Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8158

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Svolgimento del processo

R.V., proprietaria di un immobile in (OMISSIS), citò in giudizio davanti al tribunale di Tolmezzo, con atto del 6.4.2002, R.G., rivendicando la proprietà di una legnaia e di porzioni di terreno da lui usurpate, con variazione catastale.

Il convenuto oppose l’usucapione.

Espletate ctu e prova testimoniale e documentale, il Tribunale accertò la proprietà dell’attrice, condannando il convenuto al rilascio e respingendo la domanda di usucapione; decisione parzialmente riformata dalla Corte di appello di Trieste, con sentenza 43/09, che dichiarò la proprietà di R.G. per usucapione del ripostiglio in muratura colorato in verde nella planimetria – rilievo n. 10 – dell’allegato alla ctu, nonchè della parte antistante, confermando per il resto la prima decisione e compensando le spese, sul presupposto che era condivisibile l’assunto del primo giudice sulla prova della proprietà dell’appellata.

Entrambe le parti invocavano il proprio diritto da un medesimo contratto di divisione e l’appellante, sostenendo l’usucapione, dimostrava di non contestare il titolo. Non era condivisibile la valutazione delle deposizioni testimoniali per cui, anche sulla scorta dei chiarimenti del ctu, la parte colorata in verde era stata usucapita.

Ricorre R.V. con tre motivi con relativi quesiti, resiste R.G. proponendo ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Col primo motivo si deducono violazione degli artt. 1140, 1141, 1158, 2943 c.c., e vizi di motivazione in ordine alla prova di un possesso utile all’usucapione nel ventennio precedente agli atti usurpativi e sulla valutazione complessiva delle prove, posto che la lustrazione catastale è del 1986, la costruzione del piccolo fabbricato successiva e la citazione del 2002.

Col secondo motivo si lamentano violazione degli artt. 1140, 1158 c.c., art. 116 c.p.c., e vizi di motivazione in ordine al possesso sulla corte antistante.

Col terzo motivo si lamentano violazione degli artt. 112, 132, 161 c.p.c., nullità della sentenza per impossibilità di individuare la corte antistante.

Col ricorso incidentale si denunzia: 1. violazione degli artt. 922, 948, 2697 c.c., circa il passaggio della motivazione relativo alla non contestazione del titolo. 2. nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione o per vizi della stessa, in ordine all’estensione delle rispettive proprietà. 3. violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., perchè la Corte di appello ha valutato la domanda come regolamento di confini e non rivendica. 4. nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione o per vizi della stessa in ordine alla omessa pronuncia sulla domanda di nullità parziale dell’atto di divisione.

Osserva questa Corte suprema:

L’ultimo motivo del ricorso incidentale è inammissibile perchè denunzia una omessa pronuncia sulla domanda di nullità parziale non riportata, in violazione sia dei canoni di autosufficienza del ricorso che di quelli specifici di una rituale impugnazione ex art. 112 c.p.c., mentre si denunziano vizi di motivazione con conseguente indicazione del fatto controverso.

Per il resto, entrambe le parti, sia pure sotto profili diversi, attaccano la motivazione della sentenza che riconosce "l’adeguatezza delle conclusioni peritali sui confini. basate sui punti fermi, cioè i vecchi fabbricati dell’originario atto di divisione del 1920 e su successive sovrapposizioni mappali, che hanno dimostrato come il frazionamento del 1986 non abbia rispettato le volontà espresse nell’originaria divisione dell’immobile, tranne quanto si dirà circa i possessi", per i quali fa riferimento ad un teste che risiede a Roma e si reca sui luoghi una volta l’anno, ad altri che avrebbero riferito dei rispettivi possessi.

Per la configurabilità del possesso "ad usucapionem", è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno "’ius in re aliena" ("ex plurimis" Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di alti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994n. 10652).

Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se. nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903. Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454), ove sia congruamente logico e giuridicamente corretto.

Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica, e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222).

Donde il rigetto del ricorso principale, avendo la sentenza,a pagina sei fatto riferimento ai rispettivi possessi delle parti colorate in verde ed in giallo "e che la stessa sorte seguono le rispettive parti antistanti".

Nemmeno il ricorso incidentale merita accoglimento in quanto la sentenza, sia pure sinteticamente da atto che l’eccepita usucapione è incompatibile con la contestazione del titolo ed omette di considerare che la qualificazione della domanda spetta al giudice.

Tra l’altro, avendo la sentenza dedotto che entrambe le parti invocavano il proprio diritto da un medesimo contratto di divisione, andava formulata rituale censura ex art. 1362 c.c..

L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c., e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839. 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Consegue la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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