Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-07-2011) 14-11-2011, n. 41467

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., con ordinanza del 26 giugno 2010 (pubblicata il successivo 14 agosto), ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 8 giugno 2010, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di B.E., B.G., C. V., Ca.Ro., R.D., sottoposti ad indagini per il delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrina Bruzzise, operante in (OMISSIS), e, in particolare, perchè fornivano un importante contributo alla vita dell’associazione, recandosi ai colloqui con il congiunto, Br.Gi., detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo, padre di B.E. e B.G., suocero di C.V. e R.D., e cognato di Ca.

R., aggiornandolo sugli avvenimenti più recenti e da lui ricevendo direttive da eseguire direttamente o da comunicare ad altre persone non detenute, mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca per la realizzazione del suo programma criminoso.

Secondo i giudici della cautela, dalle intercettazioni ambientali dei colloqui svoltisi nel carcere romano di Regina Coeli il 5, il 12 e il 19 gennaio del 2007, era emerso che C.V. era stato autorizzato dal suocero a rappresentare la cosca Bruzzise nei rapporti con l’alleata ‘ndrina Panello di Palmi, capeggiata da P.C.; che Ca.Ro. aveva ricevuto analogo incarico, insieme al mandato di serrare le fila dell’associazione e di comunicare ai familiari di G.D., morto ammazzato il (OMISSIS), già presunto esattore di tangenti estorsive per conto dei Bruzzise, che, anche dopo l’omicidio, l’alleanza fra le due famiglie, Bruzzise e Gaglioti, sarebbe continuata, con l’assunzione da parte degli stessi Bruzzise del compito di riscuotere i proventi estorsivi, pari, tra gli altri, al 3% dell’importo degli appalti relativi ai lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria nel tratto interessante il territorio di Barritteri; che R.D. aveva ricevuto l’incarico di verificare quali persone a Barritteri fossero disposte a schierarsi dalla parte dei Bruzzise nella faida contro l’opposto schieramento dei Gallico – Morgante – Sciglitano; che i giovani figli del B., E. e G., erano a conoscenza delle strategie criminali dell’associazione facente capo al loro padre, ed erano disponibili a difenderne il prestigio criminale dopo gli attacchi da essa subiti con il predetto omicidio del G. in data (OMISSIS) e l’omicidio commesso pochi giorni prima, il (OMISSIS), di S.A. (cognato di B.C., fratello di Gi., come quest’ultimo detenuto in espiazione della pena d’ergastolo), seppure con diversi progetti strategici, privilegiando B.E. la reazione ferma e immediata voluta dal padre con la riaffermazione della legittimazione conseguita dalla cosca, storico sodalizio imperante in Barritteri, a partecipare alla spartizione territoriale delle tangenti imposte dalle cosche calabresi della fascia tirrenica agli imprenditori assegnatari dei lavori del quinto macrolotto dell’autostrada A3; mentre B.G., pur esplicitamente apprezzato dal padre per la sua intelligenza degna di quella dell’omonimo nonno, morto ammazzato il (OMISSIS), era più propenso ad una reazione prudente agli attacchi subiti dalla propria famiglia, in adesione alla posizione dello zio, B.A. (fratello libero di Gi.), favorevole ad una temporanea sospensione delle attività estorsive in attesa del ricompattamento della cosca.

2. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione tutti gli indagati tramite il comune difensore, avvocato Antonio Managò del foro di Reggio Calabria.

3. Motivo comune dedotto nei medesimi termini da tutti i ricorrenti è quello relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali dei colloqui carcerari, accompagnate da videoriprese, i cui contenuti integrano, secondo i giudici della misura cautelare, il compendio indiziario specifico a carico di ciascun indagato.

Si tratta, in particolare, del secondo motivo di gravame, come tale indicato in tutti i ricorsi, pur avendo evidente carattere pregiudiziale.

I ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’inutilizzabilità dei risultati delle captazioni ambientali per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, non avendo il Pubblico ministero, nei decreti esecutivi delle intercettazioni, disposte in via d’urgenza con provvedimenti del 4/01/2007 e del 9/01/2007, convalidati dal Giudice per le indagini preliminari, motivato le ragioni del mancato impiego per le registrazioni degli impianti installati presso la Procura della Repubblica, considerato che la necessità di installare dispositivi tecnici all’interno del carcere per la videoregistrazione integrale dei colloqui non escludeva l’immediata confluenza dei dati captati in forma digitale nella memoria informatica centralizzata (server), installata presso l’ufficio di Procura, salva la possibilità di remotizzare l’ascolto, la verbalizzazione e l’eventuale riproduzione dei dati così registrati in appositi supporti informatici (CD-Rom o DVD) presso gli uffici della polizia giudiziaria, secondo la giurisprudenza a sezioni unite di questa Corte (citata sentenza n. 36359 del 2008, Carli, Rv.

240395).

4. L’ulteriore motivo di ricorso, comune a tutti gli indagati, denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio di motivazione in punto di gravità indiziaria, generica e specifica, con riguardo sia all’ipotizzata associazione di tipo mafioso, denominata ‘ndrina Bruzzise, sia alla partecipazione ad essa dei singoli indagati.

4.1. Innanzitutto non sarebbero stati raccolti gravi indizi di esistenza della cosca, insediata e operante nel territorio di Barritteri, posto che le sentenze irrevocabili indicate nel provvedimento impugnato farebbero riferimento ad altre articolazioni della ‘ndrangheta, e, in particolare, alla cosca dei Gallico di Palmi e non a quella ipotizzata nel presente procedimento, e che lo stesso collaboratore di giustizia, D.D.A., componente apicale del sodalizio mafioso "Cirillo", insediato nel territorio di Cosenza, nel rivelare le sigle delle cosche ammesse alla spartizione dell’imposta estorsiva o tassa d’impatto ambientale -così significativamente denominata- sui lavori di ampliamento dell’autostrada A3, nel territorio compreso tra Pizzo Calabro e Villa San Giovanni, aveva fatto riferimento alle famiglie Mancuso di Limbadi, Pesce – Bellocco di Rosarno, Piromalli di Gioia Tauro, Gallico di Palmi e Santaiti – Gioffrè – Sciglitano di Seminara – Barritteri, senza nominare i Bruzzise.

Aggiungono i ricorrenti che nessun valore probatorio, al riguardo, trattandosi di documento contenente mere opinioni del suo autore, poteva essere attribuito ad un manoscritto rinvenuto dagli inquirenti, il 18 dicembre 2006, dopo la serie di omicidi che avevano colpito la famiglia Bruzzise, nell’abitazione dei coniugi c. – O. (rispettivamente cognato e sorella di D.C., a sua volta morto ammazzato il 20 settembre 2006), nel quale era ricostruita la guerra di ‘ndrangheta, negli anni 2004-2006, tra la famiglia Bruzzise di Barritterri, alleata della cosca Parrei lo di Palmi e appoggiata dalla famiglia Gioffrè di Seminare, da una parte, e le cosche Santaiti di Seminara e Gallico – Morgante – Sciglitano di Palmi – Barritteri, dall’altra parte.

Criticano, soprattutto, i ricorrenti il rilievo attribuito agli elementi emersi dalle conversazioni captate, ritenuti scarsamente significativi di appartenenza dei singoli indagati alla presunta associazione: essi integrerebbero, infatti, liberi scambi di commenti tra il detenuto, Br.Gi., e i suoi visitatori, con riguardo ai fatti di sangue che avevano colpito la famiglia (oltre ai ricordati omicidi di G. e S. nel (OMISSIS), quelli precedenti di B.G., padre di Gi., risalente al (OMISSIS) e del cognato di quest’ultimo, Ce.

V., commesso il (OMISSIS)), e, in ogni caso, sarebbero privi di alcuna valenza sintomatica del preteso ruolo dinamico assunto dagli indagati nella presunta associazione a tutela degli interessi della stessa, non essendovi alcun indizio di concreti compiti da loro adempiuti all’esterno, su indicazione del congiunto detenuto, ed essendo emersa, al contrario, una diversità di vedute tra lo stesso Br.Gi. e il cognato, Ca.Ro., nonchè il figlio, B.G., sui comportamenti e le strategie da adottare in risposta agli attacchi subiti.

4.2. Non sussisterebbero, quindi, con riguardo ai singoli indagati, gravi indizi di un loro concreto contributo alla presunta associazione secondo il criterio dinamico-funzionale avallato dalla giurisprudenza di questa Corte, non potendo ridursi la condotta del prendere parte ad un sodalizio mafioso al mero status di appartenenza dedotto dai soli vincoli familiari con i ritenuti dirigenti, pur detenuti, del sodalizio.

Nell’interesse di C.V. il difensore ha anche depositato una memoria, il 14 luglio 2011, contestando la sua identificazione nella persona evocata da Br.Gi. come " E., il fidanzato di E.", nella conversazione del 19 gennaio 2007 con R.D., poichè, a quella data, il C. era già sposato con B.E. da ben cinque anni, avendo contratto matrimonio con la stessa il 25 agosto 2002, cosicchè Br.

G. non avrebbe potuto indicarlo come "il fidanzato" di sua figlia.

Motivi della decisione

5. I ricorsi proposti da B.G., C.V., Ca.Ro. e R.D. sono inammissibili, mentre è fondato il ricorso di B.E. nel motivo che denuncia il vizio della motivazione.

6. Mette conto, innanzitutto, di esaminare la doglianza relativa alla denunciata inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, perchè eseguite in violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, e, perciò, soggette alla sanzione processuale prevista dall’art. 271 c.p.p., comma 1.

Il motivo è manifestamente infondato e, perciò, inammissibile.

Dalla lettura del decreto di intercettazione di conversazioni tra presenti (ambientale audio-video) in carcere, emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, in data 4 gennaio 2007, con richiamo in motivazione, come parte integrante di essa, del contenuto di precedente analogo decreto in data 12 dicembre 2006, si evince, in forza dell’esplicito rinvio operato, l’inesistenza di una connessione idonea a consentire di remotizzare le conversazioni di interesse investigativo dalla struttura carceraria, dove si trovava ristretto il B., agli impianti installati presso l’ufficio di Procura, facendosi cenno altresì agli impedimenti tecnici inerenti al trasferimento delle registrazioni dalla sede carceraria a quella della Procura della Repubblica, rappresentati oralmente dall’impresa da cui era stato noleggiato l’impianto di captazione (c.f.r. il decreto di intercettazione in data 4 gennaio 2007, n. 3/07 R.I.T., e il precedente decreto del 12 dicembre 2006, emesso ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, dal primo espressamente richiamato).

Analogamente, nel successivo provvedimento di intercettazione ambientale in carcere, emesso pochi giorni dopo, il 9 gennaio 2007, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria – Direzione distrettuale antimafia, cui nel frattempo erano stati trasmessi gli atti del procedimento per competenza, si legge testualmente che le operazioni (…) non possono essere compiute per mezzo degli impianti installati negli uffici della Procura della Repubblica (…) inidonei alla scopo, attesa la necessità di collocazione delle apparecchiature tecniche in prossimità dei luoghi ove avvengono le comunicazioni intercettande", con conseguente disposizione di eseguire le operazioni con "impianti in dotazione alla polizia giudiziaria", delegata altresì ad avvalersi di "apparecchiature ed ausiliari esterni all’Amministrazione, purchè operanti sotto il diretto controllo degli ufficiali di polizia giudiziaria" (c.f.r. il decreto di intercettazione in data 9 gennaio 2007, n. 62/07 R.I.T. D.D.A.).

Ne discende che i provvedimenti che hanno disposto le intercettazioni delle conversazioni in carcere tra Br.Gi. e i suoi congiunti, i contenuti delle quali integrano i ritenuti gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, sono stati adeguatamente motivati, laddove escludono una connessione utile a consentire la remotizzazione della registrazione audiovisiva -da eseguire nel carcere di Regina Coeli, in Roma, dove era all’epoca ristretto il B. – presso gli impianti installati nelle Procure della Repubblica di Palmi e di Reggio Calabria. Conseguentemente non ricorre il divieto di utilizzazione delle intercettate conversazioni, rappresentato dai ricorrenti, i quali, a ben vedere, più che denunciare il vizio di motivazione dei decreti autorizzanti le intercettazioni ambientali mediante il ricorso ad impianti esterni, si cimentano in una critica tecnica delle ragioni dell’allegata impossibilità di concentrare le registrazioni presso il server esistente nell’ufficio di Procura, fondata sulla scindibilità delle riprese audiovisive nelle loro componenti foniche e ritmiche, con argomentazioni manifestamente estranee al sindacato di legittimità di questa Corte sulla motivazione dei decreti in esame, limitato alla verifica dell’esistenza, coerenza e non manifesta illogicità di essa, nella fattispecie positiva con riguardo a tutti i parametri previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

7. Del tutto generiche e, comunque, di merito sono le censure mosse dai ricorrenti, B.G., C.V., Ca.

R. e R.D., al ricco apparato argomentativo dell’ordinanza in materia di gravi indizi di esistenza della ‘ndrina Bruzzise e di partecipazione ad essa dei predetti indagati.

Al riguardo tutti i ricorsi presentano un’identica struttura.

Dopo ampie trascrizioni, nelle prime otto pagine, di interi passaggi motivazionali di sentenze di questa Corte di cassazione in tema di condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari coercitive, i ricorsi si concentrano, fino alla quattordicesima pagina, nella critica della ritenuta esistenza di una cosca Bruzzise attualmente operativa in Barritteri, frazione di Seminara, sottolineando l’inesistenza di alcun elemento idoneo a dimostrare che le aspirazioni ad affermare il potere criminale della famiglia sul territorio, attribuite al presunto boss detenuto, Br.

G., siano state tradotte in realtà dai suoi interlocutori, ed affidano alle ultime tre pagine la censura della motivazione, che sarebbe solo apparente, in punto di gravi indizi di appartenenza di ciascun indagato alla consorteria criminale sulla base dei soli contenuti delle conversazioni intercettate in carcere.

Lungi dal proporre una motivazione apparente o contraddittoria o manifestamente illogica, l’ordinanza impugnata, invece, spiega diffusamente:

a) il radicamento remoto e tuttora attuale della cosca Bruzzise nel territorio di Barritteri, ricostruendone, con accurato raccordo di plurimi dati investigativi tratti anche da altri coevi procedimenti e ancorati a fatti accertati in sentenze irrevocabili, le vicende, le alleanze, i conflitti e gli attuali interessi nell’ambito delle spartizioni delle tangenti imposte dalle varie cosche calabresi alle imprese impegnate nell’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, secondo un rigoroso criterio territoriale assegnante a ciascuna cosca il potere di esigere estorsioni per i lavori eseguiti nelle rispettive zone di influenza (pagg. 4-25 dell’ordinanza);

b) la fase di fibrillazione nella quale versava la cosca Bruzzise a seguito della guerra di mafia, di cui era stata protagonista dopo la scarcerazione, nel 2004, di B.G. senior (classe (OMISSIS)), detto "(OMISSIS)", rispettivamente padre del detenuto, Br.Gi., e nonno dell’omonimo nipote. L’anziano boss aveva voluto riaffermare il potere criminale del proprio gruppo, in Barritteri, insidiato dalla concorrente famiglia Santaiti di Seminara, e aveva fatto uccidere Co.An., esattore di tangenti per conto dei Santaiti, e Sc.Ca., quest’ultimo referente delle famiglie mafiose Gallico – Morgante – Sciglitano di Palmi – Barritteri, determinando lo scoppio di un sanguinoso conflitto in cui erano caduti lo stesso capo, B. G. (assassinato il (OMISSIS)), suo cognato C. V. (ucciso il (OMISSIS)) e i predetti S.A. (ammazzato il (OMISSIS)), cognato di B.C., e G.D. (assassinato il (OMISSIS)), uomo di fiducia dei Bruzzise ed esattore per conto loro delle tangenti estorsive (ib.);

c) la disponibilità degli indagati, Ca., C., B.G. iunior (figlio di Gi.) e R., nella suddetta delicata fase della vita della cosca, ad elaborare col congiunto detenuto, Br.Gi., e ad attuare le strategie militari ed economiche del sodalizio, le prime finalizzate all’autodifesa e alla vendetta nei confronti dei nemici, facendo leva sull’amicizia con la cosca Parrei lo e segnatamente col capo di essa, all’epoca latitante, P.C., in grado di fornire armi e sostegno alla cosca in difficoltà; le seconde dirette a rivendicare la quota delle tangenti estorsive di spettanza della famiglia Bruzzise, in conformità delle disposizioni provenienti dalle ‘ndrine più eminenti della fascia tirrenico-reggina e, segnatamente, dal gruppo Bellocco di Rosarno (pagg. 28-53, ib.).

La circostanza che non risulterebbe provata l’effettiva esecuzione, da parte degli indagati, delle direttive ricevute in carcere dal loro capo, non è significativa al fine di escludere la ritenuta gravità indiziaria della partecipazione degli stessi all’associazione di tipo mafioso, il cui elemento essenziale è costituito, nella fattispecie prevista dall’art. 416 bis cod. pen., dalla concreta adesione prestata al metodo mafioso, inteso come impiego della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà da essa scaturente, per le finalità indicate dalla stessa norma tra cui la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti.

In proposito, è stato già affermato da questa Corte che la tipicità del modello associativo delineato dall’art. 416 bis cod. pen. risiede nella modalità attraverso cui l’associazione si manifesta concretamente (modalità che si esprimono nel concetto di "metodo mafioso") e non negli scopi che si intendono perseguire (descritti nell’art. 416 bis, comma 3 e che devono essere intesi in senso alternativo e non cumulativo). Tali scopi abbracciano solo genericamente "i delitti", comprendendo una varietà indeterminata di possibili tipologie di condotte, che possono essere costituite anche da attività lecite, tanto che una sola delle possibili finalità dell’associazione mafiosa è comune alla associazione per delinquere ordinaria (la commissione di delitti). Ne consegue che non è necessario, ai fini della configurabilità del delitto, che i predetti scopi siano effettivamente raggiunti (Sez. 6, n. 1612 del 11/01/2000, dep. 10/02/2000, Ferone, Rv. 216636), e, stante l’autonomia del reato associativo rispetto ai reati "fine", la prova della partecipazione all’associazione può essere data con mezzi e modi diversi dalla prova in ordine alla commissione dei predetti, sicchè non rileva, a tal fine, il fatto che l’imputato di reato associativo non sia stato condannato per i reati "fine" dell’associazione (Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, dep. 23/06/2010, Bilancia, Rv. 247660).

Nell’ordinanza impugnata, la concreta disponibilità degli indagati, Ca., C., B.G. (classe (OMISSIS)) e R. ad operare nell’interesse della cosca Bruzzise, condividendone metodo e finalità, è specificamente motivata col richiamo ai pregnanti contenuti delle conversazioni intercettate, da cui emerge l’incarico di Br.Gi. al cognato, Ca., e al genero, C., di cercare, nel difficile frangente attraversato dalla loro famiglia, l’appoggio di P.C., all’epoca latitante, e di rivolgersi a lui per ottenere le armi necessarie a fronteggiare le necessità del momento, tenendosi pronti all’uccisione dei nemici anche attraverso vendette trasversali come l’assassinio di "innocenti", con l’ulteriore specifico mandato conferito dal B. al Ca. di rassicurare i familiari dell’assassinato G. sulla compattezza della stessa cosca Bruzzise (conversazione del 5 gennaio 2007); l’analoga raccomandazione di Br.Gi. al figlio, G., di recarsi dall’alleato P.C. e di riferire allo zio, B.A. (fratello in libertà di Gi.), di fare altrettanto, potendo altresì contare sull’appoggio dei familiari del G. (conversazione del 12 gennaio 2007); l’ammissione del R., nel colloquio con il suocero, Br.Gi., che la famiglia era presente sul territorio e manifestava all’esterno la sua forza ("loro sanno che siamo là"), coinvolgendo dunque se stesso nell’appartenenza al sodalizio e ricevendo dal congiunto la raccomandazione di girare sempre armato, con l’incarico, altresì, di compiere una sorta di sondaggio per verificare quali fossero le persone affidabili per il gruppo, e con la confidenza dello stesso R. al suocero circa la protezione da lui assicurata all’impresa di un suo cugino, tale ca.ro., impegnato nei lavori di ampliamento dell’autostrada nella zona di influenza della cosca, dopo il danneggiamento di due escavatori (conversazione del 19 gennaio 2007).

Quanto alla contestata identificazione nel C. di " E…. il fidanzato di E.", menzionato da Br.Gi. nel corso della conversazione del 19 gennaio 2007 con il R., si tratta di una censura di merito che, comunque, ignora la necessità di contestualizzare il richiamo del Bruzzise, il quale, riferendo al R. i suoi ottimi rapporti con le principali ‘ndrine di Reggio Calabria, ricorda l’aiuto ricevuto da D.S.P., noto capo ‘ndrangheta, quando " E…. il fidanzato di E. aveva problemi a Reggio", svolgendo un discorso al passato, compatibile con un tempo in cui il C. non era ancora sposato; in ogni caso, non si tratta dell’unico elemento addotto nell’ordinanza impugnata a sostegno del ritenuto grave quadro indiziario a carico del ricorrente, come sopra adeguatamente motivato.

Da tutto quanto precede deriva l’inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse degli indagati Ca., C., B.G. e R., i quali, come si è anticipato, non denunciano specifici vizi motivazionali della puntuale e coerente ordinanza impugnata, ma propongono una diversa lettura del materiale indiziario non consentita al giudice di legittimità. 8. Un distinto discorso merita, infine, la posizione di B. E., la quale, secondo gli elementi indicati nella stessa ordinanza (v. pagg. 36-40 di essa), si limita ad esprimere, nella conversazione del 5 gennaio 2007, la sua convinzione, diversa da quella dello zio, B.A., circa la necessità di reagire subito e con decisione agli attacchi subiti dalla sua famiglia con gli omicidi del S. e del G., e si inserisce nel colloquio tra il genitore, il proprio marito, C.V., e il cognato del B., Ca.Ro., a proposito della ripartizione delle tangenti estorsive, riferendo al padre che corre voce, all’esterno, che i Bruzzise vogliano "avere tutta l’acqua" per sè.

L’ordinanza, però, non chiarisce se e quale incarico, oltre al fatto di essere informata delle vicende associative come figlia del boss detenuto e di esprimere le sue posizioni al riguardo, abbia ricevuto la Bruzzise nell’interesse dell’associazione, contrariamente a quanto, invece, viene compiutamente indicato per gli altri indagati, tutti designati a specifici compiti esterni dal capo detenuto oltre che latori di informazioni allo stesso.

Non può, invero, ritenersi sufficiente a configurare la partecipazione ad una associazione mafiosa la mera conoscenza e trasmissione di informazioni attinenti alla cosca, da parte del congiunto di un boss detenuto in visita allo stesso, col relativo corredo di commenti e vantazioni, non accompagnata da alcuna indicazione circa la disponibilità dello stesso congiunto ad apportare un concreto contributo, anche minimo, alla vita dell’associazione per assicurarne continuità e operatività all’esterno.

La motivazione, pertanto, con riguardo alla sola posizione di B.E., deve essere riformulata in modo adeguato.

9. Segue l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla posizione di B.E., con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, che si atterrà alle indicazioni che precedono.

I ricorsi proposti da B.G., C.V., Ca.Ro. e R.D. devono essere, invece, dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma, stimata equa, di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende, non profilandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).

La cancelleria provvedere alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di B.E. e rinvia per nuovo esame al tribunale di Reggio Calabria.

Dichiara inammissibili i ricorsi di B.G., C. V., Ca.Ro. e R.D. che condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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