissione dei predetti nella commissione dei reati strumentali alla realizzazione dei fabbricati.

Non vale, inoltre, a escludere la responsabilità la tardiva manifestazione di dissenso espressa al Comune perchè "in materia edilizia grava sul direttore di lavori una posizione di garanzia in merito alla regolare esecuzione dei lavori, con la conseguenza che questi potrà andare esente da responsabilità soltanto ottemperando agli obblighi previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29 ovvero comunicando le violazioni accertate e rinunciando, in caso di totale difformità o variazione essenziale, all’incarico ricevuto" (Cassazione Sezione 3^, n. 4328/2005 RV. 233302).

Tenuto conto della sentenza n. 186/2000 della Corte Costituzionale e, rilevato che nella specie non sussistono elementi per ritenere che gli imputati abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, alla relativa declaratoria segue, ex art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento e quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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