Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-12-2011, n. 6730 Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, sez. II, n. 872/05 in data 1 febbraio 2005 veniva respinto il ricorso proposto dalla società E. s.p.a. avverso la nota in data 11 ottobre 1999, con cui la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Roma aveva negato l’autorizzazione per l’affissione di un bozzetto pubblicitario, in quanto contenente "un messaggio… evidentemente collegato a fatti di esagerato consumismo"; quanto sopra, con riferimento alla progettata installazione di pannelli e schermi pubblicitari su un ponteggio, che avrebbe dovuto essere eretto per lavori di ristrutturazione di Palazzo Venezia, in modo tale da consentire l’affissione della pubblicità di cui trattasi per un periodo di sette mesi (secondo le intenzioni originarie, fra aprile e ottobre 1999). Detta installazione era stata autorizzata dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali il 14 aprile 1999, dietro pagamento della somma di 150 milioni di lire (in effetti versata il 21 maggio 1999), con successiva ulteriore autorizzazione, il 2 giugno 1999, perché la stessa società provvedesse anche all’installazione del ponteggio, su cui avrebbe dovuto essere collocato l’impianto pubblicitario, registrandosi al riguardo un ritardo in rapporto ai lavori di restauro del Palazzo. Il ponteggio installato, tuttavia, veniva successivamente contestato sia dalla Sovrintendenza (poiché di dimensioni superiori a quelle autorizzate), sia dal Comune (poiché realizzato in modo tale da ricoprire solo parzialmente il prospetto della facciata e collocato esclusivamente per ospitare l’impianto pubblicitario); in tale situazione, dopo ulteriori richieste interlocutorie, il 7 ottobre la società interessata decideva di procedere all’affissione per rispettare gli impegni contrattuali assunti, ma in data 11 ottobre interveniva l’impugnato diniego di autorizzazione della Soprintendenza e subito dopo l’ordine di rimozione – eseguito nei primi giorni di novembre – del pannello pubblicitario.

La società interessata contestava quindi, in primo luogo, per eccesso di potere sotto vari profili il conclusivo diniego di autorizzazione, in quanto illogico e contraddittorio e chiedeva il risarcimento dei danni subiti, da commisurare non solo alle spese sostenute, ma anche al danno all’immagine ed alla perdita dei contratti pubblicitari conclusi, per essere stata ritenuta colpevole, con ampia diffusione sulla stampa, di affissione abusiva.

Le ragioni difensive sopra sintetizzate erano respinte in primo grado di giudizio, in quanto non vi sarebbe stata una precisa assunzione di obblighi, da parte dell’Amministrazione, circa i tempi dell’affissione, senza peraltro che la società interessata facesse valere le proprie ragioni con eventuali strumenti sollecitatori, essendo al contrario intervenuti un’utilizzazione indebita dello spazio pubblicitario non assentito ed un sostanziale raggiungimento degli scopi economici della società stessa. La motivazione del diniego di autorizzazione, infine, non sarebbe stata censurabile, ben potendo la Soprintendenza fare ricorso "ad una ragionevole graduazione dell’impatto consumistico di un messaggio promozionale".

Le medesime ragioni erano quindi riproposte con atto di appello (n. 9660/05, notificato il 16 novembre 2005), con successiva interruzione del giudizio, tuttavia, disposta con decisione n. 7198/10 del 29 settembre 2010, per intervenuto fallimento della D. H. s.r.l., che aveva incorporato l’appellante E. H. s.p.a..

Il medesimo appello perviene quindi all’esame del Collegio in via di riassunzione, su richiesta dalla curatela fallimentare con atto notificato il 28 marzo 2011: a tale riguardo, la prima questione sottoposta all’esame del Collegio stesso concerne la disciplina applicabile a tale atto, in quanto il ricorso per riassunzione di cui trattasi risulterebbe tardivo in rapporto alla riconosciuta data di conoscenza dell’interruzione del giudizio (conoscenza che si dichiara intervenuta il 5 ottobre 2010) e al termine perentorio di novanta giorni (scaduto il 4 gennaio 2011), introdotto dall’art. 80 Cod. proc. amm., approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Secondo l’appellante dovrebbe invece applicarsi, nella fattispecie, l’art. 2 dell’Allegato 3 (Norme transitorie) al Codice, in base al quale la disposta ultrattività delle disposizioni previgenti sussisterebbe per l’intero giudizio in esame, in quanto incardinato in data antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina.

Di diverso avviso è l’Amministrazione, che sottolinea come la disposizione transitoria si riferisca ai termini, che fossero "in corso alla data di entrata in vigore del codice", con conseguente inapplicabilità della disposizione al caso di specie, non essendo alla detta data iniziato il decorso del termine perentorio di cui trattasi.

Premesso quanto sopra, il Collegio rileva che – a norma sia del citato art. 80, comma 3, Cod. proc. amm., sia del previgente art. 24, comma 2, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 – la decorrenza dei termini per la prosecuzione di un giudizio interrotto ha come riferimento iniziale la "data di conoscenza legale dell’evento interruttivo", in conformità al principio, secondo cui l’interruzione del giudizio è conseguenza automatica dell’evento, a cui la legge collega tale effetto, con valore puramente dichiarativo della successiva pronuncia del giudice al riguardo (cfr. artt. 299 e seguenti Cod. proc. amm., nonché, per il principio, Cass., III, 20 marzo 2006, n. 6098; II, 21 febbraio 2006, n. 3725).

Nella situazione in esame, alla data di entrata in vigore del Codice del processo amministrativo (16 settembre 2010: art. 2 d.lgs. n. 104 del 2010), non era ancora stata pubblicata la sentenza del Consiglio di Stato, VI, 29 settembre 2010, n. 7198, dichiarativa dell’interruzione.

Inoltre, l’appellante in riassunzione riferisce che la conoscenza dell’evento interruttivo (fallimento della D. H. s.r.l. – società che aveva incorporato la E. H. s.r.l. – dichiarato con sentenza del Tribunale di Roma n. 155 del 15 aprile 2010) era sopravvenuta per la curatela fallimentare solo il 5 ottobre 2010, a seguito di comunicazione del difensore della predetta D. H. s.r.l..

Sia la dichiarata interruzione, sia la conoscenza dell’evento interruttivo da parte del soggetto interessato alla riassunzione del giudizio, dunque, risultano intervenuti in vigenza del Codice del processo amministrativo. Il termine per la riassunzione ha iniziato dunque il proprio decorso, nel caso di specie, quando era già in vigore la norma di cui al citato art. 80, comma 3, che ha ridotto tale termine da sei mesi a novanta giorni.

In deroga al principio generale dell’immediata applicabilità delle sopravvenute norme processuali, in effetti, la disposizione transitoria di cui all’art. 2 (ultrattività della disciplina previgente) dell’Allegato 3 al d.lgs. n. 104 del 2010 dispone che si applicano le norme previgenti "per i termini che sono ancora in corso alla data di entrata in vigore del codice". Ne consegue che la nuova disciplina non sarebbe stata applicabile solo se la conoscenza dell’evento interruttivo (ed il conseguente decorso del termine) fosse stata antecedente al 16 settembre 2010.

È del resto chiaro il riferimento della norma transitoria a singoli termini processuali, non già alla data di originario avvio del giudizio, come sostenuto dall’appellante, come inducono a ritenere sia il contenuto letterale della norma stessa che la relativa ratio. Nel rispetto del principio generale di certezza e in vista della pianificazione individuale dell’esercizio del diritto di difesa, infatti, è ragionevole che le scadenze di termini processuali vadano calcolate con riferimento alla legge vigente al tempo dell’inizio della decorrenza, perché solo in tal caso l’interessato è in condizione di averne responsabile consapevolezza, senza essere esposto ad un’imprevedibile modifica in itinere.

Non altrettanto ragionevole sarebbe stata – a seguire l’interpretazione prospettata dall’appellante – la posticipazione dell’operatività delle nuove norme per i giudizi instaurati prima della data di entrata in vigore del Codice, con illogico doppio binario procedurale, da protrarre per anni ed anche a lunghissima scadenza.

Deve ritenersi invece che le esigenze difensive, connesse alla nuova disciplina processuale, siano state soddisfatte con una lunga vacatio legis (dal 2 luglio al 16 settembre 2010), che di per sè realizza in pratica un temperamento del ricordato principio generale di immediata applicazione delle nuove norme processuali, (fatta salva la disposizione transitoria in esame per il caso, nella fattispecie insussistente, di specifiche scadenze temporali i cui termini fossero in corso alla data di intervenuta efficacia delle nuove norme).

Per le ragioni esposte, il Collegio ritiene che l’appello debba essere dichiarato estinto, non potendo nemmeno ravvisarsi gli estremi dell’errore scusabile – a norma dell’art. 37 Cod. proc. amm. – in assenza di incertezze interpretative (non ravvisabili per i motivi esposti) ovvero di gravi impedimenti di fatto (nella fattispecie non segnalati).

Tali considerazioni in limine precludono di valutare nel merito le prospettate ragioni di illegittimità del diniego di autorizzazione per l’affissione di un cartello pubblicitario, ritenuto indice di "esagerato consumismo", e le relative conseguenze risarcitorie.

Quanto alle spese giudiziali, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto del momento di transizione normativa, in cui si è svolta la vicenda contenziosa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, dichiara estinto il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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