Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8178

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.J. e B.A., proprietari di un fondo in Comune di (OMISSIS), convennero in giudizio C.S. e V.G., proprietari confinanti, chiedendo che venisse accertato il reale confine tra i due fondi, separati da un viottolo di cui era controversa la proprietà, e che, inoltre, le parti convenute fossero condannate ad arretrare il loro fabbricato fino al rispetto della distanza legale ed a regolarizzare una luce aperta su di esso.

I convenuti si opposero alle domande.

All’esito dell’istruttoria, in cui vennero prodotto documenti, escussi testi e svolta consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Pordenone dichiarò che la linea di confine coincideva con la linea esterna del muro esistente sul fondo degli attori, escludendo che esso si estendesse anche a comprendere il viottolo controverso;

respinse per il resto le altre domande.

Interposto gravame da parte dei B., con sentenza n. 351 del 26 settembre 2009 la Corte di appello di Trieste confermò integralmente la pronuncia impugnata. In particolare, il giudice di secondo grado motivò la sua decisione affermando, con riguardo alla delimitazione del confine, che l’indicazione dello stesso ad opera del primo giudice appariva conforme allo stato dei luoghi, in particolare per la presenza della recinzione in muratura eretta dagli attori sul proprio fondo, in mancanza di qualsiasi allegazione di un titolo idoneo ad estendere la loro proprietà anche sul viottolo; con riguardo alla domanda di arretramento della costruzione dei convenuti per mancato rispetto delle distanze legali, la Corte affermo invece che, non risultando all’epoca della costruzione vigenti strumenti urbanistici comunali, mancanza che impediva anche di applicare la disposizione di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 la distanza legale doveva essere individuata in quella di tre metri stabilita dall’art. 873 cod. civ. e che essa, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, risultava nella specie osservata. B.A.A. e B.J. ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 3 e 4 agosto 2010 a V.G. e collettivamente ed impersonalmente agli eredi di C.S. presso il suo ultimo domicilio, rappresentando che tale parte è deceduta il (OMISSIS). Nessuno degli intimati si è costituito.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 950 c.c., comma 1, e art. 112 cod. proc. civ. e motivazione illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto e sostanzialmente attribuito ai convenuti la striscia di terreno contesa, laddove, avendo gli attori denunziato un’incertezza soggettiva e non anche oggettiva del confine, tale statuizione avrebbe potuto essere adottata soltanto nel caso in cui i convenuti avessero proposto una precisa domanda o eccezione di usucapione, cosa non avvenuta. La censura è infondata.

La statuizione impugnata, che ha indicato il confine tra i fondi delle parti, appare pienamente conforme alla domanda principale avanzata dagli attori, con cui essi chiedevano, per l’appunto, l’accertamento del confine. La circostanza che poi l’esito del giudizio abbia portato alla delimitazione del confine in posizione arretrata rispetto alle aspettative degli istanti, con conseguente riconoscimento della proprietà della controparte sulla striscia di terreno oggetto di contestazione, costituisce null’altro che un effetto o conseguenza dell’accertamento richiesto. Sul punto del resto è già stato precisato da questa Corte che nell’azione di regolamento di confini, che si distingue dall’azione di rivendica in quanto non vengono in discussione i titoli di acquisto del bene, ma solo la determinazione quantitativa dell’oggetto della proprietà dei fondi confinanti, la posizione delle parti è sostanzialmente uguale (Cass. n. 3082 del 2006; Cass. n. 9926 del 2004), uguaglianza che, merita aggiungere, è tale non solo dal punto di vista dell’onere probatorio, ma anche della misura della tutela richiesta, con l’effetto che a ciascuna di esse, laddove la contestazione verta sulla corrispondenza del confine a quello reale, va riconosciuto un uguale interesse a veder accertata e dichiarata l’effettiva estensione del proprio fondo, mentre un’apposita domanda del convenuto è richiesta soltanto nel caso in cui questi intenda anche conseguire il rilascio della zona che rivendica a sè e che risulti occupata dalla controparte (Cass. n. 858 del 2007).

Il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 950 c.c., commi 2 e 3, e art. 112 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4 e motivazione contraddittoria e apparente su un punto decisivo della controversia, lamenta che la sentenza impugnata sia giunta alla determinazione del confine tra i due fondi sulla base della mera considerazione di una sorta presunzione di conformità dello stato dei luoghi a diritto in assenza di prova contraria. Così ragionando la Corte di appello ha però disatteso l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che evidenza come, nel giudizio di regolamento dei confini, i proprietari dei fondi assumono una posizione sostanzialmente paritaria anche con riguardo all’assunzione dell’onere della prova, con l’effetto che il giudice, non solo non può decidere sulla base di tale principio, ma è tenuto ad utilizzare ogni mezzo di prova disponibile e, in mancanza, le indicazioni contenute nelle mappe catastali. Il mezzo è fondato.

La Corte di merito è pervenuta alla soluzione accolta sostenendo di condividere l’affermazione del Tribunale che aveva individuato il confine tra i due fondi nel muro in ragione del fatto che "da moltissimo tempo il fondo dei B. era chiuso da una recinzione in muratura", osservando che tale conclusione "ha tratto insuperabile spunto dal consolidato stato dei luoghi, dalla recinzione in muratura eretta dai B. e dalla mancata allegazione di qualsivoglia titolo originario ovvero contrattuale che sostenesse l’estensione della proprietà dei medesimi appellanti a detta stradella esterna alla ricordata recinzione". Il nucleo della motivazione della sentenza di secondo grado riposa pertanto sulla argomentazione che lo stato di diritto corrisponda sostanzialmente allo di fatto dei luoghi, essendo la presenza di un muro di delimitazione di antica data prova idonea e sufficiente alla individuazione del confine.

Così ragionando, il giudice di merito è però incorso in un evidente errore, trascurando di considerare, da un lato, il carattere reale dell’azione, che tutela il diritto di proprietà, e, dall’altro, la posizione paritaria che nel relativo giudizio assumono le parti contendenti. Sotto il primo profilo, relativo al carattere reale dell’azione, la decisione appare discostarsi dal principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’accertamento del confine non può fondarsi direttamente sulla considerazione dello stato di fatto esistente, ma deve prendere in esame i titoli di proprietà, che formano oggetto primario dell’indagine richiesta al giudice di merito, e quindi, soltanto in caso di mancanza o insufficienza di indicazioni sul confine rilevabili dai titoli, secondo quanto disposto dall’art. 950 cod. civ., ogni altro mezzo di prova, tra cui vanno comprese le risultanze delle mappe catastali (Cass. n. 23720 del 2007; Cass. n. 21686 del 2006; Cass. n. 8814 del 2003). Sotto l’altro aspetto sopra evidenziato, relativo alla posizione che le parti assumono nel relativo giudizio, la sentenza non è invece condividibile laddove sembra giustificare la soluzione accolta in ragione del mancato assolvimento da parte degli attori dell’onere di allegare il titolo di proprietà comprovante l’estensione del terreno da essi pretesa.

La conclusione appare infatti contrastante con la già rilevata situazione di sostanziale parità che va riconosciuta alle parti anche sotto il profilo dell’onere probatorio, che impedisce di poter ricavare dalla mancata produzione in giudizio da parte dell’attore del titolo di proprietà conseguenze negative a suo carico (Cass. n. 3082 del 2006). Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., contraddittorietà e/o insufficienza di motivazione, motivazione apparente, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando la omessa o erronea valutazione da parte del giudice di merito delle risultanze istruttorie. In particolare il giudice di appello avrebbe del tutto trascurato i documenti da cui risultava l’esistenza del viottolo di proprietà degli attori nel catasto napoleonico e nell’atto di compravendita del 29 maggio 1935, nonchè le dichiarazioni testimoniali, che avevano confermato l’uso da parte loro del viottolo fino all’apposizione della rete metallica da parte dei convenuti, nonchè le stesse risultanze della consulenza tecnica di ufficio, che aveva rilevato discrepanze tra la situazione indicata nelle mappe e lo stato dei luoghi. Il motivo va dichiarato assorbito in ragione dell’accoglimento del mezzo precedente, che imporrà al giudice del rinvio una nuova valutazione del materiale probatorio acquisito in giudizio.

Il quarto motivo di ricorso, che denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ. e della L. n. 765 del 1967, art. 17 come modificato dalla L. n. 11650 del 1942, art. 41 quinquies, comma 1, lett. c), violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4 e motivazione contraddittoria ed apparente su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto applicabile nel caso di specie la disposizione di cui all’art. 873 cod. civ., in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, qualora il regolamento edilizio sia privo di disposizioni sulle distanze legali, devono applicarsi quelle previste dalla Legge Ponte n. 765 del 1967, art. 17 in base alle quali la distanza dagli edifici non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.

Sotto altro profilo, si lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto la costruzione dei convenuti rispettosa della distanza di cui all’art. 873 cod. civ., facendo riferimento alla consulenza tecnica, che però conteneva indicazioni sulla sola distanza della costruzione dal confine non già in relazione alla distanza tra costruzioni.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Inammissibile, in particolare, è la prima censura, che lamenta la mancata applicazione della disposizione di cui alla L. n. 765 del 1967, art. 17. Tale conclusione si impone in quanto, come risulta dalla sentenza di appello e dallo stesso ricorso, nei giudizi di merito era stata invocata e si era discusso dell’applicazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 14444, art. 14 mentre soltanto con il ricorso per cassazione le parti hanno chiesto l’applicazione della disposizione della legge urbanistica sopra citata. Tale disposizione richiede però, ai fini della sua applicabilità nel caso di specie, accertamenti di fatto, quali quello relativo all’altezza dell’edificio, che, non risultando dalla sentenza impugnata, debbono considerarsi nuovi e perciò non consentiti dinanzi a questa Corte, che, quale giudice di legittimità, non può provvedervi. Il cambio di prospettiva non è pertanto superabile sulla base della considerazione che la questione proposta si risolve nella mera individuazione della norma di legge che disciplina il caso concreto, atteso che la nuova deduzione, come si è visto, implica accertamenti di fatto diversi da quelli posti in essere nei giudizi di merito.

La seconda censura appare invece infondata, avendo il giudice di appello correttamente riferito l’accertamento in ordine al rispetto della distanza legale di cui all’art. 873 cod. civ. alla tettoia sporgente del fabbricato dei convenuti e quindi alla distanza tra gli edifici e motivato adeguatamente tale conclusione mediante richiamo alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, precisando che le stesse non erano tale contestate.

In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il terzo e respinti il primo ed il quarto; la sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste, che si adeguerà, nel decidere, al seguente principio di diritto: "nel giudizio di regolamento di confini, in cui le posizioni dell’attore e del convenuto sono sostanzialmente uguali, incombendo su ciascuno di essi l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all’individuazione della esatta linea di confine, la base primaria dell’indagine del giudice di merito ai fini dell’accertamento richiesto è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà, sicchè solo la mancanza o l’insufficienza di indicazioni sul confine rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione in giudizio, può giustificare il ricorso ad altri mezzi di prova, tra cui vanno comprese le risultanze delle mappe catastali". La liquidazione delle spese di questo giudizio è rimessa la giudice di rinvio.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo e respinge il primo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.

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