Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 14-11-2011, n. 41404

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Messina,con sentenza del 17 giugno del 2010, in parziale riforma di quella pronunciata l’11 giugno del 2009 dal tribunale della medesima città, riduceva tra l’altro, la pena inflitta a J.B. e Y.Q.. I predetti sono stati ritenuti responsabili dei seguenti reati:

capo 1) Entrambi del reato di cui all’art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3, perchè, in concorso tra loro e con altre persone,si erano associati allo scopo di commettere più delitti di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione nonchè di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, rivestendo la Y. il ruolo di capo e promotore dell’associazione, in quanto si occupava del reclutamento delle prostitute, sceglieva le case di appuntamento e le prendeva in locazione e incassava i compensi,coadiuvata in tali attività da J.B.. Fatto commesso in luogo sconosciuto in data antecedente e prossima all’11/12/2006. la sola Y.. capo 2) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 1, 4, 5 e 8, e art. 4, n. 7, perchè, in concorso con gli altri coimputati e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, favoriva e sfruttava la prostituzione di L.B.; W. L. e L.Y., in particolare la Y.Q. controllava la casa di prostituzione di Messina sita al viale (OMISSIS), pubblicava annunci sulla Gazzetta di Messina e riscuoteva i compensi derivanti dall’attività di meretricio, con l’aggravante di aver commesso il fatto ai danni di più persone. Fatto commesso in Messina dall’11/12/2006 fino al 27/2/2007.

CAPO 3) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, perchè, in concorso con gli altri coimputati con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trame profitto dalla condizione di illegalità delle prostitute cinesi clandestine, favoriva la loro permanenza sul territorio dello Stato in violazione delle norme di cui al D.Lgs. citato, facendole alloggiare presso una casa di (OMISSIS). Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 4) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 5 e 8, perchè in concorso con gli altri coimputati con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, favoriva e sfruttava la prostituzione della cinese clandestina X.L.. Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 5) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, perchè, in concorso con gli altri coimputati, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trame profitto dalla condizione di illegalità della prostituta cinese X.L., favoriva la sua permanenza sul territorio dello Stato in violazione delle norme di cui al D.Lgs. citato, facendola alloggiare presso una casa di (OMISSIS). Fatto commesso in (OMISSIS).

Y.Q. e J.B..

CAPO 6) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 1, 4, 5 e 8, e art. 4, n. 7, perchè in concorso tra loro con gli altri coimputati, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso,favorivano e sfruttavano la prostituzione delle cinesi clandestine L.Y.-.H., W.O., ed in particolare la Y.Q. controllava la casa di prostituzione di (OMISSIS), pubblicava annunci sulla Gazzetta del (OMISSIS) e riscuoteva i compensi derivanti dall’attività di meretricio, con l’aggravante di aver commesso il fatto ai danni di più persone.

Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 7) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, perchè, in concorso tra loro e con gli altri coimputati, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trame profitto dalla condizione di illegalità di prostitute cinesi, favorivano la loro permanenza sul territorio dello Stato in violazione delle norme di cui al D.Lgs. citato, facendole alloggiare presso una casa di (OMISSIS) Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 8) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 1, 4, 5 e 8, e art. 4, n. 7) perchè in concorso tra loro e con gli altri coimputati, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso,favorivano e sfruttavano la prostituzione della cinese Y. ed in particolare la Y.Q. controllava la casa di prostituzione di (OMISSIS) pubblicava annunci sul "(OMISSIS)" e su "(OMISSIS)" e riscuoteva i compensi derivanti dall’attività di meretricio. Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 9) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5) perchè, in concorso tra loro e con gli altri coimputati, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trame profitto dalla condizione di illegalità della prostituta cinese, Y., favoriva la sua permanenza sul territorio dello Stato in violazione delle norme di cui al D.Lgs. citato, facendola alloggiare presso una casa di (OMISSIS). Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 10) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 1, 4, 5 e 8, e art. 4, n. 7, perchè, in concorso tra loro e con gli altri coimputati, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso,favorivano e sfruttavano la prostituzione della cinese Y. ed in particolare la Y.Q. controllava la casa di prostituzione di (OMISSIS) della seconda discesa a mare, pubblicava annunci su "(OMISSIS)" e riscuoteva i compensi derivanti dall’attività di meretricio. Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 11) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5) perchè, in concorso con gli altri coimputati con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trame profitto dalla condizione di illegalità della prostituta cinese L.Y., in violazione delle norme di cui al D.Lgs. citato, favorivano la sua permanenza nel territorio nazionale facendola alloggiare presso il "(OMISSIS)". Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 12) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 1, 4, 5 e 8, e art. 4, n. 7, perchè, in concorso con gli altri coimputati e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, favorivano e sfruttavano la prostituzione delle cinesi Z.D.D. e Z.S. ed in particolare la Y.Q. controllava quattro case nel territorio di (OMISSIS) e provincia, pubblicava annunci su "(OMISSIS)" e riscuoteva i compensi derivanti dall’attività di meretricio. Fatto commesso in (OMISSIS).

CAPO 13) del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5,) perchè, in concorso tra loro e con gli altri coimputati con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trame profitto dalla condizione di illegalità delle prostitute cinesi, Z.D.D. e Z.S., favorivano la loro permanenza sul territorio dello Stato in violazione delle norme di cui al D.Lgs. citato, facendole alloggiare presso le quattro case locate. Fatto commesso in (OMISSIS). Ricorrono per cassazione i due imputati per mezzo dei rispettivi difensori,con separati ricorsi ma con motivi in larga misura comuni.

Avverso la sentenza anzidetta hanno proposto ricorso i difensori di Y.Q. e J.B..

Il difensore della Y. ripropone: l)l’eccezione d’incompetenza territoriale del tribunale di Messina relativamente al delitto di associazione per delinquere, in quanto non essendo stato possibile individuare il luogo di consumazione del reato associativo,avuto riguardo al rapporto di connessione di cui all’art. 12, comma 1, lett. b), con i singoli reati satelliti, il tribunale competente doveva essere individuato in quello del luogo in cui si era perfezionato il reato di sfruttamento della prostituzione più risalente nel tempo ossia nel tribunale di Genova posto che il primo reato di sfruttamento della prostituzione era stato commesso in (OMISSIS), come emergeva dall’ordinanza applicativa della misura cautelare,a nulla rilevando che tale reato non fosse contemplato nel capo d’imputazione;

2) la violazione dell’art. 522 c.p.p., per la violazione del principio di correlazione tra fatto imputato e fatto ritenuto in sentenza con riferimento al tempus commissi delicti, in quanto nel capo d’imputazione il reato associativo era stata considerato commesso in data anteriore e prossima all’11 dicembre del 2006, mentre nella sentenza è stato prolungato di circa un anno avendo i giudici del merito fatto riferimento alla consumazione dei reati fine.

Entrambi deducono:

3) la violazione dell’art. 512 c.p.p., per l’acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dalle prostitute L.Y., L.B. e W.L. nonostante che la loro irreperibilità fosse prevedibile;

4) la violazione dell’art. 416 c.p., per l’insussistenza del reato associativo in quanto il compendio accusatorio non aveva dimostrato l’esistenza di un sodalizio criminoso nè vi era consapevolezza nei singoli partecipanti di aderire ad un’associazione con ripartizione dei ruoli; i giudici del merito hanno confuso il reato associativo con il concorso di persone nel reato di sfruttamento della prostituzione;

5) la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, in quanto il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina era assorbito nel delitto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione,sussistendo tra i due reati un vincolo di sussidiarietà. 6) la violazione della norma incriminatrice con riferimento ai reati contestati ai capi 10 e 11 che riguardano tutti la stessa persona ossia la cinese L.Y.: sostiene che trattandosi di fatti sviluppati nel medesimo arco temporale senza soluzione di continuità era configurabile un solo reato a nulla rilevando che la donna esercitasse il meretricio in luoghi diversi in quanto il semplice trasferimento del luogo di prostituzione,a fronte di un’immutata cornice dei rapporti interpersonali tra la prostituta e lo sfruttatore non è elemento interruttivo del reato tale da giustificare la proliferazione di contestazioni criminose.

7) violazione dell’art. 62 bis c.p., per l’omessa concessione delle attenuanti generiche J.B. deduce altresì:

8) mancanza di prove in merito alla sua compartecipazione nel reato di sfruttamento della prostituzione;

9) la violazione degli artt. 143, 144, 571 e 178 c.p.p.: sostiene che la corte illegittimamente aveva respinto tale eccezione per la sua genericità giacchè dal riferimento specifico agli articoli menzionati si desumeva la natura dell’eccezione che consisteva nell’omessa traduzione degli atti a favore dell’imputato straniero e segnatamente nell’omessa traduzione della sentenza.

Motivi della decisione

I ricorsi sono in parte fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

L’eccezione d’incompetenza territoriale va ancora una volta respinta.

Ai fini della determinazione della competenza territoriale in procedimenti connessi, di cui uno riguardi il delitto di associazione per delinquere, della quale non sia possibile determinare il luogo di consumazione, la competenza va determinata tenendo conto della consumazione dei reati scopo anche se questi ultimi siano più di uno e commessi in luoghi diversi, dovendosi far riferimento al più grave di essi ed in caso di pari gravità o a quello commesso per primo, (cfr per tutte Cass. Sez. 1^ n 29160 del 2008; n. 2269 del 2007, rv.

236300; n. 45388 del 2005, rv. 233359).

Nella fattispecie il reato fine più grave tra quelli contestati risulta commesso in (OMISSIS).

Il ricorrente assume che in realtà il reato più grave commesso per primo sarebbe stato consumato in Genova come emergeva dalla misura cautelare. Il rilievo è stato legittimamente disatteso dai giudici del merito perchè il fatto commesso in Genova non faceva parte di quelli oggetto del presente processo Invero,in tema di competenza per connessione, al fine di stabilire quale sia il reato più grave deve farsi riferimento all’imputazione oggetto del giudizio e non a reati diversi da quelli oggetto del capo d’imputazione (cfr Cass. n. 29187 del 2007; n. 16086 del 1990).

Ugualmente infondato è la seconda censura perchè (secondo l’orientamento di questa Corte(cfr per tutte Cass. n. 19334 del 2009), la diversità fra la data del fatto indicata nella imputazione e quella ritenuta nella sentenza di condanna non integra la nullità ai sensi dell’art. 522 c.p.p., qualora non abbia concretamente comportato una reale compromissione dei diritti difensivi.

Nel caso in esame la data indicata nel capo d’imputazione relativamente al delitto associativo è quella della costituzione del vincolo mentre il successivo periodo preso in considerazione dai giudici del merito è quello relativo alla protrazione del vincolo per tutto l’arco temporale in cui erano stati commessi i delitti scopo. Appare quindi palese che non vi è stata alcuna violazione del principio di correlazione proprio perchè l’associazione per delinquere ha natura permanente e la consumazione si protrae per tutta la durata del vincolo. D’altra parte dall’intero capo d’imputazione emergeva che il vincolo si era protratto ben oltre la data di costituzione della societas sceleris.

Infondato è anche il terzo motivo in quanto,come accertato dai giudici del merito, nel momento in cui alcune cittadini cinesi vittime dello sfruttamento resero le loro dichiarazione non era prevedibile la loro successiva irreperibilità proprio perchè avevano chiesto ed ottenuto il permesso di soggiorno per ragioni di giustizia. L’irreperibilità è divenuta palese in un secondo momento allorchè non si sono più presentate per ritirare il permesso di soggiorno. Divenuta palese l’irreperibilità era ormai sfumata la possibilità di chiedere l’incidente probatorio.

Siffatta valutazione dei giudici del merito non essendo manifestamente illogica si sottrae al sindacato di legittimità.

D’altra parte, dall’irreperibilità del teste non si può desumere, in mancanza di altri elementi, la volontà di sottrarsi all’esame dell’imputato o del suo difensore in proposito da parte di questa Corte si è recentemente statuito (Cass. n. 21877 del 2010) che la sopravvenuta irreperibilità del soggetto che abbia reso dichiarazioni predibattimentali non ha il significato presuntivo della volontaria scelta di sottrarsi all’esame dibattimentale da parte dell’imputato o del suo difensore, sicchè non esclude di per sè la situazione di sopravvenuta impossibilità di ripetizione che giustifica la lettura delle precedenti dichiarazioni.

Il quarto e l’ottavo motivo sono inammissibili perchè sotto l’apparente deduzione di un vizio di legittimità in realtà si risolvono in censure in fatto sull’apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito, i quali non hanno assolutamente confuso il concorso nei reati fine con l’associazione criminosa ed hanno individuato gli elementi in base ai quali emergeva la compartecipazione di J.B., non solo nel reato associativo, ma anche in quello di sfruttamento della prostituzione.

Premesso che in caso di conferma la motivazione della sentenza d’appello si integra con quella di primo grado per formare un’unità inscindibile, si osserva che i giudici del merito hanno indicato le ragioni in base alle quali hanno ravvisato la costituzione di un valido vincolo associativo individuando i ruoli svolti da ciascun partecipante e segnatamente quello svolto dagli attuali ricorrenti. A tal fine si è sottolineato che trattasi di associazione che operava su tutto il territorio nazionale nella quale un ruolo di spicco era svolto proprio dagli attuali ricorrenti. La Y. reclutava le prostitute,sceglieva le case d’appuntamento e le prendeva in locazione, curava gli avvisi pubblicitari e riscuoteva i compensi. In tale attività era direttamente coadiuvata da J.B..

Come sottolineato dai giudici del merito sintomatiche sono la stessa trasferta in (OMISSIS) effettuata dagli attuali ricorrenti e le conversazioni sull’opportunità di aprire nuove case e sulle modalità di gestione delle prostitute e di riscossione dei proventi.

D’altra parte, un sintomatico indizio della costituzione del vincolo associativo si desume proprio dalla reiterazione dei delitti scopo per un apprezzabile lasso temporale poichè non si possono commettere in concorso vari reati tra loro collegati su tutto il territorio nazionale se non si dispone di una stabile organizzazione criminosa Anche le attenuanti generiche sono state negate con una motivazione che non presenta profili d’incoerenza.

Infondata è pure la censura relativa alla presunta violazione di cui agli artt. 143, 144 e 571 c.p.p., di cui al punto nove per l’omessa traduzione della sentenza di condanna, non solo perchè non risulta che l’imputato J.B. ignorasse la lingua italiana, ma anche perchè secondo il consolidato orientamento di questa Corte la sentenza non rientra tra gli atti rispetto ai quali grava sull’autorità giudiziaria l’obbligo di traduzione nei confronti dello straniero che non comprenda la lingua italiana (Cass. n 44101 del 2008; conf. n. 48743 del 2004 RIV. 230142; n. 48743 del 2004, RIV. 230142; n. 5572 del 2008, RIV. 239495, n. 28595 del 2008, RIV. 240813).

D’altra parte, secondo l’orientamento di questa Corte (Cass. n. 6084 del 2009, n. 34830 del 2008, rv. 241106; n. 44101 del 2008, rv.

242227), l’omessa traduzione della sentenza emessa nei confronti dell’imputato alloglotta non è causa di nullità della stessa e determina soltanto il differimento del decorso dei termini per l’impugnazione al momento in cui l’imputato abbia cognizione del contenuto della sentenza stessa.

Nel caso in esame il prevenuto ha sempre ritualmente esercitato il diritto d’impugnazione per mezzo del proprio difensore e non ha mai manifestata la volontà di volere proporre personalmente l’impugnazione.

Fondati sono invece il quinto ed il sesto motivo.

Con riferimento al quinto motivo si rileva che l’accusa, per ogni prostituta clandestina sfruttata,ha contestato oltre che il delitto di sfruttamento della prostituzione, anche quelli di favoreggiamento della prostituzione e di favoreggiamento della permanenza illegale in Italia della prostituta, questi ultimi due in concorso tra di loro e con il delitto di sfruttamento della prostituzione. Nel caso in esame però la condotta che ha integrato i due reati (favoreggiamento della prostituzione di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 8, e favoreggiamento della permanenza illegale in Italia della prostituta di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5) sono stati posti in essere con la medesima condotta ossia mettendo a disposizione della prostituta un locale dove la stessa poteva dimorare e contemporaneamente prostituirsi. Orbene, allorchè con una sola azione si violano diverse disposizioni di legge,si può verificare o un concorso formale eterogeneo di reati disciplinato dall’art. 81, comma 1, o un concorso apparente di norme che di solito viene risolto con il criterio della specialità di cui all’art. 15 c.p..

Distinguere nella prassi il concorso formale eterogeneo dal concorso apparente di norme non sempre è agevole e non sempre il problema può essere risolto in base al mero criterio della specialità.

Pertanto,anche da parte della giurisprudenza, si è fatto talvolta ricorso ai criteri della sussidiarietà ed a quello della consunzione detto anche dell’assorbimento.

Il principio della sussidiarietà opera quando il legislatore ha espressamente dichiarato che una determinata norma debba trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui il fatto in essa previsto non sia contemplato e sanzionato in maniera più grave da altra norma. Il principio di sussidiarietà deve essere espressamente previsto perchè solo la previsione espressa da parte del legislatore può consentire la deroga all’applicazione del principio del concorso formale eterogeneo. Con tale clausola di riserva il legislatore,da un lato, vuole che un determinato fatto concreto non resti impunito e quindi interviene per prevenire una lacuna, dall’altrochè sia scongiurato il concorso di reati. Alcuni dottori ammettono la possibilità di un principio di sussidiarietà tacito desumibile in via interpretativa dallo scopo perseguito dalle due norme. In questi casi però il principio di sussidiarietà tacita finisce con l’identificarsi con quello della specialità o della consunzione.

Quest’ultimo principio opera quando l’applicazione della sola norma che prevede la pena più grave esaurisce l’intero disvalore oggettivo e soggettivo del fatto. Appare quindi palese che tale principio si fonda su un apprezzamento di valore e,per tale ragione, non ha il medesimo grado di certezza del principio di specialità o di quello della sussidiarietà espressa e da sovente luogo a contrasti. In linea di massima si può affermare che quanto maggiore è la diversità dei beni giuridici in gioco, tanto minore è la possibilità di configurare l’assorbimento in luogo del concorso dei reati. Il principio della consunzione opera solitamente o nell’ipotesi del cosiddetto fatto tipico contestuale o fatto di accompagnamento (violenza privata che resta assorbita nella violenza sessuale allorchè non si protrae oltre il tempo necessario alla consumazione del reato più grave) o nell’ipotesi della cosiddetta progressione criminosa in senso stretto (lesioni personali che sfociano poi nell’omicidio). Nella giurisprudenza di questa Corte si è fatto ricorso ad entrambi i criteri della sussidiarietà e della consunzione anche se talvolta la consunzione è stata considerata come sinonimo della sussidiarietà.

Richiamati, sia pure in materia telegrafica, i principi utilizzati per distinguere il concorso formale eterogeneo dal concorso apparente di norme, nel caso in esame, essendo unica la condotta, dal punto di vista storico e naturalistico, per l’espressa presenza della clausola di riserva, opera il principio della sussidiarietà e pertanto, per quanto concerne il concorso tra il delitto di favoreggiamento della prostituzione e quello di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, è configurabile solo il favoreggiamento della prostituzione,che è il reato più grave. Invero il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, e successive modificazioni esordisce affermando che la norma trova applicazione solo se il fatto non costituisca più grave reato. Ora poichè lo stesso fatto di favoreggiamento della permanenza illegale commesso mettendo a disposizione della prostituta un alloggio dove dimorare e prostituirsi è stato anche considerato come favoreggiamento della prostituzione, è applicabile solo quest’ultimo reato che è più grave,pur essendo diversi i beni offesi. Nonostante la diversità dei beni offesi il concorso è escluso per la presenza di un’esplicita clausola di riserva.

Il principio di sussidiarietà con la conseguente esclusione del concorso di reati è stato già applicato da questa Corte. Ad esempio per la presenza della clausola di riserva contenuta nell’art. 323 c.p., si è escluso il concorso tra il delitto di falso e l’abuso d’ufficio allorchè quest’ultimo reato sia stato commesso mediante un atto falso, a nulla rilevando l’offesa a beni giuridici diversi (per tutte e da ultimo Cass. sez. 1^ n. 42577 del 2009). Più recentemente, proprio in materia di immigrazione clandestina ed in presenza di una clausola di riserva espressa, il reato di agevolazione dell’ingresso clandestino in Italia di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis, è stato ritenuto assorbito in quello di cui all’art. 601 c.p. (Cass. n. 20740 del 2010).

Il riferimento alla sentenza n. 1823 del 2007 di questa stessa sezione, indicato dalla Corte territoriale a sostegno del concorso di reati non è pertinente, in quanto nella fattispecie dianzi citata il reato di cui D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, concorreva con il delitto di sfruttamento della prostituzione che richiede una condotta diversa da quella del favoreggiamento della permanenza dell’immigrazione clandestina e,quindi, legittimamente è stato ritenuto il concorso, mancando il presupposto per l’applicazione del principio di sussidiarietà, ossia l’identità dell’azione tra sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione.

D’altra parte nella fattispecie dianzi citata il problema del concorso e della sussidiarietà non era stato posto e peraltro la Corte si è limitata a sottolineare che il fine di trame profitto richiesto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, non riguarda soltanto l’impiego dello straniero in attività lavorativa, ma qualsiasi utilizzazione dello stesso in attività illecita e quindi l’ingiusto profitto può consistere anche nello sfruttamento della prostituzione.

Nel caso in esame il concorso non è stato escluso con il reato di sfruttamento della prostituzione, che è stato posto in essere con un comportamento diverso(ricezione di denaro da parte della prostituta),da quello del favoreggiamento dell’immigrazione, ma solo con il reato di favoreggiamento della prostituzione per l’identità delle due condotte.

Diverso sembrerebbe invece l’orientamento espresso con la sentenza n. 6250 del 2004, nella quale l’operatività della clausola di riserva è stata esclusa perchè l’inciso " salvo che il fatto costituisca più grave reato con cui si apre il testo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, presuppone, perchè operi il meccanismo dell’assorbimento,che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo interesse". L’assunto non va condiviso, sia perchè si confonde il principio di sussidiarietà con quello dell’assorbimento o della progressione criminosa, sia perchè l’operatività della clausola di riserva non presuppone,ad avviso di questo collegio e della prevalente giurisprudenza di questa Corte, assolutamente l’identità dell’interesse offeso.

Nelle altre decisioni in cui si è esclusa l’operatività della clausola di riserva (ad esempio Cass. n. 81 del 23 novembre del 2004 – 4 gennaio del 2005) le condotte erano diverse. Invece per l’operatività della clausola di riserva, come più volte sottolineato, ma è opportuno ribadire ancora una volta il concetto,è necessaria la coincidenza del fatto,assunto in una dimensione storica e naturalistica, Pertanto i delitti favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di prostitute clandestine di cui ai capi 3, 5, 7, 9, 11 e 13 ed i corrispondenti delitti di favoreggiamento della prostituzione delle medesime persone, non concorrono tra loro essendo, per la clausola di riserva,configurabile solo il delitto di favoreggiamento della prostituzione delle medesime persone. Resta fermo, ovviamente il concorso tra il delitto di favoreggiamento della prostituzione e quello di sfruttamento della prostituzione in danno delle medesime persone.

Fondato è anche il sesto motivo perchè i fatti di sfruttamento distintamente contestati ai capi 8 e 10 configurano un solo reato perchè commessi senza soluzione di continuità nel medesimo arco temporale ed in danno della medesima prostituta, a nulla rilevando che la prostituta abbia esercitato il meretricio in luoghi diversi. I giudici del merito, pur dando atto che non v’era stata apprezzabile soluzione di continuità, hanno ritenuto sussistenti due distinti reati solo perchè la vittima si era prostituita in due città diverse.

La tesi non va condivisa. Secondo l’orientamento di questa corte il reato di sfruttamento della prostituzione previsto dalla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 8, può assumere la forma del reato istantaneo o quella del reato eventualmente abituale, diversamente dalla fattispecie di cui all’abrogato art. 534 c.p., che configurava necessariamente un reato abituale. Quando assume la forma dell’abitualità viene realizzato con una pluralità di atti di sfruttamento che danno tuttavia luogo ad un unico reato, a nulla rilevando la diversità dei luoghi dove il soggetto sfruttato esercita la turpe attività invero il luogo in cui la prostituta esercitoci meretricio non è rilevante neppure ai fini della consumazione del reato che si considera commesso nel luogo in cui il soggetto attivo concretamente si avvantaggi dell’attività compiuta dalla vittima (così Cass. n. 14868 del 2007) ed a fortìori non è rilevante ai fin dell’unitarietà del reato. Quando il soggetto o i soggetti sfruttati sono gli stessi, per stabilire se si è in presenza di un unico reato, eventualmente aggravato dal numero delle persone, o di più reati abituali, si deve avere riguardo non al luogo dove il soggetto si prostituisce ma alla continuità dell’azione nel senso che, se l’attività si svolge senza apprezzabile soluzione di continuità, si è in presenza di un unico reato,Se, viceversa, l’attività viene interrotta per un apprezzabile lasso temporale, per poi riprendere nuovamente in danno della medesima persona a seguito della cessazione della causa che aveva determinato l’interruzione della condotta e del dolo unitario, può essere configurabile il concorso.

Nella fattispecie secondo la contestazione e secondo gli accertamenti dei giudici del merito la condotta criminosa non ha subito alcuna apprezzabile interruzione. Pertanto il reato è unico.

Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente ai reati di favoreggiamento della permanenza illegale in Italia di cittadine cinesi di cui ai capi 3, 5, 7, 9, 11 e 13 che devono ritenersi assorbiti nei corrispondenti delitti di favoreggiamento della prostituzione in danno delle medesime persone nonchè relativamente ai fatti distintamente contestati ai capi 8) e 10 che configurano invece un solo reato, e con rinvio, per la sola determinazione della pena conseguente all’eliminazione di alcuni reati. Nel resto il ricorso va respinto.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p. e segg., annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al concorso tra i delitti favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di prostitute clandestine di cui ai capi 3, 5, 7, 9, 11 e 13 ed i corrispondenti delitti di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione delle medesime persone,essendo configura bili solo questi ultimi reati nonchè con riferimento al concorso tra i delitti di cui ai capi 8 e 10 che configurano un unico reato Rigetta nel resto e rinvia alla Corte d’appello di Reggio, Calabria per la rideterminazione della pena.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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