Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2011) 14-11-2011, n. 41419

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 29 aprile 2009, il Tribunale di Agrigento, ha, tra l’altro, ritenuto F.P., nella sua qualità di progettista e direttore di fatto dei lavori, responsabile dei reati previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b, artt. 93, 94 e 98 e lo ha condannato alla pena di giustizia.

La decisione è stata riformata dalla Corte di Appello di Palermo, con sentenza 17 gennaio 2010, solo per quanto concerne la subordinazione del beneficio ex art. 163 cod. pen. allo abbattimento del manufatto. Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno ritenuto che l’opera esistente in zona sismica (sopraelevazione di un edificio con creazione di una superfìcie coperta di circa 65 mq) fosse stata edificata senza permesso di costruire ed avviso al Genio Civile; il manufatto non poteva considerarsi precario nè pertinenziale ed era incompatibile con la previsione della L. R. Siciliana n. 14 del 2003, art. 20. I Giudici hanno precisato che l’intera struttura fosse illegittima e non solo i lavori interni che l’appellante sosteneva effettuati in un secondo momento, da altri, a sua insaputa.

La Corte ha ritenuto inconferente il presunto assenso orale dei tecnici del Comune alla edificazione ed ha scartato la tesi difensiva secondo la quale il F. era solo il progettista di una opera in conformità all’art. 20 citato; sul punto, ha rilevato che era il direttore di fatto di tutti i lavori ed ha dato la comunicazione, nell’ottobre 2006, della loro ultimazione.

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando:

– che, dalle prove testimoniali e documentali, risulta che è stato solo il progettista dei lavori di ristrutturazione del piano terreno regolarmente autorizzati;

– che successivamente si è limitato a redigere una relazione tecnica per la chiusura di una tettoia in legno nel rispetto della L.R. n. 4 del 2003, art. 20 e previo confronto con i tecnici del competente ufficio comunale;

– che l’intervento era ammissibile tanto è vero che, con il titolo concessorio (OMISSIS), è stata ordinata la demolizione della sola tramezzatura interna e non della intera opera.

Il ricorso, non meritevole di accoglimento, è al limite della inammissibilità perchè l’imputato ripropone al vaglio della Cassazione le questioni, già sottoposte all’esame della Corte territoriale, che hanno trovato nella impugnata sentenza esaustiva e puntuale confutazione.

In particolare, il principale argomento difensivo si incentra sulla mancata qualifica del F. di direttore dei lavori, essendo solo il progettista di interventi al piano terreno e di opere in sintonia alla L.R. n. 4 del 2003, art. 20. La prospettazione è già stata presa nella dovuta considerazione dai Giudici di merito e disattesa con congrua motivazione che, trattandosi di questione in fatto, non può essere messa in discussione in questa sede; sul punto, il ricorrente chiede sostanzialmente una rinnovata ponderazione del coacervo probatorio, alternativa a quella operata dalla Corte di Appello, ed introduce problematiche che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione. La seconda tesi sostenuta dall’imputato riguarda la liceità dell’intervento che non richiedeva il preventivo rilascio di titoli autorizzatori.

Sul tema, si deve puntualizzare che l’abusiva edificazione addebitata all’imputato nella già precisa qualifica, non era limitata ad una precaria ed amovibile chiusura di una tettoia (come prospettato nella relazione tecnica redatta dal F.), ma consisteva in una totale copertura di un terrazzo che determinava una sopraelevazione del preesistente edificio; tale intervento non rientra nel novero di applicabilità della L.R. n. 4 del 2003, art. 20.

La norma (che riguarda la materia urbanistica e non si estende alla disciplina antisismica) consente, in deroga alla legislazione nazionale, la chiusura di terrazze e la copertura di spazi interni con mezzi precari (in senso strutturale e non temporale) senza necessità di concessione e/o autorizzazione.

Tali requisiti, all’evidenza, non possiede l’edificazione per cui è processo – che ha determinato una modifica verticale dell’edificio incrementandone il limite di altezza ed alterandone la caratteristiche fondamentali – a nulla rilevando che le opere interne (secondo l’assunto, peraltro non provato, del ricorrente) siano state erette da altre persone. Pure inconferente è la prospettazione (anche essa asseriva) secondo la quale i tecnici comunali avevano dato un loro positivo parere orale perchè l’intervento che si presentava palesemente illegittimo.

Neppure decisivo è il provvedimento (n. (OMISSIS)), che il ricorrente erroneamente qualifica come concessione edilizia in sanatoria, che non ha regolarizzato ex post le opere, ma autorizzato la messa in ripristino dell’immobile in conformità alle previsioni dell’art. 20, L.R. citata.

Si deve, pertanto, concludere che l’intervento in esame richiedeva la preventiva concessione edilizia, di cui il ricorrente non era munito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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