Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-05-2012, n. 8046

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28/1 – 11/3/2010 la Corte d’appello di Milano – sezione lavoro ha rigettato l’impugnazione proposta dall’inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Milano, con la quale era stato dichiarato il diritto delle ricorrenti M.P., T.M.T. e P.M.A. a vedersi determinato l’importo della pensione, in relazione al concomitante svolgimento autorizzato di lavoro in regime di part-time, con la corresponsione del 50% dell’importo complessivo erogabile.

In effetti, le appellate, dipendenti dell’Inps, avevano chiesto ed ottenuto la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, con riduzione dell’orario di lavoro del 40% nel caso di M.P. e T.M.T. e del 33,34% nel caso di P.M.A.; tuttavia, allorquando le medesime avevano chiesto contestualmente la liquidazione della pensione di anzianità, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185, l’Inps aveva ridotto quest’ultima in percentuale, rispettivamente, del 60% e del 66,66%.

La Corte territoriale ha spiegato il rigetto dell’impugnazione nei seguenti termini: la norma di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185, che ha riconosciuto, per i lavoratori in possesso dei requisiti di età e di contribuzione per l’accesso al pensionamento,il trattamento di pensione di anzianità ed il passaggio, in deroga al regime di non cumulabilità di cui al comma 189, al rapporto di lavoro a tempo parziale in misura non inferiore a 18 ore settimanali, pur prevedendo che l’importo della pensione è in tal caso ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell’orario normale di lavoro (riduzione, comunque, non superiore al 50%), va interpretata nel senso che resta esclusa la possibilità di una riduzione della stessa pensione in misura maggiore del 50%, il tutto a condizione che il cumulo tra la pensione, così ridotta, e la retribuzione da lavoro a tempo parziale non superi il limite massimo della retribuzione spettante al lavoratore a tempo pieno operante in condizioni analoghe. Quanto al pubblico impiego il giudice d’appello ha osservato che il D.M. 20 luglio 1997, n. 331, emanato ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 187 per la definizione dei criteri e delle modalità applicative di quanto disposto dal 185 comma, non individua i criteri relativi all’importo della pensione ed in quanto fonte normativa secondaria regolamentare non può prevedere disposizioni in contrasto con la predetta legge, per cui male ha fatto l’Inps a ritenere di poter ridurre al di sotto della soglia del 50% l’importo complessivamente erogabile della pensione delle pubbliche dipendenti appellate.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Inps, che affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resistono con controricorso le intimate M., P. e T., le quali depositano, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Osserva la Corte che il ricorso è improcedibile.

Invero, l’istituto ricorrente, pur avendo provveduto a notificare la copia della sentenza impugnata alle odierne intimate, così come emerge dalla lettura incrociata dei rispettivi atti, non ha, tuttavia, depositato la corrispondente relazione di notificazione, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, non consentendo, in tal modo, a questa Corte di eseguire la verifica d’ufficio della tempestività dell’impugnazione attraverso il controllo del rispetto del termine breve, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, per la notifica del ricorso in Cassazione, termine la cui natura perentoria è espressamente sancita dall’art. 326 c.p.c., comma 1. Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte, con ordinanza n. 9005 del 16/04/2009, hanno chiaramente affermato che "la previsione – di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 2 applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 1 e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione".

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso improcedibile. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario e di Euro 40,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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