Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8163 Legittimazione attiva e passiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 9.12.94 la società Del.Ser. s.d.f., premesso che in qualità di possessore in buona fede di un terreno sito in (OMISSIS), all’epoca appartenente a I.F., aveva ivi edificato a sue spese un capannone, citò al giudizio del Pretore di Scalea D.R.M., il quale con atto pubblico del 2.5.91 aveva dalla predetta acquistato il fondo, al fine di sentirlo condannare al pagamento dell’indennità di cui all’art. 936 c.c., pari all’aumento di valore conseguito dal bene.

Costituitosi il convenuto, eccepì in via preliminare l’incompetenza del giudice adito, in considerazione dell’indeterminatezza della domanda ed, in subordine, la propria carenza di legittimazione passiva, sostenendo che la domanda avrebbe dovuto essere azionata contro la I., in quanto proprietaria del fondo all’epoca dell’accessione.

Espletate prove orali e consulenza tecnica, il Tribunale di Paola, al quale la causa era pervenuta a seguito delle note modifiche ordinamentali, con sentenza del 20/23.1.06 respinse la domanda, ritenendo la convenuta non legittimata passiva.

Ma in accoglimento dell’appello della soccombente, cui aveva resistito l’appellata, la Corte di Catanzaro con sentenza del 3/5- 27/10/10, in riforma di quella impugnata, condannava la D.R. al pagamento in favore dell’appellante attrice della somma di Euro 24.443,64, oltre agli interessi legali dalla data della decisione, per l’incremento di valore del fondo accertato dal c.t.u, in ragione degli importi dei manufatti, oltre al rimborso delle spese dei due gradi del giudizio. Osservava in particolare la corte suddetta, al riguardo richiamando una pronunzia di questa Corte, che l’obbligo di indennizzo ex art. 936 c.c., gravasse sull’acquirente, in quanto unico ed effettivo beneficiario dell’incremento di valore arrecato al fondo dal terzo, ancorchè in epoca antecedente la compravendita, poichè nel relativo atto il trasferimento, e quindi il prezzo, contemplava il solo terreno, sebbene con la consueta formula di stile "nello stato di fatto e di diritto nel quale si trova".

Contro tale sentenza la D.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Ha resistito la società intimata con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 82, 83, 125 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 4, denunciandosi: a) sotto un primo profilo, il difetto di ius postulandi del legale che aveva rappresentato e difeso in primo grado la società attrice, che in quanto semplice praticante con patrocinio limitato,non avrebbe potuto proporre una domanda di valore indeterminabile o comunque eccedente il limite, all’epoca di L. 50.000.000, della competenza pretorile, entro il quale avrebbe potuto svolgere tale attività; b) sotto un secondo, l’insanabile invalidità del successivo mandato al suddetto a proporre l’atto di appello, in quanto rilasciato da uno dei due soci della cessata DEL.SER. L.d.f., società che, cancellata dal registro delle imprese fin dal 14.4.1999, come da allegata visura camerale, non avrebbe potuto più essere legalmente rappresentata da alcuno dei suoi componenti.

Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 9, 99 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 4, ulteriormente sviluppandosi il secondo profilo del precedente mezzo d’impugnazione, osservando che la società attrice, in quanto cancellata da sette anni dal registro delle imprese, non avrebbe potuto appellare la sentenza di primo grado a mezzo dell’assunto, ma non più tale, legale rappresentante D.S.I., nè avrebbe potuto farlo costui in proprio, attesa la distinzione tra lo stesso e la suddetta, già costituente, ancorchè società di fatto,un soggetto di diritto distinto da quello dei soci,avente una propria diversa legittimazione processuale attiva e passiva.

I motivi non meritano accoglimento.

La prima censura, contenuta nel primo mezzo, ancorchè ammissibile (in quanto l’assunto vizio inficiante ab initio d’inammissibilità processuale la domanda attrice, sarebbe documentalmente riscontrabile dalla sentenza di primo grado, nella quale il legale in questione viene indicato semplicemente quale "Dott. G.A.", e non anche quale "Dott. proc."o "avv."),non è tuttavia fondata.

Il suddetto legale, infatti, quale praticante procuratore iscritto nello speciale registro di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 8, secondo le nome ordinamentali forensi vigenti all’epoca dell’instaurazione del giudizio, ben avrebbe potuto svolgere patrocinio presso le preture del distretto di appartenenza dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori (nella specie, come è incontroverso, quello di Paola, rientrante nel distretto della Corte d’Appello di Catanzaro).

Legittimamente pertanto egli istaurò la controversia davanti alla Pretura di Paola, sez. dist. di Scalea, a nulla rilevando che successivamente il giudizio sia poi transitatela seguito delle sopravvenute modifiche ordinamentali comportanti la soppressione delle preture, al locale tribunale.

Nè al riguardo avrebbe potuto rilevare l’eccezione di incompetenza per valore, sollevata dalla parte convenuta in ragione dell’assunta "indeterminabilità" della domandarne non sussisteva, non vertendosi in ipotesi di oggettiva impossibilità di quantificazione del petitum, bensì di mancata determinazione della somma pretesa, per suscettibile di quantificazione, comportante ex art. 14 c.p.c., comma 1, u.p., la presunzione di contenimento nei limiti della competenza del giudice adito, ed essendo stata comunque detta eccezione disattesa dal primo giudice, con statuizione che, non avendo formato oggetto d’impugnazione, non può essere rimessa in discussione in questa sede, neppure nei relativi presupposti.

Inammissibili sono poi le residue censure, strettamente connesse, contenute nella seconda parte del primo motivo e nel secondo mezzo, poichè, pur deducendo una nullità, o comunque,una inammissibilità, rilevabile di ufficio, deducono tuttavia questioni richiedenti l’accertamento di una circostanza di fatto (l’assunta cancellazione della società attrice dal registro del imprese), risalente ad epoca anteriore all’instaurazione del giudizio di appello, che ben avrebbe potuto essere dedotta e provata in quella sede e che inammissibilmente si vorrebbe provare nella presente di legittimità, mediante la produzione di documento non rientrante tra quelli previsti dall’art. 372 c.p.c., vale a dire riguardanti l’ammissibilità del ricorso o la nullità della sentenza impugnata, ipotesi quest’ultima da ritenersi limitata a vizi propri del provvedimento e non anche mediati (v. Cass. n. 23026/06), ancor meno se di riflesso di atti di parte.

Al riguardo va ribadito il principio più volte affermato da questa Corte,secondo cui il rilievo, di ufficio o istanza di parte, di una nullità o inammissibilità inficiante il giudizio di merito, al di fuori dei casi tassativi previsti dall’art. 372 cit., è possibile in sede di legittimità, a condizione tuttavia che il vizio già risulti ex acctis, essendo invece escluso quando richieda nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (v., tra le altre, Cass. nn. 444/03, 5505/06, 103019/06, 6439/09).

Con il terzo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. e art. 81 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5", censurando sotto due distinti e gradati profili l’accoglimento della domanda di pagamento dell’indennità di cui alla citata norma civilistica, anzitutto per aver ritenuto "legittimata passiva" la D.R., acquirente del fondo, su cui erano già state realizzate le accessioni, quando lo stesso apparteneva alla precedente proprietaria e dante causa Imparatola sola contro cui si assume che la domanda avrebbe potuto essere proposta, in secondo luogo, per non aver tenuto conto che dette opere, come sarebbe risultato dalla consulenza tecnica di ufficio, erano state realizzate abusivamente e solo successivamente sanate dall’acquirente, illiceità originaria che, a termini della giurisprudenza di questa Corte, sarebbe stata ostativa alla richiesta indennitaria.

Il motivo, fondato sotto il primo ed assorbente profilo, merita accoglimento.

La corte territoriale, come si è riferito in narrativa, ha ritenuto che il soggetto passivo dell’obbligazione indennitaria di cui all’art. 936 c.c. dovesse individuarsi nell’acquirente del fondo interessato dalle accessioni, in quanto effettiva beneficiaria dell’incremento di valore, non avendo la medesima pagato alcun corrispettivo imputabile ai manufatti, ma soltanto il prezzo del suolo, così conformandosi ad un principio, da ultimo, affermato nella sentenza n. 4780/84, a sua volta richiamante quella n. 3856/77 di questa Corte, secondo il quale lo squilibrio patrimoniale giustificante la pretesa del terzo costruttore si sarebbe in siffatti casi verificato in un momento successivo alla costruzione.

Tale indirizzo, che a sua volta si era discostato da quello precedentemente consolidato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 740 del 23.3.1963 (poi ribadito in particolare dalla sent. n. 2039/65 della sez. 1^), non è tuttavia condiviso da questo collegio, in quanto,considerando alla stregua di un’ambulatoria obligatio propter rem quella indennitaria ex art. 936 c.c. e perdendo di vista la natura del relativo fatto genetico, costituito dall’acquisto a titolo originario della proprietà da parte del titolare di quella del fondo interessato dalle accessioni, non considera che l’incremento patrimoniale,che il diritto all’indennità tende a compensarsi è verificato ed esaurito all’atto della realizzazione delle opere, poco o punto rilevando se successivamente,in occasione dell’alienazione del fondo, così già incrementato nel suo valore economico reale,se ne sia tenuto conto da parte del venditore e dell’acquirente, nella determinazione del prezzo.

Costituendo quest’ultima un elemento del tutto estrinseco, mera risultante economica dell’incontro tra la domanda e l’offerta, rispetto alla fattispecie acquisitiva ed al correlato spostamento patrimoniale considerati dalla norma citata, l’argomentazione contenuta nelle citate sentenze, secondo cui in siffatti casi il proprietario originario non ne avrebbe "tratto vantaggio, avendo poi alienato l’immobile senza lucrare il prezzo delle opere erettevi dal terzo, "finisce con il valorizzare, ai fini dell’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione de qua, il momento, del tutto eventuale,della monetizzazione delle opere incrementative, e non anche quello, certo (e costituente il punto di partenza delle alternative scelte consentite dall’art. 936 c.c. al proprietario del fondo), determinato dall’acquisizione del diritto reale sulle stesse, per effetto della cui esistenza si è verificato, quell’aumento del patrimonio del proprietario del suolo "incorporante", a discapito di quello del costruttore, che con il diritto all’indennità si è inteso,entro determinati limiti, compensare.

Va pertanto richiamato e ribadito il principio, che peraltro trova tuttora riscontro nella più autorevole dottrina, di cui alla già citata sentenza delle Sezioni Unite, che, dopo aver premesso che "la norma di cui all’art. 936 cod.civ. …sebbene ispirata all’applicazione del principio secondo cui "quidquid inaedificatur solo cedit", ne contempera tuttavia le conseguenze patrimoniali, che altrimenti sarebbero sproporzionatamente vantaggiose per il proprietario del suolo richiamandosi alla contemporanea osservanza del divieto generale dell’indebito arricchimento… ", chiarì ancora che "il diritto di credito attribuito al proprietario del materiale non è per nulla condizionato al possesso dell’opera…mentre, invece,a causa dell’effetto immediato dell’accessione, lo stesso diritto è esperibile senz’altro contro il proprietario del suolo".

Tale effetto immediato,comportante (nell’ipotesi di mancata richiesta di rimozione) l’insorgenza del debito indennitario in capo al proprietario beneficiato dall’accessione, ne determina la permanenza esclusiva a carico del medesimo, unico soggetto "arricchito" dall’acquisto a titolo originario ex art. 936 c.c., in assenza di alcuna norma o principio comportanti l’ambulatorietà della conseguente obbligazione, anche nei casi in cui il suddetto abbia ritenuto, per propria scelta, nell’alienare il fondo così incrementato, di non tener conto nella determinazione del prezzo di tale aumento di valore.

A nulla rileva in tali casi che il beneficio si sia così di fatto trasferito sull’acquirente, trattandosi di un effetto meramente economico, derivante dal contratto di vendita e riconducibile, a seguito della libera contrattazione del prezzo, alla volontà delle parti stipulanti, e non anche direttamente alla fattispecie acquisitiva a titolo originario di cui alla sopra citata norma civilistica, costituente la sola fonte dell’obbligazione.

L’accoglimento di tale censura, per effetto della quale restano assorbiti sia la rimanente contenuta nel terzo motivo, sia il quarto mezzo (relativo al quantum), comporta in definitiva la cassazione della sentenza impugnata senza rinvio e, non essendo necessari altri accertamenti di fattola diretta pronunzia nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., rigettandosi l’appello avverso la sentenza del primo giudice, che, correttamente attenendosi al principio oggi riaffermato da questa Corte, aveva disatteso la domanda indennitaria, escludendo la riferibilità della relativa obbligazione all’acquirente del fondo, già incrementato dalle accessioni.

Giusti motivi, tuttavia, tenuto conto che la contraria tesi recepita dal giudice di appello non era priva di riscontro giurisprudenziale, oltre che della reiezione dei due primi motivi di ricorso, comportano l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del processo, ponendosi tuttavia a carico della richiedente parte attrice quelle dell’inutile consulenza tecnica di ufficio.

P.Q.M.

La Corte, rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie nei sensi di cui in motivazione il terzo, dichiara assorbito nel resto tale motivo nonchè il quarto, cassa la sentenza impugnata senza rinvio epronunziando nel merito, rigetta l’appello della società DEL.SER. s.d.f., nei confronti di D.R.M., avverso l’impugnata sentenza del Tribunale di Paola.

Dichiara totalmente compensate tra le parti le spese dell’intero processo, ad eccezione di quelle della consulenza tecnica di ufficio, che pone a carico dell’attrice.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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