Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8156 Riparazioni, miglioramenti, addizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.M.L., premesso di avere acquistato con atto del 24 febbraio 1981 da G.M.D. un appezzamento di terreno sito in agro di (OMISSIS), contraddistinto in catasto al foglio 99, part. 36, e che esso era occupato senza titolo da C.N., convenne in giudizio quest’ultimo chiedendo che, riconosciuta la sua proprietà sul fondo, il convenuto fosse condannato al suo rilascio.

C.N. si oppose alla domanda, assumendo di essere proprietario del bene per averlo acquistato, con atto del 28 marzo 1980, da G.M.D. e G.A.; chiese inoltre, in via subordinata, il pagamento di un’indennità per i miglioramenti apportati alla proprietà e, previa autorizzazione a chiamare in causa le proprie danti causa, oltre che la germana G.A.M., che le stesse fossero tenute a garantirlo per l’eventuale evizione.

All’esito dell’istruttoria, dopo che il Pretore adito si era dichiarato incompetente e la causa era stata riassunta dinanzi al Tribunale, il giudice di primo grado dichiarò D.M. proprietario del fondo controverso, condannò il convenuto al rilascio dello stesso e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò l’attore al pagamento della somma di Euro 7.757,36 a titolo di indennità per i miglioramenti.

Interposto gravame principale da parte del D.M. ed incidentale da parte del C., con sentenza n. 208 del 13 luglio 2006 la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Tarante, confermò la decisione impugnata tranne che per il capo relativo alla liquidazione delle spese di giudizio, che riformò nel senso richiesto dall’appellante in via principale. A sostegno della propria decisione, il giudice di secondo grado affermò che l’attore aveva provato il suo titolo di acquisto laddove invece il titolo contrattuale vantato dal convenuto faceva riferimento all’acquisto di un bene diverso, dai momento che, come risultava dal contratto del 28 marzo 1980, l’immobile a lui trasferito dalle germane G. aveva ad oggetto una stalla all’aperto costituita da mangiatoia e tettoia diroccate, indicate con la particella catastale 75, mentre il bene conteso era costituito da un fondo fornito di pozzo artesiano individuato con la diversa particella 36; che, per tale ragione, era altresì infondata la domanda di garanzia svolta dal convenuto nei confronti delle sorelle G.; che, con riferimento alla domanda riconvenzionale da questi avanzata per il pagamento dell’indennità per i miglioramenti, non vi erano ragioni per discostarsi dalla valutazione del consulente tecnico d’ufficio, le cui conclusioni erano state accolte dal giudice di primo grado, dovendo a tal fine, in particolare, ritenersi infondate le obiezioni svolte dall’attore in ordine alla non indennizzabilità del rifacimento del tetto, per l’utilizzo di materiale in fibro cemento, e per la realizzazione di un pozzo artesiano, perchè non autorizzato dal competente Ufficio del Genio civile, rilevando, quanto alla prima opera, che il predetto materiale non era, all’epoca della suo impiego, ancora vietato e, quanto alla seconda, che ne era possibile la regolarizzazione e che doveva presumersi che entrambi i lavori fossero stati realizzati prima dell’instaurazione del giudizio.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13 ottobre 2006, ricorre D.M.L., affidandosi a sei motivi, illustrati da successiva memoria.

C.N. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale sulla base di undici motivi. Le altre parti intimate non si sono costituite.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Va quindi disattesa l’eccezione sollevata dal controricorrente di inammissibilità del ricorso principale per nullità della sua notifica, in quanto affidata ad un ufficiale giudiziario territorialmente incompetente; al di là della valutazione in ordine alla fondatezza nel merito dell’eccezione, appare infatti assorbente la considerazione che il vizio di notificazione denunziato integra un’ipotesi di nullità e non di inesistenza dell’atto, con l’effetto che essa deve ritenersi comunque sanata, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., richiamato dall’art. 160, in materia di nullità della notificazione, per effetto della costituzione in giudizio dell’intimato (Cass. n. 11524 del 1997;

Cass. S.U. n. 3110 del 1987).

Il primo motivo del ricorso principale proposto da D.M., denunziando violazione dell’art. 1150 cod. civ., comma 2 e degli artt. 1343 e 1035 cod. civ., ed insufficiente ed erronea motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto il diritto del convenuto all’indennità per i miglioramenti apportati al fondo, in relazione sia alla tettoia che al pozzo artesiano, reputando irrilevante che la prima fosse stata costruita impiegando materiale in fibrocemento e che la seconda fosse priva di autorizzazione del Genio civile, atteso che il suddetto materiale non era all’epoca vietato, essendo diventato tale solo a partire dalla L. n. 257 del 1992, e che il pozzo era suscettibile di regolarizzazione amministrativa. Tale conclusione, ad avviso del ricorrente, si pone in insanabile contrasto con il principio che in materia di miglioramenti condiziona il diritto all’indennizzo solo alla condizione che i suddetti miglioramenti sussistano al momento della restituzione, tenuto conto che, nel caso di specie, per il materiale impiegato, la tettoia non era utilizzabile ma anzi doveva essere rimossa, e che l’uso del pozzo, mediante estrazione dell’acqua, in quanto abusivo, era vietato, rappresentando anzi una condotta penalmente illecita.

Il mezzo è fondato con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 1150 cod. civ., ed al vizio di motivazione; incomprensibile, invece, appare il richiamo, nella intestazione del motivo, agli artt. 1343 e 1035 cod. civ., che dettano disposizioni del tutto inconferenti rispetto alla fattispecie in esame e la cui indicazione da parte del ricorrente deve ascriversi ad un mero errore materiale.

L’art. 1150 cod. civ., condiziona il diritto all’indennità in capo al possessore del bene tenuto alla sua restituzione al fatto che l’incremento del valore del bene derivante dall’esecuzione di opere sul fondo sussista al momento della restituzione. Questa disposizione trova la propria ragion d’essere nella considerazione che l’indennità ivi prevista a favore del possessore, anche se di mala fede, prescinde dall’esistenza di un rapporto contrattuale esistente fra le parti e si correla al dato obiettivo dell’incremento di valore attuale ed effettivo del patrimonio del proprietario determinato dai miglioramenti che il possessore ha apportato al fondo. Ne consegue che l’incremento deve essere effettivo e duraturo e deve sussistere alla data della restituzione, atteso che solo dal momento della reintegrazione nel godimento del bene il proprietario si trova nella situazione di poterne usufruire e quindi di trarre vantaggio dal miglioramento apportato al bene.

Nel caso di specie, la Corte di appello si è discostata da questo principio, incorrendo altresì nel vizio di motivazione denunziato, avendo proceduto alla valutazione degli incrementi, come emerge chiaramente dalle ragioni esposte nella motivazione, in violazione dei menzionati criteri di effettività ed attualità. La violazione è riscontrabile con riferimento ad entrambe le opere prese in considerazione dal giudicante, costituite da una tettoia e da un pozzo.

Con riguardo alla prima, in quanto il giudicante ne afferma il valore attuale superando il rilievo secondo cui essa è stata costruita impiegando materiale in fibrocemento con la considerazione che esso, all’epoca della sua costruzione, non era vietato, essendo la L. 27 marzo 1992, n. 257, che ne ha proibito l’impiego, successiva. La ragione così fornita è però palesemente insufficiente ed anche inadeguata, in quanto il fatto che il materiale impiegato fosse utilizzabile al momento della esecuzione del manufatto non rappresenta una condizione sicura e sufficiente della sua utilizzazione attuale, in mancanza di un accertamento in concreto sul punto. Deve infatti rilevarsi che la L. n. 257 del 1992, che ha vietato, per ragioni di tutela dell’ambiente e della salute, la commercializzazione e l’utilizzazione per il futuro di materiali costruttivi in fibrocemento, fa obbligo ai proprietari degli immobili di comunicare alle unità sanitarie locali la presenza negli edifici di amianto fioccato o in matrice friabile (art. 12). La conservazione delle strutture preesistenti che impiegano tale materiale è pertanto consentita soltanto alla condizione che esse si trovino in buono stato manutentivo. La circostanza che la normativa non abbia introdotto un obbligo generalizzato di rimozione di tali materiali, non è pertanto un dato sufficiente per ritenerne in ogni caso l’utilizzabilità. Nel caso di specie la circostanza dedotta dall’attore in ordine all’impiego del suddetto materiale avrebbe pertanto richiesto una più attenta valutazione in ordine sia alla utilizzabilità in concreto del manufatto nello stato di fatto esistente, che in relazione alla sua utilizzabilità in futuro, non essendo dubbio che anche tale ultima circostanza avrebbe dovuto essere considerata al fine di valutare sia la sussistenza che il valore dell’incremento.

Analoga conclusione merita la valutazione che il giudice di secondo grado ha ritenuto di formulare con riguardo al pozzo realizzato dal convenuto, superando il dato pacifico rappresentato dalla circostanza che esso era stato costruito senza l’autorizzazione amministrativa del Genio civile, richiesta dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 95, con il rilievo, peraltro non sostenuto da alcuna indicazione di dati concreti, che tale mancanza era suscettibile di regolarizzazione.

Questa conclusione non appare infatti conforme ai caratteri di effettività ed attualità che la legge richiede ai fini della sussistenza dell’incremento suscettibile di indennizzo. Risulta nella specie disatteso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’indennizzo non spetta per le opere abusive, alla cui presenza, in ragione della loro non commerciabilità e comunque precarietà, essendo esse suscettibili di rimozione, non può collegarsi l’effetto di un effettivo incremento del valore del bene (Cass. n. 8834 del 1997).

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., comma 3, e art. 2697 cod. civ. e mancata ed insufficiente motivazione, assumendo che la Corte di appello, facendo proprie senza motivazione le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, ha liquidato in favore del convenuto l’indennità di incremento costituita dal pozzo artesiano senza considerare che nei confronti di tale opera, che era stata eseguita in pendenza della presente causa, il C. non poteva considerarsi possessore di buona fede, con l’effetto che l’indennizzo avrebbe dovuto essere calcolato, come disposto dalla norma codicistica, nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore, operazione quest’ultima che invece il giudice di secondo grado ha completamente omesso, reputando che l’opera fosse precedente, ma senza dar conto del rilievo che la fattura prodotta dal convenuto ad essa relativa era stata rilasciata nel 1994.

Il motivo, per la parte che non in cui non possa considerarsi assorbito dalle considerazioni precedenti, è infondato, investendo un accertamento di fatto che la Corte pugliese ha adeguatamente motivato mediante richiamo alle conformi risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, aggiungendo anche che la fattura del 1994 addotta dalla controparte non costituiva un elemento contrario, essendo essa stata emessa non già per il pagamento dell’esecuzione dell’opera, bensì per la sua stima.

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 1150 cod. civ., u.c., ed insufficiente e contraddittoria motivazione, assumendo che la Corte di appello ha riconosciuto il diritto all’indennità affermando che le opere eseguite avevano determinato un aumento del valore del fondo, pur rilevando, in modo contraddittorio, che il reddito dello stesso non aveva subito incrementi.

Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando che la Corte di appello non abbia esaminato la sua richiesta, avanzata in via di compensazione rispetto alla pretesa avversaria, diretta a calcolare quanto dovuto dalla controparte per mancato reddito dal 1994 fino alla sentenza di primo grado, omettendo la relativa valutazione anche per il periodo successivo, fino all’adozione della sentenza di appello, tenuto conto che tale voce era stata conteggiata dal consulente solo fino alla data della perizia (1994).

Il quinto motivo denunzia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la Corte esaminato il motivo di appello che aveva contestato che la somma liquidata a titolo di indennizzo alla controparte fosse stata maggiorata contemporaneamente della rivalutazione e degli interessi legali.

Il sesto motivo denunzia violazione dell’art. 1224 cod. civ., lamenta che la somma liquidata a titolo di indennizzo alla controparte sia stata maggiorata contemporaneamente della rivalutazione e degli interessi legali.

Questi motivi vanno dichiarati assorbiti in ragione dell’accoglimento del primo motivo, investendo questioni dipendenti da tema in esso affrontato.

Passando all’esame del ricorso incidentale avanzato da C. N., il primo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 116, 61 e 191 cod. proc. civ., ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se sia utilizzabile la relazione del CTU che si basi su una dichiarazione falsa che costituisce punto decisivo e determinante dell’accertamento".

Il secondo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se il Giudice è obbligato a valutare tutte le prove e motivare il mancato utilizzo ai fini del decidere".

Il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366, 1367 e 1371 cod. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se il Giudice deve valutare il contenuto degli atti e documenti motivare il mancato utilizzo ai fini del decidere".

Il quarto motivo del ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 102 cod. proc. civ. ed omessa pronuncia, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Quali conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario".

Il quinto ed il sesto motivo, che denunziano entrambi la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1159 cod. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si concludono con il seguente unico quesito di diritto: "Se l’usucapione ha riferimento al bene effettivamente posseduto ovvero alle erronee risultanze catastali. Se nell’interpretazione dei fatti deve prevalere lo stato di fatto ovvero la forma".

Il settimo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1483 cod. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se per effetto della sentenza il compratore subisce l’evizione del bene acquistato e di cui ha ricevuto il possesso, pur in presenza di errori catastali, ha diritto di essere garantito da evizioni".

L’ottavo motivo del ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., si conclude con il seguente quesito di diritto: "L’adesione alla eccezione di carenza di legittimazione passiva ed alla richiesta di estromissione, l’adesione alla richiesta di compensazione delle spese può essere disattesa dal Giudice".

Il nono motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2739 cod. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se il giuramento decisorio sia ammissibile in ogni grado e stato di giudizio ed in quali limiti".

Il decimo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se possa ritenersi assolto l’onere probatorio mediante perizia, fondata su dichiarazioni mendaci, come si evince dalle prove documentate in atti".

L’undicesimo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 93 cod. proc. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se il Giudice in caso di soccombenza reciproca possa applicare ad una parte soltanto la condanna alle spese di giudizio e non ad entrambe, anche eventualmente mediante compensazione, anche parziale".

Tutti i motivi del ricorso incidentale sono inammissibili. Nel presente giudizio trova applicazione l’art. 366 bis cod. proc. civ., come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il quale impone che la formulazione dei motivi del ricorso per cassazione deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Tale disposizione è applicabile nel caso di specie in quanto la sentenza impugnata è stata depositata in data 13 luglio 2006, risultando a tal fine irrilevante essa sia stata successivamente abrogata dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), entrata in vigore il 4 luglio 2009, tenuto conto, da un lato, che nel processo si applica la legge regolatrice in vigore nel momento in cui l’atto è compiuto e, dall’altro, del disposto della medesima L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da essa si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (Cass. n. 20323 del 2010; Cass. n. 7119 del 2010; Cass. n. 22578 del 2009).

Tanto precisato, i motivi sono inammissibili in quanto i quesiti di diritto al termine di essi, per come formulati, appaiono tutti generici ed astratti e perciò inadeguati ad assolvere la finalità che con la disposizione in argomento la legge ha voluto perseguire, consistente nel favorire la formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, il miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. S.U. n. 19444 del 2009; Cass. n. 20409 del 2008). I quesiti si risolvono tutti in una formula assertiva, sprovvista di qualsiasi indicazione al caso concreto, alla questione affrontata dal giudice ed al principio di diritto da questi applicato e senza alcuna formulazione del diverso principio di diritto che avrebbe dovuto invece essere seguito nel caso di specie. Sul punto, questa Corte ha avuto modo di chiarire che il quesito di diritto che il ricorrente ha l’onere di formulare ai sensi dell’art.366 bis cod. proc. civ., deve necessariamente contenere, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto – rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato – di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l’applicazione al fine di ottenere la pronuncia di cassazione, in modo da circoscrivere l’oggetto di quest’ultima nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito stesso (Cass. n. 24339 del 2008; Cass. n. 2658 del 2008; Cass. n. 17064 del 2008; Cass. S.U. n. 23732 del 2007; Cass. S.U. n. 20360 del 2007; Cass. S.U. n. 36 del 2007; Cass. n. 14682 del 2007). La mancanza di tali requisiti di contenuto dei quesiti formulati determina l’inammissibilità del ricorso incidentale.

In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, respinto il secondo e dichiarati assorbiti gli altri, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce che si atterrà, nel decidere, ai principi di diritto sopra esposti e provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo e dichiarati assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese di giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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