Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 14-11-2011, n. 41470

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Brescia, investito ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame proposta dall’indagato P.P.A., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 14.2.2011 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 612 bis cod. proc. pen., commesso sino all'(OMISSIS).

Il ricorrente era stato arrestato l’11 marzo con l’accusa di flagrante tentativo di omicidio della cognata, M.L.. Era accaduto che tale B.Z.L., al quale asseritamente il ricorrente aveva commissionato l’omicidio della cognata, avesse denunciato ai carabinieri il fatto, così rendendo possibile arresto del P. in occasione di un incontro appositamente organizzato da quest’ultimo. In particolare B.Z. era stato telefonicamente contattato dal P. mentre si trovava nella caserma dei carabinieri per definire, o ridefinire, le modalità e tempi dell’azione delittuosa.

Il giudice per le indagini preliminari, investito della convalida dell’arresto e della richiesta di misura custodiale per il delitto di tentato omicidio, aveva ritenuto non integrato tale reato, non risultando a suo avviso che la proposta del P. fosse stata accettata; aveva tuttavia ravvisato nella vicenda contestata gravi indizi in relazione al reato di cui all’art. 612 bis cod. pen., ed aveva emesso la misura per tale titolo di reato.

Il Tribunale ha respinto la richiesta di riesame osservando anzitutto che il delitto contestato doveva ritenersi procedibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 612 bis, comma 4, in quanto connesso con il tentato omicidio originariamente ravvisato agli inquirenti, la cui configurabiltà valutava, incidenter tantum, ai fini della procedibilità. Quanto al delitto di atti persecutori, gravi elementi a carico del ricorrente riposavano sulle dichiarazioni della persona offesa; su quelle della moglie del ricorrente, in occasione della sua denuncia per maltrattamenti; sui riscontri costituiti dalla missiva in passato inviata dal P. alla moglie, dalle parziali ammissioni del ricorrente, dal fatto stesso del tentato omicidio.

Quanto alle esigenze cautelari, sussisteva il serio rischio che il ricorrente potesse proseguire nella condotta imputatagli.

2. Ha proposto ricorso l’indagato personalmente chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.

2.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge in relazione alla ritenuta procedibilità per il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen.. Rileva che era assodato che il giudice per le indagini preliminari non aveva applicato alcuna misura per il tentato omicidio, che il pubblico ministero non aveva appellato tale decisione e che s’era formato dunque giudicato cautelare sul punto, che la persona offesa alla data della ricorso, 22 aprile 2011 non aveva sporto querela. Non risultando commesso alcun altro delitto per cui si doveva procedere d’ufficio, quello di atti persecutori era dunque improcedibile per mancanza di querela e, a fronte della decisione del Giudice per le indagini preliminari e della mancata impugnazione ad opera del Pubblico ministero, il Tribunale del riesame non poteva rivalutare la sussistenza del reato di tentato omicidio, non solo perchè sulla stessa s’era formato giudicato cautelare ma anche perchè l’originaria tesi accusatoria era nel merito assolutamente infondata, giacchè, a prescindere dall’idoneità dei mezzi, mancava in radice l’originaria consapevolezza e volontà del presunto sicario di commettere il delitto (dettagliatamente si sostiene che il ricorrente aveva chiesto a B.Z. sostanzialmente soltanto di "dare una lezione" alla cognata, non certo di ucciderla; che B.Z., straniero con scarsa conoscenza della lingua italiana, non aveva neppure compreso nell’immediatezza cosa gli fosse stato chiesto, tanto che era stato suo fratello, la sera del 10 marzo, a spiegargli cosa era scritto nel biglietto d’istruzioni posto all’interno del borsone contenente la mazza fasciata datagli dal ricorrente; che resosi conto, il B. Z. si era immediatamente recato dai carabinieri per denunciare l’accaduto).

2.2. Con il secondo motivo denunzia l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza con riguardo al delitto di atti persecutori, sostenendo che il Tribunale aveva fatto riferimento alle sole dichiarazioni della persona offesa M.L., totalmente prive di riscontri (le lettere inviate dal ricorrente alla moglie erano soltanto d’amore; non vi era alcun riscontro del fatto che il ricorrente avesse importunato la cognata nè che si fosse appostato, lui o un complice, nei pressi dell’abitazione della stessa).

Afferma quindi che dall’ottobre dell’anno precedente il P. aveva sempre scrupolosamente rispettato il provvedimento di allontanamento del giudice di Bergamo; che il presunto volantino diffamatorio rinvenuto nel novembre 2009 non poteva essere posto in relazione con i fatti in esame; che nessun sicario era stato ingaggiato per uccidere M.L..

2.3. Con l’ultimo motivo, relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura applicata, si duole dell’eccessiva gravosità della stessa, evidenziando la resipiscenza dell’indagato, l’età e le sue precarie condizioni di salute.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che le doglianze sviluppate nel primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene la improcedibilità per il reato di atti persecutori, sono sotto ogni aspetto infondate.

1.1. Va al riguardo ricordato che il Tribunale ha ritenuto il delitto procedibile d’ufficio in quanto connesso con il tentato omicidio per il quale il Pubblico ministero aveva in origine chiesto la misura cautelare, che, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari, ben poteva affermarsi, ai limitati fini del regime di procedibilità, sussistente. In realtà, secondo il Tribunale, lungi dal configurarsi la situazione di proposta non accolta alla quale aveva fatto riferimento il primo giudice, ricorrevano tutti gli estremi del delitto tentato, cui era semplicemente seguita una condotta di desistenza volontaria posta in essere, unilaterlamente, dal concorrente prezzolato per fungere da esecutore materiale, dopo avere accettato gli strumenti d’offesa, i piani dettagliati e le istruzioni, consegnatigli dal committente, e dopo avere trattenuto con questo numerosissimi contatti operativi.

1.2. Ciò posto, del tutto infondata è la tesi secondo cui il Tribunale non avrebbe potuto valutare, e risolvere, incidentalmente, la questione della plausibile esistenza di altro reato connesso, per il quale si doveva procedere d’ufficio, cui era legata quella della irrilevanza della mancanza di querela (alla data della decisione) per l’ipotesi di reato ritenuta dal Giudice per le indagini preliminari.

Siffatta valutazione gli era, anzi, imposta dall’art. 2 cod. proc. pen., comma 1, che assegna al giudice penale il compito di risolvere incidentalmente, e senza efficace vincolante, ogni questione, anche penale, da cui dipende la sua decisione.

Nessun rilievo può avere, di contro, la circostanza che si fosse, o meno, prodotto "giudicato cautelare" in relazione al rigetto della richiesta di misura per quel titolo di reato. Non è contestato che a carico dell’indagato si stesse, ciò nonostante, ancora procedendo, ancorchè a piede libero, per il delitto connesso di tentato omicidio. Il Tribunale del riesame era per tale ragione chiamato a valutare, incidentalmente appunto, non più la sussistenza degli estremi per l’emissione di misura cautelare per detto delitto, bensì soltanto se l’imputazione ad esso relativa avesse specifica e rilevante consistenza e non risultasse invece del tutto strumentalmente o arbitrariamente formulata.

1.3. Quanto, poi, a quest’ultima valutazione, essa appare saldamente ancorata ai dati acquisiti, da cui indiscutibilmente risultava che il ricorrente aveva realizzato un piano e uno schema operativo; aveva preso accordi con uno straniero per realizzarlo e aveva consegnato allo straniero ingaggiato una borsa contenente una mazza avvolta di stracci, per colpire la vittima; aveva disegnato la mappa della casa e compilato le istruzioni – motivatamente e plausibilmente ritenute dal Tribunale vergate dal ricorrente, nonostante il suo diniego – affidate all’aggressore da lui assoldato, che si concludevano con la raccomandazione di aprire il gas prima di abbandonare la casa; aveva avuto con la persona assoldata – senz’altra ragione apparente – un numero inusitato di contatti telefonici. Numero, durata, qualità e progressione dei contatti, assieme alla natura e alla sottolineata significativa idoneità del materiale fornito dal committente, e trattenuto dall’incaricato, rendono in conclusione del tutto logica la esclusione, ad opera del Tribunale, della tesi della mera istigazione non accolta a privilegio di quella della mancata realizzazione dell’evento a causa della mera desistenza volontaria del concorrente.

Mentre le censure articolate in ordine a tali aspetti nel ricorso, oltre ad attenere ad aspetti squisitamente di merito, sono nella sostanza generiche.

3. Le censure concernenti la gravità indiziaria per il reato di atti persecutori, sono quindi al limite dell’ammissibilità, e quantomeno infondate.

Il Tribunale ha affermato che gravi elementi a carico del ricorrente riposavano:

– sulle dichiarazioni della cognata, persona offesa, in ordine ai comportamenti tenuti dal ricorrente (minacce larvate e offese nei suoi confronti nelle lettere inviate alla sorella; continui passaggi e appostamenti nei pressi della sua abitazione; ripetuti suoni al campanello; volantino apparentemente anonimo, denigratorio nei suoi confronti, distribuito in paese) che l’accusava di aver circuito la moglie, in specie a far data da quando questa si era trasferita nella sua casa; comportamenti che l’avevano posta in grave prostrazione ed ansia e costretta persino ad allontanarsi per alcuni giorni da casa;

– sulle conferme, alle minacce rivolte verso sua sorella, emergenti dalle dichiarazioni della moglie del ricorrente in occasione della sua denuncia per maltrattamenti;

– sui riscontri costituiti dall’obiettivo contenuto della missiva in passato inviata dal P. alla moglie, e da questa esibita; dal fatto che il ricorrente aveva ammesso di aver ingaggiato un investigatore al fine di far pedinare la moglie, mentre era ospite della sorella; dalle stesse condotte integranti il tentativo di omicidio, indicative del livello di intrusione e del crescendo di molestie e aggressioni che il ricorrente rivolgeva alla cognata.

E’ dunque manifestamente infondata la deduzione che l’accusa si basava soltanto sulle dichiarazioni, prive di riscontri, della persona offesa; anche se va, per chiarezza, ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, se attentamente vagliate, ben possono essere sufficienti a sostenere l’accusa e che un significativo riscontro alla prospettazione accusatoria proviene comunque dalla stessa tesi difensiva, secondo cui l’imputato intendeva infine dare ("soltanto") una "lezione" alla cognata.

4. Quanto alle esigenze cautelari, e alla adeguatezza della misura, il Tribunale ha rilevato che sussisteva il serio rischio che il ricorrente potesse proseguire nella condotta imputatagli, attesa la progressione inarrestabile delle aggressioni poste in essere ai danni di sua moglie e della cognata, a far data dal luglio 2009 in poi, e l’obiettiva constatazione che non avevano sortito effetti inibitori i pregressi provvedimenti penali adottati nei confronti del P., il quale nell’arco di pochi mesi aveva subito una condanna a pena sospesa per lesioni provocate alla moglie ed era stato già, per due, volte assoggettato alla misura del divieto di avvicinamento alla moglie, ai parenti di questa e all’abitazione della cognata.

Pure in relazione a tale aspetto, la motivazione del provvedimento impugnato è dunque esaustiva e plausibile, e dimostra che sono state considerate le situazioni soggettive e personali del ricorrente;

mentre il ricorso genericamente rievoca i medesimi aspetti, squisitamente di fatto, già congruamente valutati dal tribunale del riesame.

5. In conclusione, il ricorso non può che essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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