Cons. Stato Sez. V, Sent., 20-12-2011, n. 6697

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto il ricorso proposto dal Comune di Cazzago San Martino avverso il Piano C. approvato con delibera del Consiglio regionale 25 novembre 2004, n. VII/1114.

I Primi Giudici hanno ritenuto meritevole di positiva valutazione la censura con la quale era stata dedotta l’illegittima esclusione dalla partecipazione al procedimento di formazione del Piano del Comune ricorrente.

Segnatamente il Tribunale ha osservato che, in sede di approvazione del piano da parte della Regione, quest’ultimo ente aveva apportato delle importanti modifiche all’A.T.E.g09 e all’A.T.E. gG14, riguardanti il territorio del Comune di Cazzago San Martino e di Rovato. La rilevanza delle modifiche introdotte avrebbe imposto, a dire del Tribunale, la ripetizione della procedura al fine di consentire l’acquisizione delle relative posizioni. A sostegno dell’assunto il Giudice di prima istanza ha anche valorizzato il principio enunciato dalla IV Sezione di questo Consiglio con decisione 6 giugno 2008, n. 2743, secondo cui "ai sensi dell’art. 7 l. rg. Lombardia 8 agosto 1998 n. 14, una volta constatata l’opportunità di destinare alla creazione di una cava un territorio trascurato dalla provincia competente, la regione, che si sostituisce a quest’ultima, ha comunque l’onere di coinvolgere gli enti locali nella scelta, rimettendo, a tale scopo, gli atti alla provincia perché acquisisca il parere del comune interessato e formuli le proprie osservazioni al riguardo". Il Tribunale ha allora concluso che, nel caso di specie, la Regione avrebbe dovuto, una volta individuata la necessità di apportare modifiche con riguardo agli ATEg09 e 14 così come risultato in sede di approvazione, rimettere agli enti locali coinvolti la nuova proposta per le valutazioni di competenza.

Con separati ricorsi appellano la Regione Lombardia, la Provincia di Brescia, B. s.p.a., N. s.p.a. e C. S. P.

Resiste il Comune di Cazzago San Martino, che affida alla proposizione di appositi appelli incidentali la contestazione di alcuni capi sfavorevoli della sentenza e ripropone i motivi dichiarati assorbiti dal Primo Giudice.

All’udienza dell’8 novembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L’identità della sentenza gravata impone la riunione dei ricorsi in epigrafe specificati.

3. Va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto da C. S. P. s.r.l. posto che la legittimazione dell’appellante è fondata sulla sua qualità di impresa del settore estrattivo operante nell’ATEg14.

4. I ricorsi sono fondati.

E’, in particolare, meritevole di accoglimento la censura con la quale tutte le parti ricorrenti contestano, in punto di fatto, la sussistenza della carenza procedimentale stigmatizzata dalla sentenza impugnata.

E’ incontroversa l’affermazione, svolta dalle parti appellanti, secondo cui, nella fase tra la formulazione della proposta provinciale e la definitiva approvazione del piano da parte della Regione (in sede consiliare) si sono registrati numerosi momenti partecipativi nel corso dei quali il Comune di Cazzago ha avuto modo di esprimere le sue valutazioni non solo sulla proposta elaborata dalla Provincia ma anche sulle modifiche che l’amministrazione regionale intendeva apportare a tale atto.

Segnatamente, dall’esame della scheda della Regione Lombardia del 7.4.2004 e della scheda istruttoria allegata alla DGR 13 ottobre 2003, n, 14577 si evince che il Comune di Cazzago San Martino ha espresso la sua posizione contraria nelle date del 27.3.2003, 20.11.2003, 14.1.2004, 16.1.2204 e 24.8.2004.

Risulta vieppiù decisiva la circostanza che il Comune è stato invitato in sede di audizione presso la VI Commissione regionale prima della seduta del Consiglio Regionale convocata per l’approvazione finale e ha conseguentemente formulato osservazioni scritte.

Ora, se si considera che detto apporto partecipativo è intervento a valle del parere n. 1772 del 28.5.2003 del Comitato Tecnico Consultivo e della delibera della Giunta regionale n. 14577 del 13.10.1993, si ricava con nettezza che il Comune ha avuto modo di esprimere in modo compiuto e reiterato le proprie osservazioni in merito alle modifiche alla proposta provinciale che sarebbero state recepite dal Consiglio regionale. Ne deriva che, in coerenza con i principi di strumentalità delle forme e del raggiungimento dello scopo, è stata soddisfatta in modo pieno la finalità alla quale è preordinata l’esigenza di garantire la partecipazione degli enti locali alla formazione delle scelte regionali. Ne consegue che una ripetizione della procedura finalizzata alla nuova acquisizione dei pareri dei Comuni su modifiche dagli stessi già conosciute e valutate, avrebbe rappresentato, in questo quadro fattuale, una superfetazione in contrasto il divieto di aggravio del procedimento sancito dall’art. 1, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

5. L’accoglimento dell’appello principale impone l’esame delle censure proposte dal Comune di Cazzago San Martino con appositi ricorsi incidentali.

Non è meritevole di positiva valutazione la doglianza con la quale l’appellante incidentale lamenta che, in sede di modifica regionale della proposta provinciale, si sarebbe proceduto ad un non ammissibile stravolgimento dell’impianto complessivo del piano.

Il Primo Giudice ha correttamente osservato che l’esame delle tabelle che danno atto delle variazioni apportate alla proposta provinciale evidenzia come, nel loro complesso, le stesse non abbiano, in generale, assunto proporzioni tali da alterare in modo immotivato l’architettura dell’atto della provincia. Invero, i quantitativi estraibili sono stati aumentati, secondo la Regione, di una percentuale inferiore all’1 % (pari al 3,36 % secondo la controinteressata), la scelta di sopprimere alcuni siti di modeste dimensioni ha, naturalmente, comportato l’incremento di escavazione negli ATE 16, 17, 20, 21, 23, 26 e 34 attraverso delle modifiche che sono state definite come meramente di carattere tecnico, mentre la maggior parte degli ambiti non è stata neppure interessata da modifiche.

Ne deriva che le modifiche apportate dalla Regione, sia sul piano quantitativo che sui versanti della localizzazione e delle opzioni qualitative, rientrano a pieno nella discrezionalità attribuita alla Regione dal quadro legislativo che regola la materia.

6. Non sono fondate neanche le censure riproposte con cui sui deduce, in primo luogo, la violazione dell’obbligo di assoggettare il progetto di gestione dell’ATE 9 a VIA e, in linea subordinata, la violazione della disciplina di cui all’art. 1, comma 6, D.P.R. 12.4.1996, in tema di procedura di verifica relativa alla necessità di svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale.

Quanto al primo profilo di doglianza si deve osservare che non sussisteva nella specie l’obbligo di espletamento della procedura di VIA in quanto il progetto non supera le soglie dimensionali previste dalla normativa di cui all’allegato A., lett. q, del d.P.R. 12.4.1996, ossia 500.000 mc/annui di materiale estratto o un’estensione dell’area interessata dalla cava di 20 ettari.

La Sezione reputa che la Regione ai fini del calcolo di detto ultimo dato, abbia correttamente tenuto conto della somma delle aree destinate all’estrazione di inerti e di quelle destinate agli impianti di lavorazione e trasformazione, allo stoccaggio ed alle strutture di servizio, senza considerare le superficie, pure comprese nell’ Ambito Territoriale Estrattivo, non interessate da alcuna attività produttiva ed edilizia in quanto integranti mere superfici di raccordo tra area estrattiva e territorio adiacente (art. 6, comma 2, lett. a, della legge regionale, n. 14/1998).

A sostegno dell’assunto depone, in una con il dato letterale che richiama le attività interessate da lavorazioni a vario titolo collegate all’attività di cava, con conseguente esclusione di quelle che fungono da mera zona di salvaguardia senza essere toccate da alcuna azione manipolativa e modificativa, anche la ratio della disciplina di estrazione comunitaria che pesa la rilevanza dei progetti in relazione alle azioni positive di trasformazione idonee a ripercuotersi negativamente sull’assetto ambientale.

A sostegno dell’assunto depone anche l’indirizzo ermeneutico già tracciato, pur se con riferimento alla legislazione della Regione Veneto, dalla decisione della Sezione VI di questo Consiglio 11 ottobre 2008, n.. 5186), secondo cui "per "area interessata dalla cava", deve intendersi, non solo l’area di escavazione, ma l’intera area destinata ad attività di cava, comprensiva, oltre a quella dello scavo, anche di quella di accumulo dei materiali, di manovra e di carico e scarico, in quanto comunque funzionale all’attività di cava. Tale interpretazione è avvalorata dalla ratio della norma volta a porre limiti all’attività di cava in considerazione dell’impatto ambientale che la stessa può avere. Sotto questo profilo, il Collegio ritiene che l’impatto sul territorio dipenda non solo dall’area strettamente destinata all’escavazione, ma dall’intera area funzionale all’attività di cava, la quale risulta oggetto di lavorazione e di trasformazione urbanistico, rilevando, così, sotto l’aspetto ambientale".

L’applicazione di dette coordinate conduce ad escludere dal computo della superficie le aree non interessate da alcuna lavorazione e trasformazione urbanistica, con conseguente legittimità della determinazione regionale in ragione del mancato superamento della soglia in esame.

In ordine alla procedura di verifica di cui all’art. 1, comma 6, del d.P.R. 12.4.1996, è sufficiente rimarcare che, a seguito dell’avvio di procedura comunitaria di infrazione, la Regione ha espletato la procedura di verifica di assoggettabilità ambientale nel corso della quale sono stati vagliati gli aspetti ambientali più problematici, anche in relazione alle preoccupazioni manifestate dai Comuni interessati in ordine al posizionamento della falda, alla migliore sistemazione della viabilità ed al recupero finale della cava.

All’esito della procedura è stato adottato il provvedimento regionale di non assoggettabilità ambientale in conformità alle norme comunitarie e alle norme nazionali di adeguamento.

7. Le considerazioni che precedono conducono all’accoglimento dei ricorsi principali già riuniti, al rigetto degli appelli incidentali ed alla reiezione del ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura in dispositivo specificata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti,

riunisce i ricorsi in epigrafe specificati, accoglie gli appelli principali, respinge gli appelli incidentali e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna il Comune di Cazzago San Martino al pagamento delle spese di giudizio che liquida nella misura di euro 4.000//00 (quattromila//00) per ognuno degli appelli riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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