Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8161 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 18.12.96 il Condominio di (OMISSIS), citò al giudizio del Tribunale di Grosseto il Comune di Monte Argentario, rivendicando, con richieste di rilascio e risarcimento dei danni, una porticato dell’edificio, che assumeva illegittimamente occupata dall’ente, il quale, autorizzato in via provvisoria dai condomini, verso la metà degli anni 70, ad utilizzarlo quale deposito di mobili per sfollati, lo aveva poi tamponato persistendo indebitamente nell’occupazione.

Costituitosi il Comune, dedusse la legittimità del proprio possesso, in quanto trasferitogli, anche a seguito di una scrittura privata del 1.9.70 manifestante la volontà di donarlo, da tale T., originario proprietario dell’area di sedime del fabbricato e poi del porticato, pertanto chiedendo, oltre al rigetto della domanda attrice, in via riconvenzionale, la dichiarazione del proprio avvenuto acquisto per usucapione.

All’esito della svolta istruttoria documentale e orale, l’adito Tribunale con sentenza n. 101/03 rigettò la domanda attrice ed accolse quella riconvenzionale.

Ma a seguito dell’appello del Condominio, cui aveva resistito, proponendo appello incidentale il Comune, la Corte di Firenze con sentenza del 3.5.06, in parziale accoglimento del gravame principale, disatteso quello incidentale, in riforma della decisione impugnata, rigettata la domanda riconvenzionale, dichiarava il Condominio proprietario del porticato e condannava il Comune al relativo rilascio, uttavia respingendo la domanda risarcitoria attrice, ponendo infine a carico dell’appellato le spese dei due gradi di giudizio.

Riteneva la corte suddetta: a) che la destinazione ed utilizzazione dell’area come porticato, e dunque la sua natura di bene comune ex art. 1117 c.c., risultassero dal progetto edilizio approvato dallo stesso Comune, nonchè dalle attendibili deposizioni di due testi addotti dall’attore, non inficiate da quelle, generiche ed in buona parte de relato, rese da alcuni dipendenti comunali; b) che dalla donazione nulla del 1970 non fosse possibile desumersi, quale automatica conseguenza, un possesso esercitato dall’ente territoriale fin da tale epoca, in difetto di una comprovata signoria di fatto sul porticato, ed essendo risultato, dalle suesposte attendibili testimonianze, non superate da quelle dei dipendenti del Comune, che solo a partire dagli anni 80 quest’ultimo avesse iniziato a possedere uti dominus il bene; c) che tuttavia la parte attrice non avesse provato la sussistenza di alcun danno subito per effetto dell’occupazione, il che escludeva anche la possibilità di una liquidazione equitativa.

Avverso la suddetta sentenza il Comune di Monte Argentario ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Ha resistito il condominio appellato con controricorso, contenente ricorso incidentale.

A quest’ultima impugnazione il ricorrente il ricorrente principale ha replicato con controricorso ai sensi dell’art. 371 c.p.c., comma 4, depositando infine una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta violazione dell’art. 102 c.p.c. e art. 354 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, come sost. Dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, denunciandosi la nullità del giudizio di merito, per omessa integrazione del contraddittorio, che avrebbe dovuto essere disposta di ufficio, nei confronti dei condomini, in quanto litisconsorti necessari o comunque effettivi legittimati passivi in relazione alla domanda riconvenzionale di usucapione, per la quale non avrebbe potuto operare la rappresentanza processuale dell’amministratore.

Il motivo è infondato.

Premesso che il condominio è un ente di gestione, privo di personalità giuridica distinta da quella dei condomini, i quali sono rappresentati ex art. 1131 c.c., dall’amministratore, nell’ambito dell’esercizio delle attribuzioni al medesimo spettanti ai sensi dell’art. 1330 c.c., tra le quali (n. 4 cit. art.) rientrano le iniziative giudiziarie per la conservazione dei beni comuni, ne deriva che, come l’amministratore è legittimato ad agire senza espresso mandato dei singoli condomini per la tutela di tali beni (v.

Cass. n. 14474/11), senza che si configuri al riguardo alcuna ipotesi di litisconsorzio processuale (v. Cass. nn. 177/12, 20483/04), del pari deve escludersi la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini, nei casi di proposizione di azioni reali aventi ad oggetto i beni anzidetti, proposte nei confronti del condominio, tenuto conto che l’amministratore è legittimato ex lege a resistere, in via esclusiva o concorrente, a siffatte pretese di terzi (o anche di condomini), in virtù delle attribuzioni a lui spettanti ai sensi del combinato disposto delle norme citate,avendo il solo obbligo,di natura interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi, di informarne l’assemblea (v. Cass. nn. 22886/10, 9093/07).

Con il secondo motivo del suddetto ricorso vengono dedotte violazione o falsa applicazione degli artt. 922, 948, 1117 e 2697 c.c., nonchè motivazione omessa o insufficiente su fatto controverso e decisivo,per essere stata accolta la domanda di rivendicazione,in difetto di adeguata prova del diritto di proprietà (c.d. probatio diabolica) da parte dell’attore, pur essendo stato lo stesso contestato dal convenuto.

Anche tale motivo è infondato, alla luce dei principi costantemente affermati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il rigore probatorio nelle azioni di rivendicazione si attenua e non è necessaria la c.d. probatio diabolica, ma sufficiente la prova di un titolo anche derivativo della proprietà, nei casi in cui il convenuto deduca l’usucapione sul bene controverso, senza contestarne l’originaria titolarità della controparte, oppure ammettendo la provenienza del bene controverso da un unico originario proprietario,comune dante causa delle parti (v.,tra le altre, nn. 22958/10, 21829/09, 9303/09, 5161/06, 5487/02, 12327/01, 8806/00, 3564/95, 8394/90).

Nel caso di specie è lo stesso ricorrente ad ammettere che i beni in questione provengano da tale C., costruttore dell’edificio, che dopo aver acquistato il suolo dal proprietario T., avrebbe poi, fin dal 1965, al medesimo ceduto, oltre agli appartamenti costituenti il corrispettivo della permuta, anche il porticato oggetto di causa, poi dal T. di fatto ceduto (in forza della donazione nulla) al Comune nel 1970.

Vi è inoltre agli atti la prova prodotta dal condominio, come pure si ammette nel ricorso (tuttavia contestandone la sufficienza), dell’acquisto nel 1967 di un appartamento, facente parte dello stabile in questione, da parte di uno dei condomini, acquisto che sebbene non direttamente proveniente dal C., non avrebbe potuto avvenire che da un avente causa, in virtù di un precedente trasferimento, dal medesimo, essendo stato costui pacificamente il costruttore ed originario unico proprietario dell’edificio.

Tali elementi probatori comportano, anzitutto, la sicura risalenza a tale epoca del condominio, alla luce del principio affermato da questa Corte secondo cui il condominio viene ad esistenza sin dal primo atto, con il quale l’originario unico proprietario dell’edificio abbia alienato ad un altro soggetto una o più unità immobiliari facenti parte dello stesso (v. n. 11812/11) ed, in secondo luogo evidenziano la qualità di aventi causa di entrambe le parti (tenuto conto della natura di ente di gestione dei beni della compagine condominiale, e dunque dei diritti dei singoli condomini sulle cose comuni, spettante al condominio) dall’unico originario dante causa; sicchè, on la produzione di un titolo di acquisto, peraltro risalente ad oltre un ventennio prima dell’instaurazione della causa, idoneo a legittimare la pretesa rivendicativa ex art. 1117 c.c., quanto meno da parte di un condomino, vale a dire di un sostanziale attore validamente rappresentato dall’amministratore del condominio a detta epoca già esistente, quest’ultimo era dispensato dal produrre altre prove in ordine alla titolarità del diritto, nella specie preteso sulla base della presunzione di condominialità dettata dalla citata norma civilistica.

Con il terzo motivo vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 2697 c.c., nonchè motivazione omessa o insufficiente sul fatto, controverso e decisivo, relativo alla esistenza dei presupposti per l’insorgenza della presunzione di comunione dell’area rivendicata, omettendosi in particolare di verificare se, fin dal momento della costituzione del condominio, il bene fosse destinato al servizio dell’edificio condominiale.

Il motivo non merita accoglimento, tenuto conto di quanto si è evidenziato in precedenza circa la risalenza del condominio e considerato che, una volta accertato che al bene, in quanto riconducile al novero di quelli previsti dall’art. 1117 c.c., o, comunque, connotato da attitudine oggettiva e funzionale al soddisfacimento di esigenze collettive, si applichi la presunzione di condominialità, è solo con un titolo contrario, naturalmente costituito da un valido atto scritto (attesa la natura immobiliare dei diritti in questione) che tale presunzione può essere superata, a nulla rilevando il comportamento di fatto di chi se ne assuma proprietario esclusivo, nè potendo tale diritto desumersi da elementi presuntivi (v., tra le altre, Cass. nn. 3159/06, 3254/04).

Nel caso di specie, in cui il bene era originariamente un porticato, come tale correttamente ricondotto dalla corte di merito alla previsione di cui all’art. 1117, n. 1, tra l’altro annoverante i "portici", sussisteva per definizione una originaria ed oggettiva destinazione funzionale all’uso e godimento comune dello stesso, non esclusa ex post, bensì pregiudicata, dal successivo comportamento di una delle parti che,procedendo alla chiusura del porticato mediante la tamponatura, lo aveva di fatto sottratto a tale destinazione; tale comportamento sine titulo (attesa l’accertata ed ormai incontroversa invalidità della donazione) avrebbe potuto soltanto rilevare, in concorso delle altre condizioni di legge, ai fini della maturazione dell’usucapione.

Con il quarto motivo si deduce omissione o insufficienza di motivazione sul fatto, controverso e decisivo, relativo all’esistenza del possesso esclusivo da parte del Comune fin dalla prima metà degli anni 70, censurandosi valutazione comparativa delle testimonianze, di cui è menzione in narrativa, senza spiegare le proprie ragioni di dissenso, rispetto a quella diversa compiuta dal primo giudice, privilegiando le testimonianze rese di due parenti conviventi di condomini e senza tener conto dei riscontri documentali, suffraganti quelle rese dai dipendenti comunali, costituiti in particolare da due delibere di giunta municipale, una del 1970 diretta all’accettazione della "donazione", l’altra del 1974, prevedente l’acquisto di infissi da installare nei porticato in contestazione.

Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.

Pur convenendosi sulla natura neutrali fini della dimostrazione dell’inizio del possesso sul bene, della delibera del 1970 diretta all’accettazione della invalida donazione, non potendosi da tale solo atto desumersi la materiale apprensione dello stesso, altrettanto non può ritenersi,quanto alla Delib. 23 settembre 1974, n. 709/U.T., dal contenuto della quale (riportato testualmente nel mezzo d’impugnazione, in osservanza del principio dell’autosufficienza) si rileva che l’ente territoriale stanziò una somma, di L. 400.000, imputandola al capitolo di bilancio "manutenzione stabili comunali", per l’acquisto e l’installazione (al riguardo individuando anche la ditta appaltatrice) di infissi nell’immobile de quo, operazione pressupponente i lavori di trasformazione del porticato, se non già compiuti, quantomeno imminenti e, dunque, un verosimile possesso esclusivo in atto da parte dell’ente territoriale, tale da giustificare l’inclusione dello stesso tra gli "stabili comunali" di impegnarsi a dette spese. Tale dato documentale, prodotto dal Comune e del tutto ignorato dai giudici di merito, avrebbe dovuto formare oggetto di adeguata valutazione, sia quale eventuale elemento, di per sè solo, sintomatico di un possesso esercitato fin dal 1974 sul bene in questione, sia di riscontro oggettivo di quelle testimonianze (dei dipendenti comunali) che ne sono state ritenute prive dalla corte di merito e, pertanto ingiustificatamente, sotto tal profilo, svalutate.

Sussistendo, pertanto, la dedotta carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia – dacchè il dimostrato esercizio di un possesso esclusivo sin dal 1974, ove protrattosi fino al 1996, epoca di inizio della causa, avrebbe comportato diverso esito della domanda riconvenzionale di usucapione – la sentenza impugnata va cassata in parte de qua, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di provenienza.

motivazione, in ordine al mancato riconoscimento di un compossesso, utile ad usucapionem della comproprietà, che sarebbe stato in subordine configurabile, sia il ricorso incidentale, con il quale si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2697, 2727 e 2729 c.c., in rel. all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, derivanti dalla occupazione senza titolo, che avrebbero dovuto essere ravvisati in re ipsa.

Sulle spese del presente giudizio provvederà, infine, il giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta i primi tre motivi del ricorso principale, accoglie nei limiti di cui in motivazione il quarto, dichiara assorbiti il quinto motivo di tale ricorso, nonchè il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze.

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