Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-07-2011) 14-11-2011, n. 41466

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Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Bologna, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., con ordinanza deliberata il 28 febbraio 2011 e depositata il successivo 3 marzo, ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ferrara, in data 4 febbraio 2011, applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Z.V., sottoposto ad indagini per i reati di tentato omicidio di un carabiniere, resistenza a pubblico ufficiale in concorso con altra persona, plurime lesioni teleologicamente aggravate nei confronti di pubblici ufficiali.

Premesso che il ricorrente non aveva contestato la gravità degli indizi di colpevolezza a suo carico, ma solo le esigenze cautelari e segnatamente quelle specialpreventive di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), il Tribunale ha ritenuto, invece, che esse fossero sussistenti e salvaguardabili solo con la misura di massimo rigore della custodia in carcere per l’elevata pericolosità sociale dello Z., desumibile, nonostante l’incensuratezza e il suo soggiorno regolare in Italia, assumenti rilievo recessivo, dalle specifiche modalità e circostanze dei fatti ascrittigli, sintomatici di una personalità del tutto priva di autocontrollo, insofferente ai controlli istituzionali e proclive all’aggressività, fomentata dall’abuso alcoolico.

Secondo la ricostruzione del Tribunale, nella notte dei fatti risalenti alle prime ore del 2 gennaio 2011, il prevenuto si trovava alla guida di un’autovettura senza aver conseguito la patente di guida e con un livello di alcolemia nel sangue pari a mg. 238/lt.; lo stesso tenne una condotta di guida spericolata in quanto, per sfuggire ai controlli dei carabinieri, mantenne velocità elevate e pericolose in pieno centro di Ferrara, percorrendo intere strade contromano e senza osservare la segnaletica semaforica, costringendo le forze dell’ordine ad un rocambolesco inseguimento, ponendo in concreto pericolo l’incolumità dei passanti e degli altri utenti della strada, e costringendo i militari impegnati nel suo inseguimento a sparare colpi di arma da fuoco; una volta raggiunto dai carabinieri, lo Z. si oppose con estrema violenza e determinazione al controllo, nell’intento di far perdere le proprie tracce; in questa fase, egli investì il carabiniere C. che aveva segnalato la sua presenza a tergo dell’autovettura, facendolo cadere a terra e schiacciandolo contro un muretto e, di nuovo, muovendo in retromarcia contro il militare, da ciò desistendo solo con l’intervento degli altri operanti, costretti ad utilizzare le armi di ordinanza; finalmente bloccato, insieme con un altro giovane connazionale, da lui trasportato, reagì con estrema aggressività al controllo provocando lesioni personali ad alcuni verbalizzanti.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso lo Z., tramite il suo difensore, avvocato Domenico Carponi Schittar, deducendo i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 220 c.p.p., comma 2, per avere il Tribunale ritenuto inammissibile la consulenza tecnica sulla personalità dell’imputato, eseguita su iniziativa della difesa, e, quindi, per aver omesso di motivare sui risultati della stessa, indicativi di una personalità dello Z. opposta a quella ritenuta dal Tribunale del riesame, perchè non contraddistinta da intolleranza alle regole, aggressività ed incapacità di controllo e, perciò, non pericolosa. Avere ritenuto inammissibile la detta consulenza, da ritenersi invece giustificata dalle prerogative difensive spettanti alla persona indagata, sottoposta a restrizione della propria libertà personale ovvero alla sostanziale esecuzione anticipata della pena, integrerebbe una palese violazione del diritto di difesa, presupponendo che spetti solo al giudice della misura cautelare la valutazione della personalità del prevenuto in funzione del giudizio di pericolosità e non anche all’esperto nominato dall’indagato per concorrere dialetticamente a quel giudizio.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce mancanza ovvero manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per essere alcuni aspetti della motivazione contrari sia a canoni di comune esperienza sia a parametri scientifici, come l’affermazione postulante l’Impossibilità che un soggetto solitamente sobrio, come afferma di essere lo Z., possa mettersi in uno stato di alterazione alcoolica al punto di rasentare il coma etilico, essendo al contrario proprio le persone meno aduse all’alcool a rischiare più pesantemente gli effetti di episodiche assunzioni smodate; così come la prognosi, non suffragata da concreti canoni esperienziali, secondo cui il comportamento determinato da uno stato eccezionale di ubriachezza presenterebbe maggiore probabilità di reiterazione.

2.3. Con il terzo motivo si assume la violazione dell’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per essere la prognosi di pericolosità fondata su elementi astratti e, comunque, non adeguatamente ponderati con altre circostanze favorevoli all’indagato (incensuratezza, assenza di denunce e di qualsiasi segnalazione di polizia, difficile reiterabilità di una situazione analoga a quella determinata dall’eccezionale stato di ubriachezza in cui si trovò lo Z. nella notte dei fatti, precedentemente mai sorpreso alla guida di un veicolo).

2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 275bis c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), per avere il Tribunale negato la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari sulla base della "inevitabile saltuarietà dei controlli", come da testuale motivazione da ritenersi meramente apparente, arbitrariamente escludendo, a priori, l’efficacia della misura cautelare domiciliare e la sua deterrenza, nonostante le particolari modalità di controllo prescrivibili ai sensi del predetto art. 275bis e la disposizione di cui all’art. 276 c.p.p..

2.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la mancanza e l’illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per non avere il giudice apprezzato i fatti contestati nella loro reale consistenza, enfatizzandone la gravità e su di essa fondando un giudizio di pericolosità solo apparentemente motivato per l’acriticità delle premesse che lo fondano.

3. Nelle more dell’odierna udienza, il Giudice per le indagini preliminari di Ferrara, investito della richiesta dello Z. di revoca o sostituzione della misura cautelare, fondata anche su una consulenza cinematica prodotta dalla difesa, ha revocato, con ordinanza del 2 maggio 2011, la misura limitatamente al delitto di tentato omicidio, riconoscendo la serietà della valutazione tecnica dell’esperto circa l’insussistenza di elementi idonei a sostenere la detta ipotesi criminosa, e, tuttavia, ha confermato la misura di massimo rigore a carico dello Z. con riferimento agli altri fatti oggetto della contestazione cautelare.

4. Nella memoria difensiva del 16 giugno 2011 il difensore del ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, richiamando e sviluppando in particolare il terzo motivo di gravame, per il ridimensionamento del quadro accusatorio a seguito dell’esclusione dei gravi indizi con riguardo al più grave delitto di tentato omicidio.

Motivi della decisione

5.1. Premesso che sono ammissibili solo i motivi di ricorso che denunciano violazioni di legge o vizi della motivazione con riguardo alle esigenze cautelari, ex art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 275 c.p.p., non risultando oggetto di impugnazione la gravità del quadro indiziario, che, nelle more del presente giudizio di legittimità, si è comunque modificato per l’esclusione dalla contestazione cautelare del delitto di tentato omicidio, il primo motivo di ricorso, che denuncia la violazione dell’art. 220 c.p.p., comma 2, seconda parte, e il difetto di motivazione, per avere il giudice cautelare negato ingresso alla consulenza tecnica di parte sulla personalità dell’imputato, è infondato.

Il divieto di perizia sulla personalità dell’imputato e, in genere, sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche, sancito dall’art. 220, comma 2, cit., e la conseguente inammissibilità della consulenza tecnica di parte sul medesimo oggetto ex art. 233 c.p.p., comma 1, che postula una perizia ammissibile ancorchè non disposta dal giudice, salva comunque l’acquisizione della consulenza psicologica quale memoria dell’indagato ai sensi dell’art. 121 c.p.p., comma 1, si fonda, come osservato anche in dottrina, sui seguenti elementi: a) difficoltà dell’indagine psicologica e criminologica sia in relazione alla sua scientificità sia in relazione all’atteggiamento dell’imputato, la cui collaborazione è necessaria, ma proprio per tale ragione condizionata dal suo status, tale da poterlo indurre a proiettare un’immagine di sè diversa da quella reale; b) necessaria celerità dell’accertamento legato ai tempi tecnici del processo penale comunque da rispettare; c) esigenza di tutelare la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., comma 2, considerato che l’indagine sulla personalità dell’imputato potrebbe influenzare il convincimento del giudice in punto di responsabilità; d) correlata necessità di preservare la libertà psicofisica dell’imputato dall’invasività dell’esame psicologico, da cui potrebbero trarsi elementi confessori ovvero attinenti alla sua responsabilità al di fuori delle garanzie difensive e degli strumenti di acquisizione della prova previsti dal codice di procedura penale; e) disposizioni di cui all’art. 133 cod. pen., che lasciano al solo giudice la discrezionalità nell’applicazione della pena in relazione alla gravità della pena e alla capacità a delinquere dell’agente.

Ne consegue che non sono fondati i rilievi del ricorrente in tema di contrarietà al principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge ( art. 3 Cost.) e al diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento ( art. 24 Cost., comma 2) della diversa disciplina prevista "ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza" dal predetto art. 220 c.p.p., comma 2, prima parte, il quale fa salvi i contributi della psicologia, della criminologia e delle discipline affini in sede esecutiva, laddove, intervenuto oramai l’accertamento del fatto, si determina il trattamento più adeguato ai "particolari bisogni" del condannato o dell’internato sulla base dell’osservazione scientifica della personalità" ( L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 1 e 13, e D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 27).

5.2. Sono, invece, fondati gli altri motivi di ricorso, dei quali è opportuno l’esame congiunto, nella parte in cui deducono la carente argomentazione del discorso giustificativo in tema di riconosciuta esistenza delle esigenze cautelari di prevenzione speciale e di applicazione della più rigorosa misura della custodia cautelare in carcere, essendo gli arresti domiciliari, come si legge nel provvedimento impugnato, "caratterizzati da un’inevitabile saltuarietà dei controlli" (pag. 4 in fine).

In proposito, questa Corte ha già ritenuto che la custodia in carcere non può essere disposta sulla base del rilievo che la difficoltà del continuo controllo richiesto dalla misura degli arresti domiciliari rende questi ultimi insufficienti, poichè tale motivazione non risponde al requisito della specificità imposto dagli artt. 272 e ss. c.p.p., facendosi in tal modo carico all’indagato di un problema organizzativo e di efficienza estraneo agli elementi da considerare nella valutazione (Sez. 4, n. 367 del 02/02/1996, dep. 11/04/1996, Presente, Rv. 204429; conforme: n. 34284 del 05/07/2007, Rv. 237241).

6. Segue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente al discorso giustificativo delle esigenze cautelari e dei criteri di scelta della più rigorosa misura della custodia in carcere adottata, che, nel nuovo esame a cura del Tribunale di Bologna, non potrà trascurare il dato, sopravvenuto nelle more di questo giudizio di cassazione, escludente i gravi indizi di colpevolezza con riguardo al più grave delitto di tentato omicidio, originariamente ipotizzato a carico dello Z..

La cancelleria provvedere alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Bologna.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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