Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-12-2011, n. 6725 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

F. A. impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania 22 novembre 2010, n. 25589 che ha respinto il ricorso avverso l’annullamento soprintendentizio dell’autorizzazione paesaggistica n. 473 del 8 ottobre 2009) rilasciato dal dirigente del Comune di Napoli per la realizzazione di una piscina prefabbricata fuoriterra nel giardino di un’abitazione sita in Napoli, via Marechiaro, 10 (Posillipo).

L’appellante torna a reiterare le censure di primo grado, assumendo l’erroneità della sentenza. Lamenta in particolare la violazione dell’art. 10bis l. 7 agosto 1990, n. 241 e deduce l’illegittimità costituzionale del meccanismo di comunicazione procedimentale previsto dall’art. 159 d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42, difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento negativo impugnato in primo grado, eccesso di potere per presupposto erroneo e travisamento dei fatti, violazione del d..lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per avere la Soprintendenza illegittimamente sovrapposto il proprio giudizio valutativo a quello del Comune cui spetta in via esclusiva la gestione del vincolo paesaggistico; infine lamenta la violazione del principio di proporzionalità e dei criteri stabiliti dal protocollo di intesa tra Soprintendenza e Regione Campania in ordine al rilievo dell’elemento dimensionale dell’intervento in rapporto ai tipi edilizi della zona. Egli conclude per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado, con il consequenziale annullamento degli atti gravati, in riforma della impugnata sentenza.

Si sono costituite le intimate Amministrazioni per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

All’udienza del 29 novembre 2011 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

L’appello è infondato e va respinto.

Devono essere preliminarmente affrontate le questioni, riproposte con specifica censura d’appello, sulla pretesa violazione degli istituti di partecipazione procedimentale nell’ambito del subprocedimento conclusosi con l’annullamento soprintendentizio dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Napoli.

La questione è stata prospettata sia in relazione all’art. 7 l. 7 agosto1990, n. 241, sia con riferimento all’art. 10bis della stessa legge relativo al cosiddetto "preavviso di rigetto".

La censura va disattesa sotto entrambi i dedotti profili.

Anzitutto, con riferimento alla ipotizzata violazione dell’art. 7, va osservato che, nel sistema successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente organo statale non richiede la previa comunicazione ex art. 7 l n. 241 del 1990. Stabilisce infatti l’art. 159, comma 2, del medesimo Codice (dopo l’art. 26 d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, l’art. 2, comma 1, lett. hh) d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 e l’art. 4quinquies d.l. 3 giugno 2008, n. 97, aggiunto dalla legge di conversione 2 agosto 2008, n. 129) che fino all’approvazione del piano paesistico la comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazione rilasciate "è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi ed agli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241". È questo il regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009 (nel cui ambito è ricompreso quello oggetto di giudizio) e dunque non si pone questione di lesione delle garanzie partecipative, soddisfatte mediante questa speciale modalità (cfr. Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2009, n. 771; 27 agosto 2010, n. 5980).

Nel caso in esame la comunicazione all’interessato risulta essere stata effettuata dall’ente delegato al rilascio dell’atto di base, di guisa che lo scopo partecipativo è correttamente e comunque raggiunto

.Quanto al preavviso di rigetto dell’art. 10bis della stessa l. 7 agosto 1990 n. 241, questa Sezione si è più volte pronunciata sul tema (es. Cons. Stato, VI, 10 dicembre 2010 n. 8704, 21 settembre 2011, n. 5293), affermando che il procedimento di cogestione del vincolo da parte della soprintendenza è connotato da particolare celerità e che l’adempimento procedimentale di cui all’art. 10bis cit. è in contraddizione con la logica di tale subprocedimento, dai tempi stretti e perentori: il termine già breve dato alla soprintendenza verrebbe ulteriormente ridotto, vanificandone la celerità in danno dello stesso interessato (dato che la comunicazione interrompe il termine per la conclusione del procedimento); che la legge prevede il preavviso solo "nei procedimenti ad istanza di parte" e non trova applicazione per questa sequenza di secondo grado che è avviata d’ufficio e che, pur configurando un secondo tratto di un’unica vicenda amministrativa di cogestione del vincolo, segue la cesura procedimentale del già avvenuto rilascio del provvedimento di base che conclude la fase ad istanza di parte (mentre la fase soprintendentizia concreta una sequenza officiosa, avviata con la trasmissione degli atti da parte del Comune); che, data la struttura e l’ambito di vaglio dell’amministrazione statale, il preavviso non potrebbe consistere in un’autonoma comunicazione dei "motivi che ostano all’accoglimento della domanda", ma diverrebbe senz’altro la comunicazione delle motivazioni in diritto per le quali l’autorità statale stima che quella locale abbia agito illegittimamente: senza avere un’utilità particolare, si tratterebbe solo di un’inutile e anzi dannosa duplicazione di atti che coinciderebbe con i contenuti dell’annullamento stesso, che anticiperebbe improduttivamente e solo ne rallenterebbe gli effetti, ostacolando la funzione di estrema difesa del vincolo.

Quanto alla prospettata questione di illegittimità costituzionale del meccanismo partecipativo dell’art. 159, comma 2, pur essendo incontestabile che esibisce elementi significativi di diversità rispetto al paradigma ordinario degli art. 7 e ss. l. 7 agosto 1990 n. 241, dato che affida l’adempimento dell’onere ad un’amministrazione diversa – l’ente che rilascia il nullaosta – rispetto a quella che dovrà adottare l’eventuale annullamento, e non impone che la comunicazione abbia i contenuti propri di cui all’art. 8, il Collegio ritiene la questione sia manifestamente infondata. Infatti lo scopo informativo e con esso l’utilità partecipativa sono comunque pienamente raggiunti e l’interessato è messo in condizione di produrre ulteriore documentazione, così come è edotto circa la possibile adozione di un atto di annullamento se quella verifica di compatibilità si conclude negativamente.

In tale quadro, caratterizzato da sufficienti garanzie di partecipazione procedimentale, non si ravvisano i presupposti di non manifesta infondatezza per profilare una questione di legittimità della norma di legge in relazione ai parametri costituzionali invocati (artt. 3 e 97 della Costituzione), a salvaguardia della cui adeguatezza e congruenza anzi è funzionale la stessa snellezza dei meccanismi partecipativi.

È dunque appena il caso di rilevare che, ai sensi dell’art. 21octies, secondo comma, l. n. 241 del 1990, i vizi eventuali afferenti la comunicazione di avvio del procedimento non possono ridondare in vizi di illegittimità del provvedimento conclusivo, quando l’Amministrazione provi in giudizio (come appunto, per quel che si dirà, avviene qui) che quel contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Venendo all’esame delle restanti censure, va osservato anzitutto che l’autorità statale, nell’esercitare la sua competenza di cogestione del vincolo ai sensi dell’art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, non ha superato i termini di un vaglio di legittimità dell’atto di base: essa si è infatti limitata ad osservare, con la motivazione del qui gravato annullamento come l’autorizzazione paesaggistica abbia omesso la valutazione di compatibilità tra l’intervento proposto (piscina fuori terra) e le particolari prescrizioni imposte nell’area interessata (espressamente qualificata Zona a protezione integrale) dal Piano territoriale paesistico di Posillipo (redatto ai sensi dell’art. 1bis l. 8 agosto 1985, n. 431), avuto riguardo agli specifici intereventi ammissibili, ai divieti e alle limitazioni (cfr. in particolare art. 11, commi 3 e 4, delle Norme tecniche di attuazione). L’Autorità soprintendentizia in concreto ha esercitato null’altro che il potere di verifica che la legge le affida, consistente nel vaglio della correttezza della valutazione di compatibilità dell’intervento programmato con i valori paesaggistici tutelati dalla normativa di settore e le prescrizioni di pianificazione paesaggistica insistenti sull’area. Quanto ai contenuti di tale vaglio ed alle modalità a mezzo delle quali lo stesso è stato esercitato, ritiene il Collegio che l’Autorità non sia incorsa nei dedotti vizi del difetto di istruttoria e di motivazione, vizi che al contrario sembrano predicabili a carico dell’annullato atto comunale.

In particolare, non risulta che non sia stata presa in esame, dalla Autorità preposta all’estrema difesa del vincolo paesaggistico, la particolare natura dei luoghi (che allo stato attuale si presenterebbero come degradati) ovvero la particolare tipologia dell’intervento da realizzare (assumendosi dall’appellante che la piscina, di modeste dimensioni in rapporto all’area asservita e comunque sovrapposta al terreno, avrebbe un modesto impatto sul territorio). Al contrario pare evidente che la Soprintendenza ha correttamente ritenuto tali elementi recessivi a fronte del rilevato contrasto tra l’intervento programmato e la richiamata disciplina di Piano che, per le Zone a protezione integrale quale quella in oggetto (riguardante l’area reputata dal Piano più rilevante della collina napoletana di Posillipo), è effettivamente particolarmente conservativa

Ci si trova, infatti, di fronte ad un corpo di previsioni (art. 11 del citato Piano territoriale paesistico) che, in relazione alle peculiari caratteristiche dei luoghi di cui è stato già accertato a suo tempo (con l’apposizione del vincolo) il notevole pregio paesistico, definiscono, mediante prescrizioni d’uso ex ante e per tipologie generali, alcune limitazioni intrinseche delle facoltà proprietarie di trasformazione: di queste prescrizioni, qui rileva che il manufatto in questione non rientra tra gli interventi qualificati come "ammissibili" (essenzialmente, interventi manutentivi, specie del verde) e che testualmente "è vietato qualsiasi intervento che comporti aumento dei volumi preesistenti". Si tratta del resto, com’è in genere per le precisioni d’uso stabilite dai piani paesaggistici, di valutazioni in negativo che assorbono il giudizio tecnico discrezionale che altrimenti presiede alla singola autorizzazione paesaggistica, individuando alcuni interventi che, per la loro inconciliabilità con il contesto, sono reputati senz’altro di incompatibilità assoluta con i valori salvaguardati dal vincolo: per questi il giudizio di incompatibilità è effettuato in via generale una volta per tutte e non può esser rilasciata autorizzazione (Cons. Stato, II, 20 maggio 1998, n. 548/98), all’autorizzazione spettando solo di apprezzare la compatibilità concreta degli interventi ivi qualificati come ammissibili (cfr. Cons. Stato, VI, 22 agosto 2003, n. 4766; 3 marzo 2011, n. 1366).

In tale prospettiva di contenimento degli interventi ammessi, la costruzione di questa piscina (per di più fuori terra, e certo non precaria vista la sua funzione non delimitata nel tempo), in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto e dell’uso del territorio, non si configura – come ha correttamente ritenuto la Soprintendenza con valutazione immune da vizi logici – come rientrante fra gli interventi consentiti dal richiamato art. 11 del PTP.

Dall’esame del quadro circa gli interventi ammessi in detta Zona a protezione integrale si ricava che il gravato provvedimento non è incongruo rispetto agli scopi perseguiti, risultando anzi funzionale alla tutela ed alla salvaguardia dei valori paesaggistici dell’area per come stabilita già dalla sua specifica disciplina di Piano paesistico, di quest’ultimo risultano direttamente applicativo.

Non è dato infine invocare, a supporto dell’assunto dell’appellante, il protocollo di intesa tra la Regione Campania e la Soprintendenza ai beni ambientali ed architettonici di Napoli e provincia in ordine ai criteri da seguire nel rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche: detto protocollo non è ad effetti vincolanti (non potendo innovare e disporre della disciplina di legge e di Piano paesistico), e comunque non appare esservi contrasto con le valutazioni che presiedono all’atto oggetto del presente giudizio.

In definitiva, l’appello va respinto e va confermata l’impugnata sentenza.

Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 2750/2011), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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