Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-12-2011, n. 6731 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a. – Sezione autonoma di Bolzano respingeva (a spese compensate) il ricorso n. 180 del 2001 proposto dall’odierno appellante K. J., nella sua qualità di proprietario dell’immobile tavolarmente identificato dalla p.m. 1 della p.ed. 132 in P.T. 662/II C.C. Velturno – la p.m. 2 della stessa p.ed. era, invece, di proprietà del controinteressato K. F. (fratello del ricorrente) -, avverso la nota prot. n. 1171 del 28 marzo 2001 e la nota n. 1886/2001 notificata il 25 maggio 2001, con le quali il Sindaco del Comune di Velturno aveva comunicato all’istante il rigetto dell’istanza di autorizzazione alla trasformazione di una finestra in porta d’accesso (d)al cortile comune dell’edificio per la mancanza del consenso del comproprietario delle parti comuni (muro maestro interessato dall’apertura della porta e cortile) e la conseguente carenza di legittimazione dell’istante a richiedere il titolo edilizio ai sensi dell’art. 70 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.). L’adito T.r.g.a. riteneva legittimo l’operato dell’Amministrazione comunale sulla base del rilievo che per effetto dell’incidenza dell’opera sulle parti comuni, restrittiva delle facoltà di godimento del comproprietario, era necessaria l’acquisizione del consenso di quest’ultimo per la richiesta innovazione e il rilascio del relativo titolo edilizio.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello il ricorrente soccombente, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 70 l. urb. prov. in relazione agli artt. 1102 e 1120 cod. civ., rientrando l’apertura di una porta d’accesso (d)al cortile comune nella facoltà di ciascun condomino, di trarre dal bene comune una più intesa utilizzazione, e non rimanendovi compromesso il diritto al pari uso del comproprietario, né essendo nel caso di specie recato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso in primo grado.

3. Si costituiva l’originario controinteressato K. F., contestando la fondatezza dell’appello, chiedendone il rigetto e proponendo appello incidentale avverso la statuizione di compensazione delle spese.

Sebbene ritualmente evocata in giudizio, ometteva invece di costituirsi l’appellata Amministrazione comunale.

4. All’odierna pubblica udienza la causa veniva trattenuta in decisione.

5. L’appello principale, sostanzialmente affidato a un unico complesso motivo, è infondato.

Giova premettere, in linea di diritto, che secondo l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, condiviso da questo Collegio, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti tra i condomini (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332; C.d.S., Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654). Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria presentata da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il comune dovrà verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. 11 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – cui nell’ordinamento autonomistico della Provincia di Bolzano, munita di competenza legislativa primaria in materia urbanistica, corrisponde l’art. 70 l. urb. prov., contenente (nella versione all’epoca in vigore) previsione sostanzialmente identica alla citata norma statale -, la legittimazione attiva all’ottenimento del titolo edificatorio "al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo". In applicazione delle sopra citate disposizioni di legge, che prevedono la verifica dell’esistenza, in capo al richiedente, di un titolo attributivo dello ius aedificandi sull’immobile oggetto dell’intervento edilizio, qualora i lavori edilizi siano da eseguirsi su parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognano dunque del previo assenso dei comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria, in sede di rilascio del titolo autorizzativo (v., in tal senso, C.d.S., Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654, cit.).

In linea di fatto, dall’estratto tavolare relativo agli immobili in oggetto emerge che il cortile, su cui dà la porta in oggetto, è in proprietà comune (per metà indivisa) dei fratelli K., mentre i muri maestri sono parti comuni ex art. 1117 cod. civ. (infatti, l’apertura della porta viene realizzata nel muro perimetrale sul lato sudest del fabbricato). Dalla documentazione in atti risulta, poi, che l’originario controinteressato con lettera del 12 marzo 2001, indirizzata all’Amministrazione comunale, si era espressamente opposto alla trasformazione della finestra in porta, lamentando le restrizioni delle facoltà di godimento sul cortile comune. Non da ultimo, va considerato che l’originario controinteressato ha, altresì, eccepito l’alterazione del decoro architettonico conseguente all’intervento sulla facciata sudest dell’edificio.

Orbene, a fronte di tale stato di fatto e alla luce degli enunciati principi normativi e giurisprudenziali, il Comune legittimamente ha chiesto il consenso di entrambi i proprietari ai fini del rilascio della concessione per la realizzazione della trasformazione edilizia interessante i beni comuni, risultando palesi, anche per le ridotte dimensioni del cortile comune e la particolare conformazione dei luoghi risultante dalla documentazione fotografica in atti, la modifica della destinazione dell’area di cortile occorrente all’accesso (d)alla porta e la correlativa diminuzione delle facoltà di godimento del comproprietario controinteressato, e non apparendo trascurabile neppure l’eccepita alterazione del decoro architettonico della facciata interessata dalla nuova apertura.

Si aggiunga al riguardo, che dall’estratto tavolare e dal tipo di frazionamento n. 403/1987 è dato evincere che la p.f. 859/1 – la cui proprietà è congiunta con la proprietà della p.m. 1 (K. J.) -, nella parte confinante col cortile comune, è gravata da servitù di parcheggio in favore della p.m. 2 (K. F.), il cui esercizio, a desumere dalla documentazione fotografica in atti e dal prodotto piano di divisione, verrebbe precluso per effetto dell’espropriazione per p.u. di una fascia dell’area gravata dalla servitù (in funzione dell’allargamento dell’adiacente strada pubblica), con conseguente insorgenza dell’esigenza di un uso del cortile comune anche quale area di parcheggio e/o di sosta, tendenzialmente impedito dall’accesso alla proprietà esclusiva esercitato dal comproprietario attraverso la nuova porta. Detta evoluzione della situazione di fatto, seppur successiva al gravato provvedimento di diniego, avvalora ulteriormente la correttezza dell’operato del Comune nel richiedere il consenso del comproprietario, le cui facoltà di godimento delle parti comuni nel caso concreto appaiono effettivamente incise in modo rilevante dalla nuova opera, in violazione dei limiti posti all’uso delle parti comuni dall’art. 1102 cod. civ.

Né appare pertinente il richiamo, da parte dell’odierno appellante principale (nella memoria del 19 settembre 2011), della decisione 4 maggio 2010, n. 2546, di questo Consiglio (Sezione Quarta), relativa a un caso di edificio condominiale, diviso verticalmente tra i due (com)proprietari, dove l’opera tecnica (ascensore) oggetto della domanda di concessione – implicante la necessità di un taglio del tetto comune per una superficie ridotta di m 1,60 x 1,50 destinata a copertura delle sottostanti parti di proprietà esclusiva del richiedente la concessione edilizia – aveva interessato esclusivamente una porzione del tutto periferica della parte dell’edificio di proprietà esclusiva del richiedente il titolo edilizio, sicché era rimasta esclusa la violazione degli artt. 1102 e 1120 cod. civ. e, conseguentemente, la necessità di acquisire il consenso dell’altro proprietario, per gli effetti di cui all’art. 70 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13.

Conclusivamente, per le esposte ragioni l’appello principale è da respingere.

6. Infondato è, per altro verso, anche l’appello incidentale, col quale l’originario controinteressato impugna la statuizione di compensazione delle spese.

Premesso che al giudizio di primo grado (introdotto con ricorso n. 180 del 2001) era applicabile l’art. 92 cod. proc. civ. nella sua formulazione originaria, che consentiva la compensazione delle spese "per giusti motivi", la peculiarità della fattispecie concreta dedotta in giudizio e i particolari rapporti intercorrenti tra le parti giustificano ampiamente la pronuncia di compensazione adottata dai primi giudici.

7. Considerata la soccombenza reciproca connotante l’esito del presente giudizio d’appello, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del grado interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, proposti in via principale e incidentale, li respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; dichiara le spese del presente grado interamente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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