Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-12-2011, n. 6734 Mansioni e funzioni Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso di primo grado, disatteso dalla sentenza in epigrafe, il sig. P. C., dipendente dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Puglia e Basilicata, con IV qualifica, aveva chiesto l’accertamento della spettanza del trattamento retributivo corrispondente alla VI qualifica, assumendo di aver svolto mansioni superiori a decorrere dal 16 febbraio 1983.

2. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe (Tar Puglia – Bari, sez. II, 19 giugno 2006 n. 2278) ha respinto il ricorso osservando che:

– la giurisprudenza, anche costituzionale, relativa all’art. 29, d.P.R. n. 761/1979, riferita alla retribuibilità delle mansioni superiori espletate dai dipendenti del servizio sanitario nazionale, afferma che occorre il duplice presupposto del conferimento delle mansioni con atto formale e della vacanza del posto che richiedeva l’espletamento di mansioni superiori;

– nel caso di specie invece le mansioni superiori sarebbero espletate in via di mero fatto;

– le mansioni superiori possono essere retribuite solo se vi sia una norma espressa che ciò consenta; nella specie manca la fonte normativa, atteso che nel caso di specie si disputa di mansioni superiori espletate anteriormente all’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, che non ha portata retroattiva;

– non è invocabile l’art. 2126 c.c. che riguarda il diverso caso di lavoro di fatto svolto sulla base di titolo invalido;

– non ricorrono i presupposti dell’ingiustificato arricchimento, non essendovi la prova di una diminuzione patrimoniale subita dal ricorrente, ed essendo l’azione di arricchimento ingiustificato ammessa solo in via residuale, in mancanza di altre azioni, nella specie previste.

3. La sentenza è stata appellata dall’originario ricorrente, che deduce i seguenti motivi:

– il Tar non avrebbe dato una corretta lettura dell’art. 29, d.P.R. n. 761/1979 e della sua interpretazione giurisprudenziale; se le mansioni superiori si protraggono per oltre sessanta giorni, non occorrerebbe, per la loro retribuibilità, il presupposto dell’atto formale di conferimento;

– il Tar non avrebbe correttamente applicato l’art. 56, d.lgs. n. 29/1993, il cui comma 5 consentirebbe di retribuire le mansioni superiori anche in mancanza di atto formale di conferimento;

– il Tar ha errato a ritenere che l’art. 15, d.lgs. n. 387/1998 non avrebbe portata retroattiva, riconosciuta invece da Corte cost. n. 91/2004;

– in ogni caso il Tar avrebbe dovuto riconoscere le differenze retributive per mansioni superiori per il periodo del rapporto di lavoro dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 fino al 2006, data della sentenza.

4. Va anzitutto circoscritta la materia del contendere:

a) non vengono contestati i capi di sentenza che hanno negato i presupposti dell’azione di arricchimento ingiustificato, capi che pertanto sono passati in giudicato, sicché nel giudizio di appello non si può più discutere di tale azione;

b) la domanda originaria in primo grado si riferiva al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla proposizione del ricorso di primo grado (depositato nel 1997), sicché costituisce inammissibile domanda nuova quella volta a conseguire il riconoscimento delle mansioni superiori dal 1998 al 2006.

5. Nel merito, l’appello è infondato.

5.1. La possibilità di conferire al dipendente, in via temporanea, mansioni superiori, con conseguente spettanza del relativo trattamento economico, è stata disciplinata in termini generali solo con l’art. 57, d.lgs. n. 29/1993, previsione la cui entrata in vigore è stata differita fino al 1° gennaio 1999, e, in prosieguo, con l’art. 56, d.lgs. n. 29/1993, introdotto dall’art. 25, d.lgs. n. 80/1998, e il cui ult. co. è stato modificato dall’art. 15, d.lgs. n. 387/1998.

In precedenza, la regola generale, recata dal t.u. pubbl. imp., era quella del divieto di adibire il dipendente a mansioni superiori.

5.2. In deroga a tale regola generale, per il personale sanitario l’art. 29, d.P.R. n. 761/1979, aveva già previsto che in caso di esigenze di servizio il dipendente può eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori. L’assegnazione temporanea, che non può comunque eccedere i sessanta giorni nell’anno solare, non dà diritto a variazioni del trattamento economico.

La giurisprudenza ne ha tratto la duplice conclusione che, ai sensi di tale disposizione:

a) qualora l’assegnazione alle medesime mansioni si protragga oltre il termine di sessanta giorni nell’anno solare, spetta al prestatore di lavoro il trattamento economico corrispondente all’attività concretamente svolta, né rilevano quindi i motivi e le circostanze che hanno determinato l’espletamento delle mansioni superiori (Cons. St., sez. V, 9 marzo 1995 n. 328);

b) l’esistenza in organico di un posto vacante e disponibile è il presupposto indispensabile perché l’esercizio delle funzioni superiori da parte del dipendente U.S.L., dia diritto (dopo 60 giorni) al corrispondente trattamento economico (Cons. St., sez. V, 9 aprile 1994 n. 267).

5.3. Peraltro, la più recente giurisprudenza ha affermato che anche in base all’art. 29 d.P.R. n. 761/1979 non è possibile configurare l’esercizio di mansioni superiori retribuibili qualora sia inesistente una determinazione formale, sia pure illegittimamente assunta, con la quale il funzionario sia stato incaricato a ricoprire quel determinato posto e qualora l’interessato non abbia ricoperto un posto vacante di livello superiore (Cons. St., sez. V, 7 aprile 2009 n. 2150; sez. V, 14 gennaio 2009 n. 100; sez. V, 17 settembre 2008 n. 4431; sez. V, 8 maggio 2007 n. 2130; sez. V, 28 gennaio 1998 n. 112).

Nel caso di specie vi sono solo atti dell’amministrazione che ex post operano una ricognizione delle mansioni svolte, in via di fatto, dal dipendente, ma non risulta in alcun modo dimostrato che le mansioni superiori siano state espletate in virtù di un atto di conferimento formale.

5.4. Non è applicabile, ratione temporis, l’invocato art. 56, comma 5, d.lgs. n. 29/1993, che riconosceva la retribuibilità delle mansioni superiori anche se manca un atto formale di conferimento (recitando testualmente: "Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave").

Tale previsione risulta infatti introdotta dal d.lgs. n. 80/1998, e dunque in epoca successiva al periodo del rapporto di lavoro in contestazione (il ricorso di primo grado risulta depositato nel 1997).

5.5. Non rileva, poi, nella specie, l’invocato art. 56, comma 6, come modificato dal d.lgs. n. 387/1998.

Giova ricordare che nella sua portata originaria, l’art. 56, comma 6 (come introdotto dal d.lgs. n. 80/1998), disponeva "Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore".

In prosieguo la previsione è stata modificata dall’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, con la eliminazione delle parole "il diritto a differenze retributive". La modifica ha sortito l’effetto pratico che anche prima dell’adozione dei contratti collettivi, le mansioni superiori avrebbero dato diritto a differenze retributive, alle condizioni previste dall’art. 56. Vale a dire che il differimento dell’applicazione dell’art. 56 fino ai contratti collettivi, operava solo ai fini degli avanzamenti di carriera, ma non anche al fine della retribuzione delle mansioni superiori.

5.6. La giurisprudenza di questo Consesso ha negato portata retroattiva all’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, affermando che lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego, anche se protratte nel tempo e assegnate con atto formale su posto vacante e disponibile, è giuridicamente ed economicamente irrilevante, salvo il diritto alle differenze retributive per il periodo successivo all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. n. 387/1998, che ha modificato l’art. 56, d.lgs. n. 29/1993 (Cons. St., ad. plen., 23 marzo 2006 n. 3; Cons. St., ad. plen., 23 febbraio 2000 nn. 12 e 11; Cons. St., ad. plen., 18 novembre 1999 n. 22; Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2009 n. 3514).

5.7. La plenaria, con la decisione n. 3/2006 ha consapevolmente e espressamente assunto una posizione contraria rispetto alla Cassazione, e segnatamente rispetto alla pronuncia della sez. lav. 8 gennaio 2004 n. 91, invocata da parte appellante.

Secondo la Cassazione "Nel pubblico impiego "privatizzato" il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal d.lgs. n. 29/1993, art. 56, comma 6, come modificato dal d.lgs. n. 80/1998, art. 25, è stato soppresso dal d.lgs. n. 387/1998, art. 15, con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6, ultimo periodo, del predetto articolo, disposta dalla nuova norma, è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e, quindi, in modo idoneo ad incidere sulla regolamentazione applicabile all’intero periodo transitorio" (Cass., sez. un., 22 febbraio 2010 n. 4063; Cass., sez. lav., 8 gennaio 2004 n. 81).

La plenaria n. 3/2006 ha in contrario ribadito che la norma di cui all’art. 15 d.lgs. n. 387/1998, non avendo carattere interpretativo, non può che disporre per il futuro. Il carattere di norma di interpretazione autentica va riconosciuto soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate; mentre, nel caso della disposizione di cui trattasi, la scelta assunta dalla norma, che si assume interpretativa, non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale del combinato disposto dei pregressi art. 56 e 57 d.lgs. n. 29/1993.

Così interpretato, l’art. 56 d.lgs. n. 29/1993, nel testo modificato dall’art. 15 d.lgs. n. 387/1998, con riguardo al periodo precedente l’entrata in vigore di quest’ultimo, non consente che lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta formalmente comporti il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente. La norma non appare incostituzionale, non essendo, sotto l’aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l’art. 36 Cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principî di pari rilevanza costituzionale; quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principî di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari.

In ogni caso, il generale riconoscimento del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori svolte solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 3871998 trova la sua ratio con l’organica disciplina delle mansioni introdotta dall’art. 25 d.lgs. n. 80/1998, che ha sostituito e abrogato le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli art. 56 e 57 d.lgs. n. 29/1993.

L’art. 25 d.lgs. n. 80/1998, una volta delineata la completa disciplina della materia in parola in un quadro di armonico rispetto dei principî costituzionali ricavabili dagli art. 51, 97 e 98 Cost., ha consentito di recepire nell’ordinamento del pubblico impiego il pur primario valore di cui all’art. 36 Cost.; disponendo che, per il periodo di effettiva prestazione delle mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica. Il che non fa dubitare della costituzionalità della pregressa disciplina, dato che essa tende – in maniera razionale, in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell’istituto e in vista dell’equo contemperamento dei principî costituzionali sopra enunciati – soltanto a evitare che le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero, nel pubblico impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari.

5.8. A tali statuizioni della plenaria il Collegio aggiunge che tutt’al più la portata retroattiva dell’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, non potrebbe che risalire alla data di introduzione dell’art. 56, che, come detto, è stato introdotto dal d.lgs. n. 80/1998. Il che significa che solo a far data dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 80/1998, potrebbe spettare la retribuzione delle mansioni superiori, per i periodi di lavoro successivi a detta entrata in vigore.

Infatti fino a tale data vigeva l’opposto principio della non retribuibilità delle mansioni superiori, su cui l’art. 56, d.lgs. n. 29/1993, come introdotto dal d.lgs. n. 80/1998, non ha inciso retroattivamente, ma innovativamente, per tutte le ragioni già indicate dalla plenaria.

La stessa pronuncia invocata da parte appellante, Cass., sez. lav., n. 91/2004, nell’affermare la portata retroattiva dell’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, si riferisce in fatto al periodo lavorativo che va dal 1° luglio 1998 al 21 novembre 1998, dunque predica una retroattività del citato art. 15 che non risale ad epoca anteriore al d.lgs. n. 80/1998, come si pretende in questa sede con l’atto di appello.

5.9. Né la Corte cost. ha mai affermato la portata retroattiva dell’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, in quanto nei casi in cui è stato investito della questione, ha reso pronunce di inammissibilità o restituzione degli atti al giudice a quo (Corte cost., ordd. nn. 142/2004; 220/2003;146/1999).

6. In conclusione, l’appello va respinto.

Risalendo l’appello ad epoca successiva alla plenaria n. 3/2006, che aveva risolto la questione oggetto del presente giudizio, le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro mille, considerata la qualità soggettiva dell’appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite nella misura di euro mille.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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