Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 22-05-2012, n. 8070 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.A., dipendente dell’Università di Torino dal 5 marzo 1985 fino al 30 giugno 2007, inquadrato dal 15 marzo 1989 nella qualifica di collaboratore tecnico di 8^ qualifica di cui al C.C.N.L. del comparto dipendenti delle università, avendo svolto fino alla data di pensionamento la propria attività lavorativa presso una struttura ospedaliera convenzionata, era stato destinatario del decreto n. 3016/P del 13 maggio 1992 del Rettore dell’Università, di equiparazione, ai fini del trattamento economico, alla qualifica di collaboratore di 9^ livello del personale ospedaliere, equiparazione comportante l’erogazione all’interessato di una indennità di perequazione di un determinato ammontare.

In proposito, va ricordato che tale indennità di equiparazione è disciplinata dal D.P.R. (delegato) 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31, il quale prevede che "Al personale universitario che presta servizio presso i policlinici e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e le unità sanitarie locali, anche se gestite direttamente dalle università, è corrisposta una indennità…, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni ed anzianità".

La norma chiarisce poi le modalità di quantificazione dell’indennità e pone l’obbligo della relativa provvista alla struttura sanitaria che si avvale delle prestazioni del dipendente universitario.

In particolare, la norma citata prevede che "Per la parte assistenziale, il personale universitario di cui ai precedenti commi assume i diritti e i doveri previsti per il personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui alla L. 23 dicembre 1978, n. 833 e tenuto conto degli obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico. Nei predetti schemi sarà stabilita, in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione dell’indennità di cui al comma 1".

Tale disposizione va letta congiuntamente alla Legge Delega 23 dicembre 1978, n. 833, art. 39, che, a sua volta, prevede che "Al fine di realizzare un idoneo coordinamento delle rispettive funzioni istituzionali, le regioni e l’università stipulano convenzioni per disciplinare, anche sotto l’aspetto finanziario: 1) l’apporto nel settore assistenziale delle facoltà di medicina alla realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale; 2) l’utilizzazione da parte delle facoltà di medicina, per esigenze di ricerca e di insegnamento, di idonee strutture delle unità sanitarie locali e l’apporto di queste ultime ai compiti didattici e di ricerca dell’università. Tali convenzioni una volta definite fanno parte dei piani sanitarì regionali di cui all’art. 11, comma 3. Le convenzioni devono altresì prevedere che le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura che sono attualmente gestiti direttamente dall’università, fermo restando il loro autonomo ordinamento, rientrino, per quanto concerne l’attività di assistenza sanitaria, nei piani sanitari nazionali e regionali".

Infine, con decreto interministeriale 9 novembre 1982 (G.U. n. 347 del 18 dicembre 1982, S.O.), sono stati approvati, ai sensi della L. n. 833 del 1978, art. 39, u.c., sentite le Regioni, gli schemi tipo di convenzione tra regioni e università, comprendenti una tabella di equiparazione (all. D), sulla base della quale l’Università di Torino aveva appunto riconosciuto al B. nel 1992 l’equiparazione citata.

Nonostante il citato provvedimento del rettore del 13 maggio 1992, l’Università di Torino non aveva provveduto ad erogare le relative differenze retributive al B., il quale aveva pertanto promosso ricorso al Tar, dal quale aveva ottenuto nel luglio 1995 una sentenza favorevole (n. 716/95), mentre l’Università aveva, nonostante ripetuti solleciti, provveduto al relativo pagamento solo nel 1999-2000 e unicamente quanto alle retribuzioni dovute fino al 31 dicembre 1993.

Successivamente, in data 24 luglio 2001, il consiglio di amministrazione dell’Università aveva deliberato, in via transitoria e con retroattività dal 1 gennaio 1994, una nuova tabella di equiparazione tra le qualifiche del personale dell’università e quelle dei dipendenti del S.S.N. (tabella poi oggetto dell’atto di intesa 24 settembre 2001 tra Università e le ASL interessate), riducendo, alla stregua di essa, il trattamento stipendiale che sarebbe stato dovuto in base alla tabella di cui al D.I. 9 novembre 1982.

Da qui nasce, con ricorso notificato il 12 ottobre 2007, l’iniziativa giudiziaria di B.A., diretta all’accertamento del suo diritto al mantenimento, anche dopo il 31 dicembre 1993, dell’assegno corrispondente alla differenza di trattamento economico rispetto alla 9A categoria dei dipendenti sanitari, così come evoluto nel tempo, con la conseguente ricostruzione della propria posizione economica, a partire dal 1 gennaio 1994; con la condanna dell’Università a pagargli le differenze di trattamento dal 1 gennaio 1994, quantificate in Euro 109.587,91.

Le domande di B.A. sono state accolte dai giudici di merito. In particolare la Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 30 luglio 2009, ha in proposito confermato la decisione di primo grado, dopo avere respinto il motivo di appello dell’Università relativo al difetto di giurisdizione del giudice ordinario quanto alle domande riferibili al periodo antecedente il 1 luglio 1998 nonchè quello attinente la eccepita prescrizione quinquennale.

Nel merito, la Corte ha fondato l’accoglimento delle domande sulla in- terpretazione dell’art. 53 del C.C.N.L. del comparto università del 1994-1997 e dell’art. 51 del C.C.N.L. 1998-2001.

Per la cassazione di tale sentenza, l’Università degli studi di Torino ha notificato in data 8-11 febbraio 2010 ricorso, affidandolo a quattro motivi, il primo dei quali relativo alla violazione dell’art. 37 c.p.c..

B.A. ha resistito alle domande con controricorso, notificato il 10 marzo 2010, depositando altresì una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Chiamato all’udienza pubblica della sezione lavoro del 18 gennaio 2012, il ricorso è stato trasmesso, con ordinanza interlocutoria, al primo Presidente della Corte per l’assegnazione a queste sezioni unite in relazione alla proposta questione di giurisdizione e quindi trattato all’odierna udienza pubblica.

Prima di quest’ultima, B.A. ha depositato una ulteriore memoria.

Motivi della decisione

1 – Col primo motivo l’Università ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la lesione dedotta derivi dalla delibera del 2001, anzichè dal comportamento antecedente dell’amministrazione. Ne conseguirebbe il difetto di giurisdizione del giudice ordinario quanto alle pretese relative alle retribuzioni dovute per i periodi antecedenti il 1 luglio 1998, costituente, a norma del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7 (T.U. sul pubblico impiego), il cui precedente è rappresentato dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17, la data di discrimine tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria in materia di controversie relative al rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

2-11 secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2934 e 2935 cod. civ., nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la prescrizione dei crediti azionati: poichè il diritto alle retribuzioni pretese maturava giorno per giorno o comunque mensilmente, è a tale stregua che andava valutata la deduzione di prescrizione quinquennale dei singoli importi mensili.

3 – Col terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’accordo relativo al personale del S.S.N. emanato con D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 e del C.C.N.L. del comparto Università 13 maggio 2003.

In proposito, l’Università sostiene che la delibera del rettore del 1992 avrebbe costituito applicazione, in particolare, del D.P.R. n. 384 del 1990, relativo al trattamento dei dipendenti del comparto sanità, dal quale avrebbe pertanto ripetuto la limitazione temporale di efficacia (fino al 31 dicembre 1993); siffatta transitorietà sarebbe stata legata all’attesa dell’approvazione di nuovi criteri di definizione delle figure apicali del personale tecnico-scientifico delle Università, con conseguente superamento della tabella di corrispondenza di cui al D.I. 9 novembre 1982. D’altronde non sarebbe stato neppure ipotizzarle, secondo l’Università, una parametrazione delle qualifiche universitarie all’evoluzione avvenuta nell’ambito del comparto sanitario per alcune figure, quali quelle appartenenti al 9^ livello, successivamente transitate nell’area della dirigenza del personale sanitario non medico.

Da qui la necessità, oltre che l’opportunità, della elaborazione da parte dell’Università di una propria tabella di equiparazione, in attesa che il C.C.N.L. di comparto ne prevedesse una propria.

La legittimità, nel frattempo, della iniziativa autonoma dell’Università sarebbe stata del resto confermata dalla dichiarazione congiunta al C.C.N.L. del 13 maggio 2003, relativo al trattamento economico del biennio 2000-2001, con la quale era stato dalle parti precisato che "le collocazioni professionali e le corrispondenze di cui all’art. 51, comma 4, del C.C.N.L. 9 agosto 2000, si intendono quelle effettuate sulla base di provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza di cui al comma 2 dello stesso art. 57". 4 – Con l’ultimo motivo, la ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alle argomentazioni riassunte nel motivo precedente, tutte svolte anche nel grado di appello.

5 – Il ricorso non è fondato.

5.1 – Con riguardo alla questione di giurisdizione, queste Sezioni unite hanno ribadito, anche recentemente (Cass., sez. un., n. 9446 e n. 28808 del 2011), in analoghe controversie, che, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo in relazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, per individuare il giudice destinato a conoscere della causa nel caso che la lesione del diritto azionato sia stata prodotta da un provvedimento o da un atto negoziale del datore di lavoro, occorre fare riferimento alla data di quest’ultimo, anche se gli effetti della rimozione dell’atto incidano su diritti sorti anteriormente alla data del 1 luglio 1998.

In applicazione di tale principio, la decisione qui impugnata ha individuato nel provvedimento del 24 luglio 2001 – di rideterminazione retroattiva dell’indennità di perequazione – l’atto da cui è sorta per l’interessato la necessità di agire in giudizio onde ottenere l’indennità nella misura precedentemente stabilita anche per il periodo successivo al 31 dicembre 1993, per cui correttamente i giudici di merito hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario.

5.2 – L’identificazione del fatto lesivo con il predetto provvedimento dell’Università del 24 luglio 2001 comporta altresì l’esattezza della affermazione della Corte territoriale secondo cui il momento di decorrenza della prescrizione non poteva che coincidere con la data di emanazione dell’atto censurato, sì che il termine ne era risultato più volte interrotto mediante specifici atti provenienti dal lavoratore; e infatti, anteriormente a tale data, il diritto alla equiparazione al personale del S.S.N. era derivato da un esplicito riconoscimento formale da parte dell’Università, cui era conseguito anche il pagamento delle differenze stipendiali in esito ad azioni giudiziali intraprese dal lavoratore.

5.3 – Il terzo motivo è in buona parte generico e non pertinente rispetto al contenuto della decisione impugnata, sostanzialmente fondata in maniera assorbente sull’analisi delle disposizioni dei C.C.N.L. del comparto universitario relativi ai quadrienni 1994-1997 e 1998-2001.

Occorre in proposito partire dall’analisi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1 (riproducente precedenti norme di legge), secondo cui le disposizioni degli accordi sindacali recepiti in D.P.R. in base alla L. n. 93 del 1983 e le norme generali e speciali del pubblico impiego vigenti alla data del 13 gennaio 1994 "sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001".

Sulla base di tale presupposto e tenuto altresì conto di quanto disposto dall’art. 71, comma 1 del D.Lgs. citato (secondo cui "ai sensi dell’art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, cessano di produrre effetti per ciascun ambito di riferimento le norme di cui agli all. A e B al presente decreto, con le decorrenze ivi previste, in quanto contenenti le disposizioni espressamente disapplicate dagli stessi contratti collettivi"), la Corte d’appello di Torino ha proceduto in primo luogo all’esame del C.C.N.L. di comparto relativo al primo dei quadrienni indicati.

In sede di tale analisi, la Corte ha rilevato che l’art. 53 del contratto stabilisce al primo comma che "Fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50, al personale che presta servizio presso le Aziende policlinico, i policlinici a gestione diretta, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le Usl, ovvero al personale incluso nominativamente nelle convenzioni tra le università e le regioni e le Aziende policlinico, i policlinici e le cliniche convenzionate e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, continua ad applicarsi il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31".

Il comma 2, dell’articolo in esame aggiunge che "Al personale che presta servizio presso le strutture di assistenza, ancorchè non ricompreso fra quello previsto al comma 1, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al D.P.R. 3 agosto 1990, n. 319, art. 22, comma 7, con riferimento al C.C.N.L. nel tempo vigente per il comparto sanità".

All’articolo 53 del C.C.N.L. così riprodotto è stato successivamente aggiunto il 25 marzo 1997, previa autorizzazione del Presidente del consiglio dei ministri 8 novembre 1996 (vedi G.U. 14 aprile 1997 n. 86, S.O.), un terzo comma del seguente tenore:

"Le parti si impegnano alla ridefinizione, entro tre mesi dalla stipulazione del presente contratto, delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale del S.S.N., alfine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e l’inserimento delle nuove figure professionali. Le parti si danno atto che, nelle more, vengano conservate le indennità di cui al D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31, con riferimento alle collocazioni professionali alla data 31 dicembre 1995 e alle corrispondenti figure del S.S.N., anche per coloro che alla data della stipulazione del presente contratto svolgono funzioni assistenziali mediche e odontoiatriche ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 6, comma 5, e successive modificazioni".

Infine nella dichiarazione congiunta n. 1, "Le parti concordano sulla necessità di un progressivo adeguamento, in concomitanza e in linea con l’evoluzione del servizio sanitario nazionale, dell’ordinamento professionale e del sistema retributivo attualmente in essere presso le aziende universitarie policlinico, i policlinici universitari e le strutture convenzionate di ricovero e cura. Ciò nel senso di addivenire ad una ricollocazione professionale di tutto il personale ivi impiegato, che nel salvaguardare le specificità del comparto, consenta anche di recuperare l’attuale sistema retributivo fondato su indennità con funzione perequativa.

Le parti si danno reciprocamente atto che, nelle more, non possono che essere conservate le collocazioni in essere e le connesse indennità, riferite ai trattamenti del comparto sanità".

Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale e non specificatamente contestato dall’Università ricorrente, per effetto delle disposizioni contrattuali citate, non solo continuava ad applicarsi transitoriamente il D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31, ma – nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N. – venivano conservate le indennità di perequazione in godimento secondo le equiparazioni in essere.

All’epoca le equiparazioni in essere dovevano essere ampliamente differenziate da Università e Università, dato il carattere non cogente – e comunque senza sanzioni per il caso di inosservanza – del D.I. 9 novembre 1982 (peraltro non esplicitamente indicato come abrogato negli all. A e B al decreto legislativo n. 165/01) e considerata la ricaduta dell’onere economico dell’indennità di perequazione sulle regioni e sulle ASL, con le quali l’Università avrebbe dovuto stipulare in proposito apposite convenzioni.

La norma dell’art. 53 del C.C.N.L. citato aveva pertanto lo scopo di congelare provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto utili per la determinazione dell’ammontare delle indennità di perequazione nelle varie realtà geografiche, in attesa di stabilire in proposito tabelle di equiparazione uniformi a livello nazionale, che tenessero altresì conto dell’evoluzione delle professionalità e delle relative classificazioni nei comparti considerati.

Siffatto assetto viene ribadito dall’art. 51 del C.C.N.L. 1998-2001 del comparto sanità, secondo il quale:

"… 2 – Ai fini di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e di tenere conto delle evoluzioni delle professioni sanitarie, sarà definita entro 12 mesi" (termine poi prorogato dall’art. 21 del C.C.N.L. relativo al biennio economico 2000-2001 fino all’approvazione del C.C.N.L. relativo al quadriennio 2002-2005) "una tabella nazionale delle corrispondenze tra le figure professionali previste dal presente contratto e quelle previste dal C.C.N.L. del comparto sanità…

Dalla data di definizione della tabella di cui al comma 1 verrà corrisposta l’indennità di equiparazione di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, calcolata con riferimento alle corrispondenze professionali definite dalla suddetta tabella.

4 – Fino alla definizione della tabella di cui al comma 2, al predetto personale di cui al comma 1, in servizio alla data di stipula del presente C.C.N.L., continuano ad essere corrisposte le indennità di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, con riferimento alle collocazioni professionali in essere e alle corrispondenze in essere con le figure del personale del servizio sanitario nazionale e con riferimento al trattamento economico previsto dai contratti collettivi nazionali nel tempo vigenti del comparto sanità".

Infine, secondo quanto segnalato dal controricorrente già in sede di ricorso introduttivo del giudizio, il C.C.N.L. del quadriennio 2002- 2005, nello stabilire, all’art. 28, la tabella di equiparazione annunciata dai contratti precedenti, fece peraltro esplicitamente salve, al comma 6, "le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L." e dispose, al secondo comma, che le A.O.U. (Aziende ospedaliere universitarie) provvedessero alla collocazione del personale nelle fasce di equivalenza stabilite, "dopo l’applicazione del successivo comma 6…, con riferimento al trattamento economico in godimento".

Alla luce della complessa lettura della disciplina di legge e contrattuale collettiva riferita, appaiono pertanto corrette le conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata, secondo le quali l’Università di Torino non era autorizzata ad operare nel 2001 le variazioni di tabella di equiparazione incidenti sulla posizione retributiva del B., che la contrattazione collettiva di comparto, in assenza di diverse convenzioni tra Università e regione o ASL fino alla data del 31 dicembre 1995 (art. 53 del C.C.N.L. del quadriennio 1994-1997) aveva, quanto alla componente relativa alle indennità di perequazione in godimento, conservato secondo le equiparazioni in essere.

In proposito non assume infine rilievo pertinente il richiamo effettuato dall’Università alla dichiarazione congiunta annessa al C.C.N.L. di comparto relativo al biennio economico 2000-2001, secondo cui le parti stipulanti "convengono di precisare che le collocazioni professionali e le corrispondenze di cui all’art. 51, comma 4 del C.C.N.L. 9 agosto 2000" (quadriennio 1998-2001) "si intendono quelle effettuate sulla base di provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza di cui al comma 2 dello stesso art. 51".

Trattasi infatti di provvedimenti di ordine generale assunti quantomeno prima della stipulazione del C.C.N.L. relativo al quadriennio 1998-2001 (contenente la norma di salvaguardia dei livelli di equiparazione raggiunti, anche in maniera diversificata rispetto agli schemi approvati col D.I. 9 novembre 1982) e con riferimento al futuro trattamento perequativo, che l’Università di Torino non ha mai adottato, pretendendo viceversa di disporre un nuovo sistema di equiparazione in regime contrattuale collettivo di salvaguardia di quello acquisito e addirittura con effetti sul passato.

5.4 – infine, è inammissibile il quarto motivo di ricorso.

Poichè il tema affrontato è quello della interpretazione di contratti collettivi relativi al rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, che questa Corte conosce direttamente a seguito di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5, non assumono infatti autonomo rilievo le denuncie di vizio di motivazione relativamente alla interpretazione di tali norme contrattuali (arg. art. 384 c.p.c., u.c.).

6 – Concludendo, in base alle considerazioni svolte, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, il ricorso va rigettato, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, effettuato, unitamente alla relativa liquidazione, in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rigetta il ricorso, condannando l’Università di Torino a rimborsare ad B.A. le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari, oltre accessori di legge (spese generali del 12,50%, I.V.A. e C.P.A.).

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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