Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2011) 14-11-2011, n. 41407

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Confermando la decisione del Giudice per le indagini preliminari, la Corte di Appello di Ancona, con sentenza 11 marzo 2010, ha ritenuto N.M. responsabile del reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e lo ha condannato alla pena di giustizia.

Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno sintetizzato gli esiti delle intercettazioni ambientali (i cui decreti autorizzativi sono stati reputati correttamente motivati) effettuate in una abitazione che era la sede operativa della organizzazione dello illecito traffico degli stupefacenti; da tali captazioni, la Corte ha tratto il convincimento che l’appellante si muniva di sostanza che spacciava al dettaglio. I Giudici hanno disatteso la contestazione difensiva sulla non certa identificazione dello imputato nel M. delle intercettazioni rilevando come la presenza del N. nel ricordato appartamento fosse certa per l’attività di appostamento e di osservazione della Polizia. A carico dell’appellante, inoltre, vi era la chiamata in correità di due coimputati.

Per l’annullamento della sentenza, N. ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

-che è carente di motivazione il decreto del Pubblico Ministero di utilizzazione per le intercettazioni di impianti non collocati in Procura;

– che i Giudici hanno tratto il loro convincimento non dalle trascrizioni peritali delle intercettazioni, ma a quelle sommarie effettuate ex art. 268 c.p.p., comma 2 e riportate nei verbali redatti dalla Polizia Giudiziaria;

-che non è certa la identificazione nello imputato del M. delle intercettazioni dal momento che vi erano altri personaggi con lo stesso nome;

-che le chiamate in correità sono carenti del necessario riscontro esterno e della valutazione sulla attendibilità dei dichiaranti. Le deduzioni dell’atto di ricorso non sono meritevoli di accoglimento.

Per quanto concerne la prima censura, si rileva che scelta del Legislatore di privilegiare per le intercettazioni l’uso degli impianti esistenti presso gli uffici giudiziari (per tutelare la segretezza delle comunicazioni preservandole da incontrollate intrusioni) può essere superata nella ipotesi di comprovata urgenza e di impossibilità tecnica di eseguire le operazioni presso le dotazioni della Procura. Sul tema, si è precisato che l’onere di motivazione del Pubblico Ministero non è assolto con il generico riferimento, che ripete la formula legislativa, alla "insufficienza" o "inidoneità" degli impianti perchè necessita che si dia contezza, sia pure senza particolari approfondimenti, delle ragioni che rendono concretamente inidonei gli impianti della Procura al raggiungimento dello scopo in relazione al reato ed al tipo di indagini (Sezioni Unite sentenza n 30347/2007). Un tale – sintetica, ma sufficiente – motivazione è riscontrabile nel provvedimento del Pubblico Ministero che esplicita la ragione per la quale le operazioni non erano eseguibili in Procura; dalla richiesta di intercettazione ambientali, emergevano i motivi di particolare urgenza che imponevano una attivazione immediata del mezzo di ricerca della prova.

In merito alla seconda deduzione, peraltro priva della necessaria concretezza, si osserva che la censura è squalificata dalla lettura della impugnata sentenza nella quale sono riportati i passaggi essenziali delle intercettazioni; da tali trascrizioni, si evince chiaramente che i Giudici hanno avuto come referente per formare il loro convincimento non il sunto delle comunicazioni, ma l’intero testo.

Relativamente alla individuazione nello attuale imputato del colloquiante nelle captate intercettazioni, la motivazione della sentenza è congrua, completa, corretta e risponde anche alle confutazioni dell’appellante. Di contro, il ricorrente formula censure in fatto tendenti ad una rinnovata ponderazione del coacervo probatorio, alternativa a quella correttamente operata dai Giudici di merito; pertanto, introduce problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimità.

In merito alla residua censura, si osserva che le testimonianze rese dal coimputato del medesimo reato, o di reato connesso a quello per cui si procede, stante la peculiare posizione del soggetto, sono considerate una fonte probatoria a rischio.

Il primo problema da superare è quello della credibilità dello accusatore: sul punto, il Giudice deve effettuare un rigoroso controllo sulle intrinseche caratteristiche della testimonianza e sui profili della credibilità soggettiva del dichiarante.

Successivamente, il Giudice deve effettuare la valutazione del contenuto della prova in relazione alla quale incontra un limite al principio del libero convincimento per il contenuto dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che, introducendo un criterio precostituito, lo vincola alla ricerca di "altri elementi"che confermino l’attendibilità dello accusatore.

Tutta questa complessa problematica era stata, in modo corretto ed approfondito, affrontata nella sentenza di primo grado (che, essendo conforme a quella impugnata, la integra costituendo un tutto organico) che aveva, con motivazione esaustiva ed immune da vizi, evidenziato la ragione per la quale le accuse dei correi fossero affidabili; i riscontri oggettivi erano reperibili nel contenuto delle intercettazioni telefoniche.

Il motivo di appello sul tema era privo della necessaria concretezza in quanto l’imputato si limitava a riportare la giurisprudenza di legittimità senza indicare la ragione per la quale, nel caso concreto, i dichiaranti non fossero affidabili e la conclusione della sentenza appellata fosse censurabile; la critica non è stata presa in esame nella impugnata sentenza.

La lacuna motivazionale, non rileva dal momento che la Corte territoriale ha fondato essenzialmente la sua declaratoria di responsabilità sulle intercettazioni telefoniche che sono sufficienti a tale fine; invero, anche espungendo dagli elementi a carico dell’imputato le dichiarazioni dei correi, rimane integro il compendio probatorio che consente – escludendo ogni altra ragionevole ipotesi alternativa – di ritenere il N. responsabile del contestato delitto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *