CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – 7 giugno 2011, n. 12274. In tema di contratto di spedalità.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di una norma di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione all’art. 1218 cod. civ..
Sostiene la ricorrente che, dovendosi applicare tale ultima norma in ragione della fonte contrattuale del rapporto giuridico intercorso tra l’attrice e l’Ospedale Buzzi di Milano e ricadendo su quest’ultimo l’onere di dimostrare che aveva correttamente eseguito la propria prestazione e che l’infezione contratta dalla signora F. fosse conseguenza di una causa non imputabile alla struttura ospedaliera, il convenuto appellato non avrebbe assolto a tale onere e la Corte d’Appello, errando in iudicando, avrebbe giustificato “tale mancanza in ragione della tecnica disposta d’ufficio dal Tribunale di Milano". Aggiunge la ricorrente che questa consulenza avrebbe chiaramente indicato che l’infezione così come contratta dalla signora F. era da intendersi quale infezione di "natura esogena" ed avrebbe altresì indicato "chiaramente che l’infezione contratta da parte della ricorrente era la conseguenza diretta dell’operazione di apertura della cavità uterina a seguito di contaminazione metachirurgica": secondo la ricorrente, l’ente convenuto in giudizio non avrebbe mai dimostrato che tale infezione fosse da annoverarsi tra le ipotesi di caso fortuito ovvero che il suo verificarsi fosse da ricondursi ad un fatto/evento non attribuibile alle prestazioni che l’ente in questione avrebbe dovuto erogare; al contrario, l’attrice avrebbe puntualmente assolto il proprio onere probatorio fornendo la prova del contratto, dell’insorgenza della nuova patologia, nonché del nesso di causalità tra l’azione o l’omissione del debitore e l’evento dannoso. In particolare, la ricorrente si duole del mancato espletamento delle prove richieste, con riferimento alla corretta sterilizzazione della sala operatoria e degli strumenti chirurgici ed alla corretta e veritiera compilazione della cartella clinica, che, secondo la ricorrente, avrebbero consentito di valutare se l’ospedale aveva correttamente e puntualmente adempiuto a tutte le obbligazioni assunte nei confronti della signora F. dal momento del ricovero.
1.2.- La sentenza impugnata esamina, uno per uno, tutti i motivi di appello, dandone adeguata confutazione sulla base delle risultanze sia della relazione peritale che del suo supplemento, disposti nel corso del giudizio di primo grado. In particolare, valuta i motivi di appello concernenti:
– la scelta della tecnica adottata dal personale medico per l’esecuzione del taglio cesareo (tecnica Stark), censurata sia sotto il profilo della sua natura sperimentale e dell’idoneità in sé a causare infezioni sia sotto il profilo dell’esperienza professionale maturata dai sanitari che l’avevano applicata;
– la responsabilità dei medici o, comunque, della struttura ospedaliera, non solo nella scelta di detta tecnica, ma anche nello svolgimento dell’intervento chirurgico e nella somministrazione delle cure successive;
la cattiva lettura dei dati riportati dal CTU nella relazione supplementare in merito alle percentuali di verificazione di analogo evento in casi simili;
la causa dell’intervento chirurgico successivo di revisione della cavità uterina.
1.3.- Il ricorso non è direttamente riferito o riferibile alle questioni oggetto della prima e dell’ultima censura, in sé considerate e come sopra riportate, ovvero alle questioni connesse alla diagnosi di insorgenza dell’infezione ed alle cure successive. Infatti, per come risulta dall’intera parte illustrativa ed anche dalla sintesi sopra riportata, il motivo si appunta, in diritto, sulla mancata dimostrazione da parte della struttura ospedaliera di un evento imprevisto ed imprevedibile idoneo ad escludere la sua responsabilità per inadempimento; ed, in fatto, sulla censura per cui la causa della peritonite sarebbe da ricercarsi nella contaminazione della cavità uterina, della quale, proprio sulla base delle risultanze della CTU ed in mancanza di prova contraria da parte della convenuta appellata, dovrebbe rispondere quest’ultima, essendo rimasta ignota la causa di detta contaminazione, avendo il CTU indicato come di "natura esogena" l’infezione e quindi ascrivibile anche alla mancata asepsi della sala chirurgica o degli strumenti chirurgici ovvero alla contaminazione da parte di germi esogeni della cavità uterina aperta durante l’intervento di taglio cesareo.
1.4.- Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
La Corte d’Appello ha qualificato correttamente il rapporto come contrattuale ed, in diritto, ha tratto tutte le dovute conseguenze applicative dell’art. 1218 cod. civ., anche con riguardo al particolare aspetto della controversia che è specifico oggetto di censura.
Nel valutare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio la Corte di merito ha preso in esame anche quanto detto dal consulente a proposito dell’evenienza infettiva e ha ricondotto l’infezione ad un evento imprevisto e comunque non evitabile né imputabile alla condotta dei sanitari. Infatti, per un verso, ha escluso che fosse ascrivibile a colpa dei sanitari la causa mediata dell’infezione, vale a dire la scelta dell’intervento chirurgico d’urgenza, ritenuto indifferibile, e della tecnica operatoria, ritenuta giustificata e non sperimentale; per altro verso, ha ascritto la contaminazione della cavità addominale da parte di germi, della quale indubbiamente l’intervento chirurgico era stato occasione (o causa mediata), ad una complicanza che può sì verificarsi per interventi quale quello subito dall’attrice, ma in una percentuale talmente bassa che è da escludere che il relativo accadimento potesse essere previsto ed evitato dai sanitari adottando la diligenza richiesta nel caso concreto.
Ed invero, pur non avendo la Corte d’Appello specificamente motivato in merito alla configurazione giuridica di detta causa di esonero da responsabilità, si è esplicitamente avvalsa dell’elaborato peritale supplementare – finalizzato proprio a conoscere la percentuale di verificazione della complicanza infettiva in casi di cesarei trattati con la tecnica di Stark – al fine di confermare la sentenza di primo grado che aveva utilizzato i parametri indicati dal consulente (nella misura compresa tra lo 0,3% e lo 0,7% delle concrete possibilità del verificarsi, in casi analoghi, di complicanze operatorie non imputabili ad omessa o insufficiente diligenza professionale ovvero ad imperizia dell’operatore) per affermare l’inevitabilità, nel caso concreto, di detta complicanza.
Decidendo in tale ultimo senso la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi più volte espressi in materia da questa Corte e che qui si ribadiscono, per i quali, in caso di prestazione professionale medica in struttura ospedaliera, resta a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da un evento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta, in particolare con la diligenza qualificata dalle conoscenze tecnico-scientifiche del momento (cfr., tra le più recenti, Cass. 8 ottobre 2008, n. 24791, 15 ottobre 2009, n. 975, 29 settembre 2009, n. 20806).
1.5.- Né può evidentemente rilevare, sempre in punto di diritto, che la configurabilità di un evento non evitabile sia stata ricavata dalla consulenza tecnica d’ufficio piuttosto che da elementi di prova desunti da mezzi istruttori richiesti ed espletati ad istanza della convenuta appellata.
Il giudice può trarre dalla consulenza tecnica d’ufficio gli elementi di giudizio che egli ritenga di dover porre a fondamento della propria decisione, anche quando siano gli unici acquisiti al processo, ma comunque ritenuti determinanti, essendo altresì affermazione di questa Corte, che qui va ribadita, quella per la quale la consulenza tecnica può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva anche in uno strumento di accertamento di situazione ricavabile solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche (cfr., tra le altre, Cass. 21 aprile 2005, n. 8297, 30 maggio 2007, n. 12695). D’altronde, come richiesto dalla univoca giurisprudenza di questa Corte in tema di CTU (cfr. Cass. 26 novembre 2007, n. 24620, Cass. 13 marzo 2009, n. 6155), la convenuta appellata Gestione Liquidatoria ha svolto deduzioni coerenti con l’onere della prova di cui era gravata, essendo sufficiente l’allegazione che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e con la perizia richiesta e che l’inadempimento o l’inesatto adempimento non sarebbe stato evitabile né prevedibile.
2.- Diverso è invece il profilo, che nell’illustrazione del motivo finisce per essere confuso con gli altri di cui si è detto sopra, concernente la correttezza delle conclusioni tratte dalla Corte di merito dalle risultanze della CTU, più specificamente l’apprezzamento di queste come indicative di una situazione non riconducibile a difetto di diligenza o di perizia dei sanitari. Infatti, l’apprezzamento della sussistenza nel caso concreto di una causa di esonero da responsabilità contrattuale è riservato al giudice del merito, in quanto concernente un giudizio di fatto, ed è censurabile in cassazione soltanto se non adeguatamente motivato. Pertanto, le doglianze svolte dalla ricorrente in merito al mancato espletamento di mezzi istruttori che avrebbero dovuto condurre alla verifica dell’insussistenza di un evento imprevedibile ed inevitabile così come configurato dai giudici di merito, sia quanto alla riconducibilità della complicanza infettiva a condotte positivamente ascrivibili alla struttura sanitaria, piuttosto che alle percentuali di verificazione inevitabili riconosciute dalla letteratura medica, sia quanto all’inidoneità di tali dati statistici (che secondo la ricorrente non avrebbero potuto essere utilizzati in termini assoluti ma soltanto comparandoli. con altri che sarebbe stato onere della convenuta appellata fornire con specifico riferimento alla propria struttura ospedaliera) attengono a vizi che, riguardando l’accertamento di fatto e la sua motivazione, avrebbero dovuto essere denunciati ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ..
È quindi inammissibile, per violazione della norma dell’art. 366 cod. proc. civ., il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., con riferimento ai profili di censura da ultimo richiamati.
3.- Avuto riguardo alla qualità delle parti ed alle vicende oggetto della decisione (tali da non consentire una valutazione in termini di manifesta infondatezza e pretestuosità del ricorso) si ritiene di giustizia la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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