Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2011) 14-11-2011, n. 41418

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A. è stata condannata dal GUP del tribunale di Nola in data 27 novembre 2008 per i reati di cui agli artt. 81 cpv, 110, 609 bis e 609 ter c.p., art. 61 c.p., n. 11 in relazione ad episodi di violenza sessuale in danno dalla figlia minore degli anni 18, C.A., e per maltrattamenti in famiglia.

La violenza sessuale è stata contestata all’imputata rispettivamente in concorso con B.A. e M.V., entrambi deceduti.

Il reato di maltrattamenti, invece, in concorso con C. C..

La corte di appello di Napoli ha successivamente confermato la sentenza di primo grado.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, S.A. eccependo il vizio di motivazione e la violazione di legge, assumendo difettare elementi di accusa diretti nei suoi confronti da parte della minore, le cui dichiarazioni sarebbero state peraltro assunte ai sensi dell’art. 195 c.p.p., comma 3 non essendo stata ritenuta opportuna l’audizione diretta della stessa.

Eccepisce inoltre il difetto di notifica della estratto contumaciale della sentenza di appello in quanto la notifica sarebbe avvenuta presso il difensore ex art. 161 c.p.p. senza che fosse stato previamente espletato il tentativo di notifica presso il domicilio eletto o, in alternativa, in assenza della dichiarazione di irreperibilità.

Motivi della decisione

Nell’ordine logico va affrontata anzitutto la questione relativa alla notifica dell’estratto contumaciale.

Va in premessa puntualizzato che l’impugnazione proposta dal difensore nell’interesse dell’imputato contumace non fa effettivamente decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti di quest’ultimo, in caso di illegittima notificazione dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, così come affermato dal ricorrente (Sez. 6, n. 36684 del 28/09/2010 Rv. 248521). Tale indirizzo formatosi a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 2009 – che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 175 c.p.p., comma 2 – appare pienamente condiviso dal Collegio che non ritiene precluso l’esame della questione posta dal ricorrente difensore di fiducia dell’imputata in quanto quest’ultimo è il solo ad avere sottoscritto il ricorso medesimo.

Ciò posto osserva il Collegio che la notifica dell’estratto contumaciale risulta effettivamente effettuata al difensore ex art. 161 c.p.p., analogamente a quanto avvenuto in precedenza per l’atto di citazione di appello e per altri atti stante l’irreperibilità nel domicilio dichiarato dell’imputata di (OMISSIS).

Ora si è già affermato il principio secondo cui le notificazioni successive a quella effettuata mediante consegna dell’atto a mani del difensore, per l’impossibilità di eseguirla nel domicilio dichiarato od eletto dall’imputato, non devono necessariamente essere precedute dalla reiterazione del tentativo di notificazione nel suddetto domicilio, ma possono essere eseguite direttamente nelle forme di cui all’art. 161 c.p.p., comma 4, (Sez. 1, n. 9506 del 12/02/2009 Rv.

242982);

principio cui anche il Collegio ritiene di dover aderire condividendone le motivazioni.

Nell’occasione peraltro la Corte ha puntualizzato che la regola non vale ad escludere il consolidato principio secondo cui la otificazione deve avvenire al domicilio indicato ove successivamente alla precedente notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4 sia risultato ivi di nuovo reperibile il destinatario dell’atto (Sez. 6, n. 34341 del 15/04/2010 Rv. 248238).

Ma tale ultima circostanza deve ovviamente comunque risultare agli atti e di ciò non vi è prova nella specie in quanto il ricorrente si limita esclusivamente ad invocare in questa sede in maniera del tutto generica la necessità di nuove ricerche in vista della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di appello, senza precisare alcunchè sul luogo in cui l’imputata sarebbe stata effettivamente reperibile e senza fornire alcun elemento utile per comprovare la sopraggiunta reperibilità dell’imputata stessa, dopo la citazione per l’appello, al domicilio dichiarato.

E con ciò si appalesa evidente l’assoluta genericità della doglianza e la conseguente inammissibilità per tale aspetto del motivo di ricorso.

Ugualmente inammissibile è il ricorso in ordine ai rimanenti profili dedotti in questa sede.

E’ appena il caso di ricordare in premessa che la Corte ha più volte affermato che in tema di reati contro la libertà’ sessuale commessi in danno di minori, gravando su ciascun genitore l’onere di adoperarsi onde impedire l’evento stante l’obbligo di protezione del minore, si configura in difetto il concorso nel reato (ex plurimis Sez. 3 27.4.2007 n. 19739 Rv 236753).

Ma nella specie si va ben oltre l’obbligo di impedire l’evento.

In motivazione, infatti, si puntualizza con argomentazioni logiche e puntuali fondate sull’attendibilità e sui riscontri alle dichiarazioni di B.M. – che ricevute le confidenze della minore ha denunciato i fati – come l’imputata facesse assistere ai suoi rapporti sessuali con altri uomini la figlia consentendo che la stessa fosse oggetto di attenzioni fisiche da parte dei suoi amanti.

I rilievi della parte ricorrente circa l’insufficienza del dato probatorio – fondato su dichiarazioni de relato della minore – e sulla contraddittorietà della motivazione finiscono per sostanziarsi in rilievi di merito inammissibili in questa sede.

Premesso che non si pone in discussione la legittimità dell’utilizzazione delle dichiarazioni de relato della minore e che nessun profilo di violazione di legge viene eccepito in ordine alla utilizzazione di esse, non vi può essere spazio in questa sede per affrontare la valutazione nel merito delle stesse. Peraltro si deve osservare come l’accusa nei confronti della madre sia quella di aver consentito ad altri di abusare della figlia e non già di avere operato essa stessa direttamente violenza sulla vittima; il che esclude qualsiasi contraddittorietà con la circostanza che la minore sia stata ritenuta attendibile pur avendo attribuito la condotta materiale di abuso solo ai conviventi della madre e ad altre due persone non identificate.

Da qui l’evidente inammissibilità del ricorso con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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