Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2010) 14-11-2011, n. 41410

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.L. e H.R. erano imputati dei reati p. e p.: a) dall’art. 416 c.p. perchè, con altri soggetti rimasti ignoti e con K.F. e K.A. (nei confronti dei quali si era proceduto separatamente) ponevano in essere una associazione finalizzata allo sfruttamento della prostituzione di ragazze provenienti dall’Est Europeo; b) dall’artt. 110 e 81 c.p. e L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 8 e art. 4, n. 7 perchè, in concorso tra loro, e con K.F. e K.A. con atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, ponevano in essere un’attività di sfruttamento della prostituzione nei confronti di P.V., O.N., B.T., K.A. e di altre prostitute non identificate.

Inoltre la sola D.L. era imputata anche in ordine al seguente reato: c) artt. 110, 56 e 629 c.p. perchè, in concorso con K.S. (deceduto), e con K.F. (nei confronti del quale si procedeva separatamente) e con altre persone rimaste ignote, con minacce poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere R.A. ad allontanarsi dal luogo ove svolgeva attività di meretricio e a procurarsi ingiusto profitto dicendole che se voleva rimanere a lavorare in quel luogo doveva pagare 150 Euro al giorno altrimenti o se ne andava o loro avrebbero provveduto a farla sparire (in (OMISSIS)).

Il solo H.R. era poi anche imputato in ordine al seguente reato: d) L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 8 perchè sfruttava la prostituzione di S.T., alloggiandola presso l’hotel (OMISSIS), controllandola sul luogo di lavoro e trattenendo per sè l’intero guadagno.

2. Il GIP presso il Tribunale di Chiavari, procedendo con rito abbreviato, con sentenza del 10 maggio 2006, dichiarava D. L. e H.R. colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti e, ritenuta la continuazione tra gli stessi, concesse ad entrambi le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla aggravante contestata sub b) (reato più grave) e applicata la diminuente ex art. 442 c.p.p. condannava D.L. alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 10.000 di multa e H.R. alla pena di anni 2 mesi 6 di reclusione ed Euro 9.000 di multa, oltre sanzioni accessorie e confisca.

3. Avverso tale sentenza gli appellanti proponevano appello.

In particolare la D. ha sostenuto che non era provata la sua partecipazione al reato di tentata estorsione, e comunque, anche laddove la si fosse ritenuta coinvolta, sussisteva semmai il reato di tentata violenza privata.

La Corte d’appello di Genova con sentenza del 5-19 ottobre 2010 in parziale riforma della sentenza del GIP del Tribunale di Chiavari, qualificava il fatto sub c) come reato di violenza privata pluriaggravata, ma confermava la pena inflitta alla D. e confermava nel resto l’impugnata sentenza.

4. Avverso questa pronuncia la sola D. propone ricorso per cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la erronea applicazione della legge penale in particolare con riferimento all’art. 597 c.p.p., comma 4. La corte d’appello di Genova, in accoglimento del primo motivo di gravame, ha ritenuto di derubricare il delitto di tentata estorsione, così come contestato, nel diverso e meno grave reato di violenza privata. La stessa corte però – e di ciò si duole la ricorrente – ha mantenuto invariata la pena irrogata nonostante la avvenuta derubricazione in una fattispecie meno grave rispetto a quella per la quale il giudice di primo grado aveva inflitto l’aumento di pena a titolo di continuazione.

Col secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge in riferimento soprattutto all’art. 597 c.p.p., comma 1, di procedura penale nonchè vizio di motivazione. In particolare la ricorrente si duole del fatto che la corte d’appello, ritenendo erroneamente di agire conformemente alle richieste difensive, ha derubricato il capo C) nel reato di violenza privata senza fornire tuttavia alcuna indicazione circa il fatto che la medesima condotta materiale, a seguito della derubricazione, fosse stata trasformata da reato tentato in reato consumato.

2. Il ricorso – i cui due motivi possono essere trattati congiuntamente – è fondato. In generale deve considerarsi che a fronte dell’art. 610 c.p., che prevede la condotta di chi, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa, l’art. 629 c.p. sanziona la condotta di chi, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno;

talchè può dirsi che – come già ritenuto da questa corte (Cass. pen., sez. 2, 11 luglio 2008, Mangeli, rv. 240637) – l’estorsione è una violenza privata caratterizzata dall’ulteriore evento del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno, e connotata dalla privazione della libertà di autodeterminazione nelle disposizioni patrimoniali del soggetto passivo.

Nella specie ha osservato in particolare la Corte territoriale che l’impugnata sentenza di primo grado meritava conferma, ad eccezione del punto in cui aveva pronunciato condanna in ordine al reato di tentata estorsione specificato sub C della rubrica, che è l’unica questione che ora pone la ricorrente nei suoi due motivi di ricorso.

Secondo la corte d’appello la persona offesa subì la minaccia della D. e di altre persone. Queste le intimarono di abbandonare la postazione che aveva occupato sulla strada, salvo pagare un "pedaggio" quotidiano. Quindi – ha ritenuto la corte d’appello – la coartazione della volontà della persona offesa fu meno pressante, poichè le fu accordata la minima possibilità di manifestare la propria volontà, optando per l’alternativa proposta di allontanarsi.

In ragione di questa diversa valutazione dei fatti la corte d’appello ha ritenuto che la condotta dell’imputata aveva integrato il reato di violenza privata.

L’imputata però era stata condannata per il reato di tentativo di estorsione e quindi, in mancanza di impugnazione da parte del pubblico ministero, non era possibile la riqualificazione della condotta come reato consumato dal momento che la corte territoriale ha escluso che vi fosse stata una piena coartazione della volontà della persona offesa e che quindi il reato si fosse perfezionato.

Pertanto la condotta già accertata dal giudice di primo grado e confermata dalla corte d’appello, salvo la riconducibilità della stessa alla fattispecie dell’art. 610 c.p. (violenza privata) invece che alla fattispecie dell’art. 629 c.p. (estorsione), non poteva che rimanere nell’area della reato tentato.

Conseguentemente il fatto accertato va qualificato come tentativo di violenza privata e non già come reato consumato di violenza privata;

ciò che incide anche sulla quantificazione dell’aumento della pena al titolo di continuazione ( art. 81 c.p.).

L’impugnata sentenza va così annullata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello di Genova soltanto per la rideterminazione della pena inflitta come aumento per la continuazione dei reati.

P.Q.M.

qualificato il fatto come tentativo di violenza privata, annulla la sentenza impugnata con rinvio per la rideterminazione della pena inflitta per la continuazione ad altra sezione della corte d’appello di Genova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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