Cons. Stato Sez. V, Sent., 20-12-2011, n. 6686 Indennità varie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- P. L., con ricorso al TAR Campania impugnava il provvedimento della Giunta regionale della Campania del 19 dicembre 1995, con il quale gli veniva negato il diritto alla corresponsione dell’indennità di funzione dirigenziale già in godimento presso l’amministrazione di provenienza (Comune di Torino), sul presupposto della perdita dell’esercizio della funzione in seguito al comando presso la Regione Campania.

Deduceva il ricorrente che il passaggio dall’una all’altra amministrazione per comando non poteva comportare una riduzione del trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di provenienza, ostandovi il principio della conservazione dei diritti acquisiti nel corso del servizio che comporta il mantenimento, anche nella forma dell’assegno ad personam riassorbibile, del trattamento economico percepito; difetto di motivazione; manifesta ingiustizia, in quanto il divieto della reformatio in peius sarebbe un principio generale applicabile a tutti i dipendenti inteso a garantire l’intangibilità del trattamento economico raggiunto dal dipendente; nonché violazione della l. reg. Campania n. 11 del 1974 che assicura, nel transito del personale alla regione Campania da amministrazioni diverse, il mantenimento del trattamento economico più vantaggioso sotto forma di assegno ad personam; violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 per carenza assoluta di motivazione, perplessità, mancata ponderazione della situazione complessiva, non essendo stati esplicitati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche delle determinazioni amministrative incidenti su posizioni giuridiche ormai acquisite nella sfera giuridica del ricorrente.

2.- Il TAR Campania, Napoli, con sentenza n. 2223 del 22 marzo 2005 della terza sezione, respingeva il ricorso, con compensazione delle spese di giudizio.

Il TAR, dopo aver richiamato la disciplina vigente nella regione Campania in materia di indennità di funzione, evidenziato che tale indennità non rappresenta un elemento fisso, costante e continuativo della retribuzione, essendo legata all’esercizio effettivo delle funzioni, concludeva nel senso che tale indennità non può essere corrisposta o mantenuta in mancanza di assegnazione di funzioni di direzione,non costituendo parte della retribuzione base ma voce accessoria.

Secondo il TAR, il mantenimento dell’indennità di funzione – già in godimento presso il Comune di Torino – era preclusa dal mancato conferimento presso la regione quale amministrazione di destinazione, dell’esercizio di alcuna funzione dirigenziale, di guisa che, non ricorrendo l’esercizio "effettivo" delle funzioni, alcun diritto sarebbe riscontrabile da parte del dipendente.

Aggiungeva che in tale situazione di fatto e di diritto non poteva nemmeno argomentarsi circa la violazione di presunti diritti quesiti e di violazione del principio della reformatio in peius, risultando ovvio che per non perdere il beneficio, il ricorrente avrebbe potuto pur sempre rinunciare al pur richiesto comando.

In sintesi, secondo il giudice di primo grado, l’amministrazione regionale, nel denegare la corresponsione dell’indennità di funzione dirigenziale, in quanto non collegata all’effettività dell’esercizio delle relative funzioni, avrebbe fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, emanando un provvedimento assistito da motivazione adeguata e congrua.

3.- P. L., con l’atto qui in esame, ha impugnato la suddetta sentenza di cui chiede la riforma o l’annullamento alla stregua dei seguenti motivi:

error in iudicando per omessa pronuncia su un aspetto fondamentale della controversia, relativo al mantenimento dell’indennità di funzione come assegno ad personam riassorbibile; per mancata ponderazione della situazione contemplata; illogicità, falsità dei presupposti; manifesta ingiustizia; violazione del principio dei c.d. diritti quesiti; violazione dell’art. 3 e 97 della Costituzione; violazione del principio della reformatio in peius.

4.- La Regione Campania si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato in fatto e in diritto.

5.- Le parti hanno depositato memorie difensive e, alla pubblica udienza dell’8 novembre 2011, il giudizio è stato assunto in decisione.

6.- L’appello è infondato e va rigettato.

6.1- Il ricorso articolato in più motivi si risolve nell’assunto sulla violazione del principio del divieto della reformatio in peius del trattamento economico del pubblico dipendente nel caso di passaggio da un’amministrazione ad altra amministrazione, cui sarebbe correlato il diritto al mantenimento del trattamento economico in godimento anche nella forma di assegno ad personam riassorbibile e nell’addebito alla sentenza di non aver tenuto conto della natura precettiva di tali principi, nonché di omessa pronuncia sull’aspetto della controversia, relativo al mantenimento dell’indennità di funzione come assegno ad personam riassorbibile.

6.2- Le questioni poste con il ricorso in esame sono state più volte esaminate dalla giurisprudenza, che ha evidenziato che il principio del divieto della reformatio in peius e del correlato diritto del pubblico dipendente al mantenimento del trattamento più favorevole in godimento nell’amministrazione di provenienza, mediante assegno ad personam compensativo, riguarda gli emolumenti retributivi di carattere fisso e accessori aventi carattere di stabilità ed entrati a far parte della retribuzione fissa per disposizione normativa.

Di tale principio ha fatto corretta applicazione il giudice di primo grado che ha evidenziato che l’indennità di funzione dirigenziale è connessa all’effettivo esercizio delle funzioni e non può in nessun caso essere mantenuta e corrisposta ad un dirigente che attraverso un provvedimento di mobilità (quale, nel caso il comando presso altra amministrazione) venga a perdere l’effettivo esercizio della funzione stessa.

6.3 – L’effettività dell’esercizio della funzione dirigenziale quale presupposto del diritto all’indennità trova, peraltro, fonte normativa nella disciplina dettata dalla Regione Campania con l’art. 38 della legge regionale n. 12 del 1991 del seguente tenore ("L’indennità di funzione connessa all’effettivo esercizio della stessa, è commisurata allo stipendio iniziale ed è corrisposta ai dirigenti di I e II qualifica dirigenziale, tenuto conto del coordinamento di attività, dell’importanza della direzione delle strutture o dei singoli programmi, della rilevanza delle attività di studio, di consulenza propositiva e di ricerca, di vigilanza e di ispezione, e di assistenza agli organi").

Essa ha, quindi, come presupposto che il dirigente sia preposto alla direzione di una struttura, settore o servizio e ha quale causa la remunerazione delle prestazioni svolte quale responsabile della struttura. Non può, pertanto, essere attribuita in mancanza dell’assegnazione di funzioni di direzione di struttura, settore o servizio.

6.4 – Sta di fatto che il ricorrente esercitò il diritto di opzione per essere comandato, a domanda, presso la Regione Campania ai sensi della legge 23 marzo 1987, n. 18 recante "Inquadramento nei ruoli regionali del personale comandato" che trovò concreta attuazione con la successiva legge n. 6 del 1995 che, in funzione di interpretazione autentica della l. n. 18 del 1987, stabilì che l’inquadramento presso l’amministrazione di comando sarebbe avvenuta, tenuto conto della corrispondenza fra la nuova posizione giuridica di destinazione e quella di provenienza alla data della l. n. 22 del 1990 che aveva ampliato lo spettro temporale per l’esercizio dell’opzione.

Pertanto, l’inquadramento del ricorrente nella prima qualifica dirigenziale avvenne in soprannumero e ad esaurimento, non esistendo disponibilità in organico nel posto relativo al livello attribuito.

Ad impedire il mantenimento dell’indennità di funzione dirigenziale non fu, quindi, la situazione di comandato, quanto la circostanza che all’atto del comando la regione Campania non gli conferì l’esercizio di alcuna funzione dirigenziale.

Non gli spettava, pertanto, l’indennità di funzione dirigenziale (funzione che gli venne attribuita solamente nel 1998, con decreto n. 6883 del 4 giugno 1998).

Tale situazione era ben nota al ricorrente che, malgrado ciò, dichiarò la propria disponibilità al comando, sicché è privo di fondamento il preteso affidamento sul mantenimento dell’indennità della funzione dirigenziale già in godimento presso il Comune di Torino.

6.5- Ugualmente non ha fondamento alcuno argomentare circa la violazione di presunti diritti quesiti in relazione al maturato economico e di violazione del divieto della reformatio in peius.

Infatti i c.d. diritti quesiti in base alla normativa di cui si fece applicazione riguardavano il livello di inquadramento e la retribuzione fissa maturata che furono riconosciuti.

Diversa la situazione dell’indennità di funzione dirigenziale, la cui corresponsione, come si è detto, è estranea alla retribuzione base, essendo compenso connesso a prestazioni lavorative particolari.

In conclusione, il giudice di primo grado ha ben evidenziato le ragioni che ostavano alla conservazione dell’indennità di funzione anche nella forma di assegno ad personam, avendo dato argomenti chiari e assorbenti.

6.6 – Quanto divieto della reformatio in peius del trattamento economico del pubblico dipendente, esso vale con riferimento alla retribuzione base e, comunque, siffatto principio non può operare in modo incontrastato, essendo in ogni caso subordinato al potere di autorganizzazione della pubblica amministrazione e, comunque, vale per la retribuzione base e non per compensi legati a prestazioni particolari.

In tal senso è tutta la disciplina in materia di pubblico impiego, anche nell’attuale sistema di privatizzazione del rapporto, con l’abolizione di ogni distinzione di carriera tra il personale con qualifica dirigenziale (che è seguita alla privatizzazione del rapporto di lavoro con la p.a.) per cui ai fini della distinzione occorre attenersi esclusivamente ad un criterio funzionale alla stregua del quale si distinguono unicamente per le funzioni effettivamente esercitate.

In un tale contesto normativo perdono rilievo tutte le censure del ricorrente basate su presupposti inesistenti sotto tutti i profili, come puntualizzato nella sentenza appellata che ha correttamente esaminato tutte le censure dedotte.

L’appello, in conclusione, deve essere respinto.

6.7- La condanna al pagamento delle spese di giudizio segue la soccombenza, nell’importo indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.

Condanna P. L. al pagamento in favore della Regione Campania di euro 4.000,00 oltre accessori di legge per spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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