Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 14-11-2011, n. 41405

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Milano, con sentenza del 12/11/09, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava D.G.R. e G.D., giudicati con altri coimputati, colpevoli del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6, e li condannava ad anni 6 di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa, il primo, e ad anni 5 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, il secondo. La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sugli appelli avanzati nell’interesse dei prevenuti, avendo questi rinunciato a tutti i motivi di gravame tranne a quelli attinenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con sentenza del 28/4/2010, ferme le sanzioni pecuniarie inflitte in primo grado, ha ridotto la pena in anni 5 di reclusione per D.G. e in anni 3, mesi 11 e giorni 10 di reclusione per G..

Propongono autonomi ricorsi per cassazione gli imputati, il D. G. a mezzo del proprio difensore, il G. personalmente, con i seguenti motivi:

– per D.G. omessa motivazione a giustificazione del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e contraddittorietà della stessa in dipendenza della concessione di dette attenuanti ad altri coimputati, gravati da ben maggiori accuse; nonchè vizio in ordine alla quantificazione della pena;

– per G. sproporzione ingiustificata del criterio applicato nell’operare l’aumento a titolo di continuazione, relativo ai reati satelliti in raffronto alla posizione processuale del D.G., così da determinare un trattamento retributivo censurabile.

Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili.

La dosimetria della pena, adottata dalla Corte territoriale, si palesa logica e corretta.

Preliminarmente si ritiene necessario evidenziare che in sede di appello i prevenuti hanno rinunciato a tutti i motivi di gravame libellati, tranne quello attinente al trattamento sanzionatorio.

Conseguentemente a tale scelta processuale la Corte distrettuale ha ritenuto di valutare positivamente la rinunzia predetta, che appare sintomo di resipiscenza di cui occorre tenere conto nella valutazione del residuale profilo delle impugnazioni, attinente alla finale quantificazione della pena.

Evidenzia, peraltro, il giudice di seconde cure come le vicende in esame mantengano una inconfutabile loro gravità, poichè, pur in carenza di eclatanti sequestri di sostanza stupefacente, dal complessivo contesto processuale è emerso che i prevenuti erano dediti ad una sistematica e continuativa attività di narcotraffico, esteso in territorio nazionale e con rapporti internazionali.

Orbene, per il reato contestato, art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6, il giudice di appello ha ritenuto di rideterminare la pena per il D.G. in anni 5 di reclusione, giustificando la mancata concessione delle attenuanti generiche a causa dei precedenti penali (recidiva reiterata ex art. 99 c.p.), previa quantificazione di una pena base di anni 6 e mesi 6 di reclusione, aumentata per la continuazione per le restanti violazioni sino ad anni 7 e mesi 6 di reclusione, ridotta per il rito; per il G. la pena è stata fissata in anni 3 mesi 11 e giorni 10 di reclusione, assunta una pena base di anni 6 e mesi 6 di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche ad anni 4 e mesi 8 di reclusione, aumentata per la continuazione ad anni 5 e mesi 11 di reclusione, ridotta per il rito, specificando che al G. è ascritto un minore numero di violazioni rispetto al D.G..

Dal controllo di legittimità, operato sulla motivazione della impugnata sentenza, non si ravvisano i vizi eccepiti nei ricorsi interposti nell’interesse dei prevenuti, apparendo, con nettezza, il corretto operare del decidente nel procedere alla dosimetria delle sanzioni inflitte, distinguendo le posizione degli imputati, con puntuali elementi giustificativi la differenziazione delle pene agli stessi applicate, determinata dai precedenti penali e dal maggior numero di condotte illecite poste in essere dal D.G., non ravvisagli a carico del G. e, in particolare per quest’ultimo, l’esattezza dell’ aumento per la continuazione nei termini quantificati, che appare, ictu oculi, del tutto legittimo.

In particolare il richiamo operato nella sentenza impugnata al minor numero di addebiti ascritti al G. deve ritenersi diretto a giustificare la minor pena complessivamente inflitta al medesimo;

ciò posto, per quanto attiene alla valutazione discrezionale circa l’aumento per la continuazione questa Corte di legittimità non può operare comparazioni tra le posizioni dei diversi imputati.

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il D.G. e il G. abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., devono, altresì, essere condannati al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi predetti, nella misura di Euro 1.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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