Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2010) 14-11-2011, n. 41420

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. F.P. imputato del reato p. e p. dall’art. 81 cpv. c.p., e D.Lgs. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2 (convertito in L. 11 novembre 1983, n. 638, come modificato dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 convertito con modificazioni dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389, e dal D.Lgs. 24 marzo 1994, n. 211) perche, in qualità di amministratore pro tempore del condominio D.L., sito in (OMISSIS), con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ometteva il versamento all’INPS di Roma provinciale delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni del lavoratore dipendente A.A.), per l’importo complessivo pari a Euro 5.894,69 nel periodo dal gennaio 2000 al novembre 2004 compreso (fatti accertati in (OMISSIS), a seguito di verifica ispettiva effettuata dall’INPS sede di Roma Provinciale).

11 Tribunale Monocratico di Roma con sentenza del 28/04/2008 dichiarava F.P. colpevole del reato continuato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di otto mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

2. Proponeva appello il difensore dell’imputato chiedendone l’assoluzione ai sensi del capoverso dell’art. 530 c.p.p. in quanto nell’istruttoria dibattimentale non si era raggiunta la prova certa della sua colpevolezza.

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 29 ottobre 2009, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, concedeva all’imputato la sospensione condizionale della pena; confermava nel resto la sentenza impugnata.

Rileva la Corte che l’appello risultava formulato in modo generico e senza alcun riferimento ad elementi concreti per non essere stato esplicitato, al di là di mere formule di stile, in che cosa fosse consistita la carenza probatoria denunciata.

Osservava poi la corte territoriale che gli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale erano tutti convergenti nel senso ritenuto dal primo giudice nella decisione impugnata. In particolare, le dichiarazioni della teste C., Ispettrice INPS, e la documentazione acquisita provavano la sussistenza in capo all’appellante della responsabilità dei fatti contestati, per avere questi omesso, quale amministratore del condominio in contestazione, il versamento di contributi dovuti al portiere, comprese le ritenute effettuate sullo stipendio a fini previdenziali, anche queste non versate.

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della motivazione. Secondo la difesa del ricorrente mancherebbe la prova del ricevimento della raccomandata da parte del condominio da cui decorre il termine di tre mesi per la regolarizzazione della posizione previdenziale. Inoltre il F. non era più amministratore essendo stato nominato un nuovo amministratore in data 3 gennaio 2005.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ancora il difetto di motivazione. Rileva il ricorrente che è mancato l’accertamento sulla conoscenza dell’atto di accertamento; ciò che si rendeva indispensabile al fine di verificare se fosse decorso utilmente o meno il termine previsto dalla legge per il datore di lavoro per il pagamento dei contributi previdenziali in favore del lavoratore senza incorrere nella fattispecie penale.

2. Il ricorso è inammissibile.

La sentenza della corte d1 appello ha rigettato l’impugnazione rilevando che il motivo d’appello era formulato in modo generico e senza alcun riferimento ad elementi concreti. Pertanto il motivo d’appello è stato rigettato in rito, perchè ritenuto privo della necessario carattere di specificità, e non già in merito perchè ritenuto non fondato. La corte d’appello poi comunque ha proceduto – per completezza di valutazione – ad esaminare il compendio probatorio dell’istruzione dibattimentale di primo grado per pervenire al convincimento della sussistenza della prova della condotta ascritta all’imputato.

Il ricorrente nel suo ricorso per cassazione in realtà non censura l’assorbente profilo in rito della sentenza impugnata che rappresenta la ratio decidendi. Si duole invece del fatto che il giudice d’appello avrebbe ritenuto la prova della sua conoscenza dell’accertamento previdenziale da cui scatta il termine di tre mesi previsto dal D.L. n. 638 del 1983, cit., art. 2, comma 1 bis.

Pertanto il motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile perchè non centrato sulla ratio decidendi della sentenza impugnata.

Analoga considerazione può svolgersi per il secondo motivo con cui il ricorrente si duole della tecnica motivazionale della sentenza impugnata che avrebbe motivato per relationem alla sentenza di primo grado. In realtà la corte d’appello – si ripete – ha rigettato l’impugnazione per una ragione in rito, ossia per la genericità della sua formulazione.

Il ricorrente avrebbe dovuto contestare questa affermazione sostenendo il carattere puntuale e specifico del motivo di appello;

cosa che invece non ha fatto.

3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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