Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8153 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dep. il 25 ottobre 2007 il Tribunale di Palmi, in riforma della decisione di primo grado – appellata da M. A.L., B.M., B.C., B. G., Ba.Gi., R.M. e R. G. rigettava la domanda con la quale P.G., al quale erano subentrati P.P. e P.C., avevano chiesto – nei confronti di B.P., M. B. ved. R., S.C., in proprio e quale procuratrice generale dei figli M., G., C., Fo. e B.F., nonchè Ba.Gi. – l’accertamento e l’ampliamento della servitù di passaggio esercitata a favore delle particelle 189 e 190 del terreno degli attori su alcuni fondi dei predetti convenuti.

Dopo avere rilevato che, con statuizione passata ingiudicato il Pretore, aveva escluso l’ampliamento a favore della particella 190 e limitato quello a favore della particella 189 a metri due, il Giudice di appello osservava, da un canto, che la realizzazione del passaggio con mezzi meccanici avrebbe comportato un danno per l’apparato radicale degli alberi del fondo servente prossimi al passaggio e che, d’altra parte, nessun miglioramento avrebbe ricevuto il fondo dominante posto che il mediocre stato vegetativo degli alberi impiantati dipendeva dal tipo di terreno e non dalle modalità della coltivazione. Quindi, alla stregua delle indagini di consulenza che erano state rinnovate in secondo grado, la sentenza rilevava che esistevano due percorsi alternativi da realizzare su fondi di terzi senza abbattimento di alberi, che consentivano di costituire la servitù realizzando l’accesso più breve per il fondo dominante e il minor danno per il fondo servente, sicuramente inferiore a quello che sarebbe stato arrecato al fondo dei convenuti.

2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione P. P. e P.C. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso R.G..

Motivi della decisione

1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione o falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., comma 3, deduce che nel caso in cui sia già preesistente la servitù di passaggio, la possibilità di costituirne una nuova sul fondo di terzi si configura soltanto nel caso in cui l’ampliamento della servitù sia impossibile o eccessivamente dispendioso: quando tale ampliamento sia possibile – come nella specie – non assume rilievo l’accesso più breve e il minor danno rispetto ad altro fondo.

1.2. – IL motivo va disatteso. l’art. 1051 cod. civ., comma 3 nel prevedere le condizioni necessarie per procedere all’ampliamento della servitù esistente, richiama i presupposti stabiliti dal comma 1, secondo cui il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l’accesso alla pubblica via è più breve e riesce di minor danno al fondo servente, dovendo tenersi conto del vantaggio del fondo dominante e del pregiudizio di quello servente: il che implica una valutazione comparativa delle esigenze dei fondi interessati e legittima il proprietario convenuto ad eccepire la idoneità di altro accesso (in altro sito o in altro fondo), ove questo realizzi la via più breve ed idonea e sia meno dannoso dello ampliamento richiesto ( Cass. 1948/1982; 2367/1988). Ed invero, anche secondo un interpretazione, costituzionalmente orientata (artt. 2 e 3 Cost.), non può condividersi il principio formulato da alcune decisioni della Suprema Corte (Cass. 8192/200;

10702/1994) secondo cui nel caso in cui già esista una servitù su fondo altrui dovrebbe procedersi senz’altro all’ampliamento della stessa a meno che ciò sia impossibile o attuabile solo con dispendio di disagi eccessivi, dovendo in proposito considerarsi che invece potrebbe rivelarsi più vantaggioso aprire un passaggio sul fondo di un terzo ove esso sia rispondente ai requisiti dell’accesso più breve e del minor danno per il fondo servente, previsti dal citato art. 1051, sicchè in tal caso l’ampliamento verrebbe a gravare ingiustificatamente la condizione del fondo sul quale già esiste la servitù.

Nella specie, la sentenza ha correttamente respinto la domanda: a) in primo luogo, escludendo addirittura alcun vantaggio che sarebbe derivato al fondo dominante dalla meccanizzazione del processo produttivo, meccanizzazione che avrebbe reso necessario l’ampliamento del passaggio; b) quindi, evidenziando che sarebbe stato possibile realizzare percorsi alternativi su fondi di terzi senza arrecare quel pregiudizio che invece sarebbe derivato nel caso di ampliamento della strada a carico dei terreni dei convenuti.

2.1. – Il secondo motivo, lamentando omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata che aveva recepito le conclusioni del secondo consulente che, in contrasto con quanto rilevato dal primo consulente, aveva formulato un giudizio negativo sullo stato vegetativo del terreno senza compiere alcuna indagine sulle capacità morfologiche ed organolettiche del terreno e ciò in contrasto con le valutazioni di segno diametralmente opposte circa l’ottimo stato vegetativo produttivo di piante di ugual specie posto a pochi metri di distanza sul fondo servente limitrofo a quello dominante. Il primo consulente aveva invece accertato che l’utilizzazione dei mezzi meccanici costituiva una necessità per i fondi atto, rispondendo a un efficiente e conveniente uso aziendale dei relativi cespiti.

2.2. -Il motivo va disatteso.

Le doglianze si risolvono nella critica: a) da un canto, della valutazione compiuta dai Giudici che, nel verificare le condizioni del terreno dell’attore, avevano escluso le possibilità di miglioramento legato alla meccanizzazione dell’attività di coltivazione, aderendo alle conclusioni del secondo consulente e non considerando quelle del primo; b) dall’altro, della indagine effettuata dal secondo ausiliare. In sostanza, il motivo censura l’apprezzamento delle risultanze processuali circa lo stato del terreno e la rilevanza della meccanizzazione del processo produttivo, che evidentemente concernono valutazioni di fatto riservate al giudice di merito e che sono insindacabili in sede di legittimità se non per vizi di motivazione da cui la sentenza impugnata appare immune, dovendo qui ricordarsi che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che va verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

D’altra parte, in relazione al vizio di motivazione per omesso o erroneo esame di un documento, di una prova o della consulenza tecnica d’ufficio o di parte, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento o la prova nella sua integrità ovvero i passi salienti della consulenza tecnica in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006;

10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove essi fossero stati presi in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa.

Nella specie tali oneri non risultano ottemperati dai ricorrenti, i quali, come si è già accennato, sollecitano da parte della Corte un riesame nel merito degli accertamenti compiuti dai consulenti, riesame che è sottratto al sindacato del giudice di legittimità. Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti, e a favore del resistente costituito. Nessuna statuizione in ordine al regolamento delle spese va adottata nei confronti degli altri intimati, non avendo questi ultimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente costituito delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *