Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2010) 14-11-2011, n. 41444

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L.M.G. proponeva istanza di riesame ex art. 324 c.p.p., avverso il decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Brindisi emesso in data 17.12.2010 con cui era stato disposto il sequestro preventivo dei conti correnti bancari c/o postali, depositi a risparmio, dossier titoli e cassette di sicurezza presso tutti i soggetti operanti sul territorio nazionale nel settore della raccolta e gestione risparmio ed intermediazione finanziaria, intestati alla L. per un importo non superiore ad Euro 334.686,90.

Evidenziava in particolare la ricorrente che non era configurabile il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, nel caso di fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti, utilizzate nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi. Inoltre non era provato il superamento della soglia di punibilità prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5;

2. Il tribunale di Brindisi con ordinanza del 4 gennaio 2011 annullava il decreto impugnato e disponeva che i beni in sequestro fossero restituiti all’avente diritto a cura del Pubblico Ministero se non sottoposti ad altro vincolo di natura reale.

3. Avverso questa pronuncia il p.m. propone ricorso per cassazione con un unico motivo.

L’indagata ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brindisi sostiene in particolare che i costi indicati dalla indagata, effettuati con pagamenti per contanti, non possono essere presi in considerazione al fine della valutazione del fumus del reato contestato, non essendo nè veritieri nè attendibili. Non può considerarsi pertanto come costo l’importo indicato in una fattura soggettivamente falsa. Ciò che si censura è essenzialmente l’avere sposato la "certezza" dei costi indicati in ciascuna fattura soggettivamente falsa, laddove invece è plausibile che l’acquisto sia stato fatto per costi inferiori a quelli dichiarati. Pertanto tali costi – secondo il procuratore della Repubblica ricorrente – non possono essere considerati veritieri e/o attendibili.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. Va premesso che i reati contestati alla L., in qualità di legale rappresentante della società COMETALF s.r.l., esercente il commercio di rottami metallici, sono riferibili rispettivamente al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, che prevede la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e al successivo art. 5, che contempla l’omessa dichiarazione dei redditi con una soglia di punibilità fissata da tale disposizione nell’importo dell’imposta evasa superiore a Euro 77.468,53.

Deve poi considerarsi che l’ordinanza impugnata ha annullato il decreto di applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo essenzialmente sulla base di due argomentazioni, da esaminarsi ora distintamente.

4. Da una parte l’adito tribunale di Brindisi ha ritenuto che nella fattispecie in esame non sussistesse il fumus del delitto previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, contestato alla indagata. Con una valutazione di merito ad esso devoluta il tribunale ha considerato che dalla complessiva attività investigativa era emerso che la COMETALF s.r.l., rappresentata da L.M.G., impresa operante nel settore della vendita di rottami e cascami ferrosi, era risultata avere rapporti commerciali di significativa rilevanza con T.G. e D.L.L., entrambi titolari di partita Iva. Esaminando dettagliatamente le risultanze contabili, quali emergenti dagli atti di indagine, il tribunale è pervenuto al convincimento che la COMETALF S.r.l. aveva effettivamente commercializzato un quantitativo di materiale ferroso corrispondente a quello risultante dalle fatture emesse dal T. e dal D. L. negli anni oggetto dei controlli incrociati con le predette imprese.

Da tale complessa attività investigativa era emerso che la società COMETALF s.r.l., pur avendo ricevuto le fatture dal T. e dal D.L. inerenti quantitativi di rottami metallici e cascami non compatibili con le capacità imprenditoriali di questi ultimi, aveva però realmente movimentato i quantitativi di merce sottesi alle operazioni fatturate posto che dall’analisi contabile sui beni oggetto di intermediazione non era stata riscontrata alcuna sostanziale difformità "tra quanto entrato e quanto uscito dalla ditta". Tale circostanza – secondo il tribunale – evidenziava che si era trattato di operazioni poste in essere realmente – e quindi non oggettivamente fittizie – ma tra soggetti diversi da quelli indicati nelle fatture.

Pertanto ha ritenuto il tribunale non sussistere il fumus del reato, considerato che la fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, rappresenta un reato di danno, strutturato nella condotta di chi si avvale in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto di fatture o altri documenti afferenti operazioni inesistenti, condotta, inoltre caratterizzata dalla componente di dolo specifico di evasione tributaria.

5. Orbene, da una parte deve ribadirsi in diritto quanto già affermato da questa Corte (Cass. pen., sez. 3^, 26 novembre 2008 – 23 gennaio 2009, n. 3203), secondo cui la definizione di operazione soggettivamente inesistente ai fini dell’applicazione della disciplina sanzionatoria penale corrisponde all’operazione obiettivamente non intercorsa fra i soggetti indicati nella fattura o in altro documento fiscale equipollente; è dunque irrilevante, sotto tale profilo, l’utilizzazione del bene o della prestazione da parte di un terzo soggetto potendo tale circostanza assumere valenza per l’eventuale esclusione del requisito della inerenza del costo dell’operazione sostenuto dal committente. Cfr. anche Cass., Sez. 3^, 14 gennaio 2010 – 16 marzo 2010, n. 10394, che ha precisato che il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo al l’IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura.

Però la censura sul punto del pubblico ministero ricorrente è generica e no n circostanziata, essendo limitata alla richiesta di una "valutazione diversa" del fumus del reato.

6. Quanto all’altra contestazione che fa riferimento al delitto previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, rileva il Tribunale che, proprio utilizzando le risultanze delle informative della p.g. riguardanti le operazioni sottese alle fatture intestate al T. e al D.L., non appariva superata la soglia di punibilità prevista dal delitto di omessa dichiarazione. Infatti, dovevano considerarsi tra i costi effettivi sostenuti dalla società nell’esercizio 2007, utili a determinare il reddito imponibile su cui applicare l’aliquota IRES, anche le somme corrispondenti alle fatture intestate al T. e al D.L., poichè afferivano a costi comunque realmente sostenuti dalla COMETALF s.r.l. e non già fittizi.

Il tribunale ha poi considerato che ai fini della integrazione del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, andavano conteggiati non solo i ricavi ma anche i costi; ciò al fine di verificare il superamento della soglia di punibilità prevista da tale disposizione.

Il tribunale facendo riferimento agli atti di indagine della polizia giudiziaria, ha effettuato il conteggio dei ricavi e dei costi ed è pervenuto alla conclusione che la soglia di punibilità pari a Euro 77.468, 53 non fosse stata superata nel caso di specie.

Nello specifico – ha considerato il tribunale – dalle indagini della P.G. risultava che i ricavi totali ottenuti dalla COMETALF s.r.l. per l’anno 2007 ammontavano ad Euro 3.362.720.55 e che i costi totali, compresi quelli afferenti agli acquisti recati dalle due fatture emesse rispettivamente dal T. e dal D.L., corrispondevano ad Euro 3.128.038,19, talchè l’utile di esercizio era pari ad Euro 234.682,36. Pertanto, l’imposta evasa, pari al 33% del reddito imponibile, era quantificabile in Euro 77.445,18, ossia in un importo inferiore (seppur di poco) alla soglia di punibilità di Euro 77.468,53 prevista dalla norma citata. Quindi, il tribunale ha ritenuto, anche per questa seconda contestazione, non sussistente Wjumus del delitto contestato.

7. A fronte di questo articolato convincimento del tribunale il pubblico ministero ricorrente oppone essenzialmente un dissenso valutativo delle risultanze, allo stato, degli atti di indagine, fondato su una ipotizzata sovrafatturazione degli acquisti recati dalle due fatture di cui sopra. Ma si tratta di una censura di merito, fondata su una deduzione di mero fatto, non deducibile in questa sede atteso che secondo il disposto dell’art. 325 c.p.p., il ricorso avverso le ordinanze aventi di ad oggetto misure cautelari reali è possibile solo per violazione di legge.

Si tratta quindi di una contestazione di merito che non è deducibile in sede di ricorso per cassazione che, nella fattispecie, è ammissibile soltanto per violazione di legge. In proposito la giurisprudenza (v. Cass., sez. 5^, 13 ottobre 2009 – 11 novembre 2009, n. 43068) ha più volte affermato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge. Cfr. anche Cass., sez. un., 29 maggio 2008 – 26 giugno 2008, n. 25932, che parimenti ha ritenuto che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è proponibile solo per violazione di legge, ammettendo solo quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Ciò che nella specie non può dirsi dell’ordinanza impugnata, avendo il tribunale di Brindisi puntualmente motivato il proprio convincimento in ordine alla insussistenza del fumus del reato di cui all’art. 2, citato e al mancato superamento della soglia di punibilità, prevista dall’art. 5 citato.

8. Pertanto il ricorso va dichiarato, nel suo complesso, inammissibile.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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