Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-05-2012, n. 8052 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza depositata l’11.12.09 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto da Poste Italiane S.p.A. contro la sentenza del Tribunale capitolino che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento (decorrente dal 31.12.01) intimato alla dipendente F.E. per riduzione di personale.

Statuivano i giudici di secondo grado l’inefficacia del recesso – ai sensi del combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9 e art. 5, comma 3 – per omessa specificazione delle modalità applicative del criterio di scelta del personale da licenziare (nel caso di specie, possesso dei requisiti per il pensionamento), a tal fine non bastando l’indicazione del mero criterio selettivo concordato con le organizzazioni sindacali. Nel caso di specie, non tutti i lavoratori prossimi al pensionamento erano stati licenziati, giacchè cento di essi erano stati trattenuti in servizio fino al 31.12.02, senza che le modalità del differimento fossero state enunciate nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 9 cit..

Per la cassazione di tale sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi ad un solo motivo.

Resiste con controricorso la F..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1- Con unico motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, per avere l’impugnata sentenza ritenuto insufficiente che nella comunicazione prevista da detta norma fosse stato meramente indicato il criterio adottato per la selezione del personale da licenziare e non anche le sue concrete modalità applicative; in realtà, trattandosi d’un criterio meramente matematico, non vi era bisogno di ulteriori specificazioni; nè – prosegue la ricorrente – il ragionamento della Corte territoriale può trovare conferma nell’avere Poste Italiane trattenuto in servizio 100 dipendenti (rientranti nel novero di quelli licenziabili alla stregua del criterio proposto) allo scopo di salvaguardare la struttura organizzativa ed operativa aziendale, perchè tale circostanza, lungi dall’essere sintomatica dell’adozione di un ulteriore criterio rispetto a quello, enunciato, della pensionabilità, si spiega con il rilievo che si trattava non di personale in concreto escluso dal summenzionato criterio di scelta e dal novero dei licenziati, ma soltanto di dipendenti per i quali si era deciso di sospendere per un limitato periodo di tempo gli effetti d’un licenziamento comunque irrogato.

Il motivo è infondato, così come questa S.C. ha già statuito in analoga controversia inerente alla medesima procedura di riduzione del personale avvenuta all’interno di Poste Italiane S.p.A. (v. Cass. n. 2598/11).

E’ pacifico inter partes che la comunicazione ex art. 4, comma 9 cit. da parte dell’odierna ricorrente contenesse l’indicazione dell’unico criterio selettivo adoperato (possesso dei requisiti per il pensionamento), con l’allegazione degli accordi a tal fine raggiunti con le organizzazioni sindacali e dell’elenco dei 963 lavoratori destinatari della lettera di licenziamento.

La stessa Poste Italiane S.p.A. ammette che cento dipendenti, pur in possesso dei requisiti per il pensionamento, non sono stati licenzianti nel medesimo contesto temporale degli altri (fra cui l’odierna controricorrente), nei senso che sono stati trattenuti in servizio fino al 31.12.02 (del che da atto pure l’impugnata sentenza).

Ciò detto, deve darsi continuità al consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema (richiamato anche dai giudici d’appello) secondo cui, in sede di procedura di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali può anche essere unico e consistere nella temporale vicinanza al pensionamento, criterio che, permettendo di formare una graduatoria rigida, può essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro. Tuttavia, ove quello della prossimità al pensionamento sia l’unico criterio prescelto e lo stesso, applicato nella realtà, si riveli insufficiente a individuare i dipendenti da licenziare – tanto che, nel caso di specie, 100 dei lavoratori astrattamente rientranti nel novero dei licenziabili sono stati poi trattenuti in servizio "allo scopo di salvaguardare la struttura organizzativa ed operativa aziendale" (come si legge a pag. 16 del ricorso) -, esso diviene automaticamente illegittimo se non combinato con un altro metodo di selezione interna, perchè in siffatta evenienza non risulta possibile controllare le ragioni che hanno indotto al licenziamento di un lavoratore piuttosto che di un altro (cfr. Cass. 27.1.11 n. 1938; Cass. 2.9.03 n. 12781).

In altre parole, la legittimità dell’unico criterio selettivo costituito dalla prossimità al pensionamento è legittimo purchè tale sua indubbia oggettività sia mantenuta anche nel momento applicativo, senza cedere il passo ad ulteriori selezioni, questa volte operate con un sistema discrezionale non speso in sede di comunicazione ex art. 4, comma 9 cit. (cfr. Cass. 6.10.06 n. 21541;

cfr, altresì, Cass. 7.1.09 n. 81, secondo cui non è consentito, in sede applicativa, abbandonare i criteri inizialmente enunciati nel programma di riduzione del personale, adottandone di ulteriori).

Nel caso di specie è la stessa società ricorrente ad ammettere che, nel novero dei lavoratori licenziabili alla stregua dell’unico criterio comunicato, ha poi effettuato una selezione ulteriore per enuclearne cento da non licenziare (almeno non insieme con gli altri) in ragione di esigenze organizzative ed operative aziendali, vale a dire in virtù d’un criterio nuovo e diverso rispetto a quello, rigorosamente "matematico" (come si afferma in ricorso) del possesso dei requisiti per il pensionamento.

Nè tale conclusione può essere inficiata dall’assunto che si tratta di lavoratori pur sempre licenziati, sia pure con decorrenza posticipata di un anno rispetto a quella riguardante l’odierna controricorrente: invero, parlare di licenziamento differito di un anno in virtù di esigenze di salvaguardia della struttura organizzativa ed operativa dell’azienda è solo il mascheramento nominale di una realtà che vede in sede applicativa pur sempre il sovrapporsi, a quello inizialmente enunciato, di un altro criterio (quello delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative).

Il suddetto scarto temporale di un anno, per di più motivato da generiche opzioni aziendali, è di entità tale da compromettere quelle esigenze di previa trasparenza e di oggettività delle scelte datoriali trasfuse nel combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9 e art. 5, comma 3, e, in sostanza, più che riguardare le concrete modalità applicative del criterio selettivo prescelto, in realtà almeno in parte lo smentisce.

2- Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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