Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8149 Mancanza di qualità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 21/9/1999 P.C. e S.M. convenivano in giudizio D.P.L. e chiedevano la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita di un terreno agricolo con due pozzi e un fabbricato per inadempimento del promissario acquirente che si era rifiutato di stipulare il definitivo pur essendo già stato immesso nel possesso sin dal 7/11/1998, data di stipula del preliminare; chiedevano inoltre dichiararsi il loro diritto a trattenere la caparra confirmatoria di L. 15.000.000. Il convenuto contestava la domanda e chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento delle promittenti venditrici in quanto il fondo, coltivato ad agrumeto non era dotato di acqua sufficiente per la sua irrigazione.

Espletate le prove, disposta e acquisita CTU che concludeva per la sufficienza delle risorse idriche dei pozzi, il Tribunale di Siracusa, con sentenza del 6/4/2004, accoglieva le domande attrici e condannava D.P. al rilascio del fondo e al pagamento delle spese.

D.P. proponeva appello al quale resistevano le attrici.

La Corte di Appello di Catania con sentenza del 20/10/2009 rigettava tutti i motivi di appello, confermava integralmente la sentenza appellata e dichiarava estranea al giudizio tale S.V., nei cui confronti era stato riassunto il giudizio dal D.P.d. il decesso di P.C. che era una delle due originarie attrici.

La Corte di Appello ha ritenuto l’appello totalmente infondato e, nei limiti di quanto qui ancora interessa tenuto conto dei motivi di ricorso ha rilevato:

– che il primo motivo, con il quale si censurava la mancata pronuncia sulla domanda riconvenzionale di risoluzione del preliminare per decorso del termine essenziale, era inammissibile perchè la domanda non era mai stata proposta in primo grado (essendo stata invece proposta domanda riconvenzionale di inadempimento delle promittenti venditrici) e la domanda proposta in appello era quindi inammissibile e comunque era infondata perchè lo spirare del termine non escludeva l’accertato inadempimento, esplicitato per iscritto e perchè il termine non era qualificato come essenziale;

– che il secondo motivo, con il quale si insisteva nell’affermare che il bene era mancante delle qualità promesse, era infondato perchè il CTU aveva del tutto escluso che il fondo avesse una dotazione di acqua insufficiente per la coltivazione degli agrumi;

– che il terzo motivo, con il quale si censurava la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, era infondato perchè il teste aveva confermato che il fondo aveva una adeguata dotazione idrica e nulla aveva riferito sull’impianto di irrigazione;

– che era infondato anche il quarto motivo, relativo alìinterpretazione del contratto e alla debenza di una duplice caparra e alla sua entità, perchè la caparra non era duplice, ma unica, pagabile in due rate, perchè nessuna domanda di riduzione era stata avanzata in primo grado, perchè l’entità della caparra si giustificava per il fatto che il promissario acquirente era stato immesso nel possesso del bene fin dalla stipula del preliminare;

che era inammissibile il quinto motivo in cui si censurava 1’interpretazione del contratto, secondo la quale 1′ impianto di irrigazione non sarebbe pertinenziale rispetto al fondo agricolo oggetto del preliminare, perchè introduceva un tema nuovo, non dedotto in primo grado e perchè, comunque, nessuna qualità relativa all’impianto di irrigazione era stata promessa nel preliminare;

– che era infondato il sesto motivo, con il quale si censuravano pretesi errori della CTU perchè era condivisibile la motivazione del giudice di primo grado che aveva escluso la necessità di rinnovare la CTU e le censure si limitavano a contrapporre alla CTU le risultanze della CT di parte.

D.P.L. propone ricorso affidato a tre motivi.

S.M. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 1457 c.c. perchè la Corte di Appello non ha riconosciuto l’essenzialità del termine e, di conseguenza, che il contratto era risolto alla data del 30/6/2009, pattuita per la stipula del contratto definitivo;

formula il quesito di diritto diretto a stabilire se, previsto un termine essenziale, tale termine debba essere applicato automaticamente senza onere per le parti di dimostrarne l’essenzialità e se, decorso il termine, solo la parte nel cui interesse è posto deve comunicare la volontà di esigere la prestazione.

Il quesito non doveva essere formulato perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (che aveva previsto la formulazione del quesito di diritto) con la L. n. 69 del 2009. 1.1 Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che l’inutile scadenza del termine essenziale non può essere rilevata d’ufficio, trattandosi di materia non sottratta alla disponibilità delle parti e premesso che il ricorrente in primo grado aveva chiesto in riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento delle promittenti venditrici. in relazione alla mancanza, nel fondo, di acqua sufficiente all’irrigazione.

Ciò premesso, il motivo di ricorso risulta inammissibile perchè non attinge le rationes decidendi per le quali:

– la domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale non era mai stata proposta in primo grado e pertanto la domanda di risoluzione fondata sulla scadenza del termine essenziale, proposta solo in appello, era inammissibile;

– in ogni caso, lo spirare del termine non escludeva l’accertato inadempimento e la correlativa responsabilità del soggetto che si era rifiutato di adempiere.

Occorre aggiungere, per completezza di motivazione, che la valutazione della Corte di Appello di non essenzialità del termine non costituisce violazione di legge, ma interpretazione di una clausola negoziale e il motivo, in quanto non censura alcuna violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, nè un vizio di motivazione, è inammissibile anche sotto tale ulteriore profilo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 1497 c.c. perchè la Corte di Appello non ha riconosciuto che il bene era mancante delle qualità essenziali per la sua naturale destinazione e formula il quesito diretto a stabilire se l’accertata mancanza di acqua e di un impianto atto per irrigare il fondo rende il bene oggetto della vendita, costituito da pozzi e da un fondo agricolo, mancante delle qualità essenziali ai sensi dell’art. 1497 c.c.; il quesito non doveva essere formulato perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (che aveva previsto la formulazione del quesito di diritto) con la L. n. 69 del 2009. 2.1 il motivo è sviluppato attraverso una critica, di merito, sulla consulenza tecnica di ufficio, priva di autosufficienza in quanto si riportano stralci, liberamente estrapolati, della CTU. In ogni caso, attraverso la critica di merito sulla consulenza e attraverso l’estrapolazione di alcuni isolati argomenti, si veicola una censura di violazione di legge del tutto infondata, con riferimento all’applicazione dell’art. 1497 c.c. da parte del giudice del primo grado e poi da parte della Corte di Appello Infatti, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che nel primo grado il D.P. non aveva sollevato alcuna doglianza sulla eventuale inadeguatezza dell’impianto di irrigazione e che nessuna promessa in ordine all’adeguatezza dell’impianto era desumibile dal contratto;

quanto alla sufficienza dell’acqua dei pozzi per le esigenze dell’agrumeto, la Corte di appello si è espressa con motivazione sufficiente (v. il riferimento alla CTU e alla prova testimoniale);

tale motivazione, comunque, non ha formato oggetto di specifico motivo di ricorso; ne discende che la censura di violazione di legge fondata sull’assunto per il quale il fondo era mancante delle qualità essenziali è inammissibile perchè muove da un presupposto motivatamente escluso dalla Corte di Appello.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce contraddittorietà della motivazione perchè la Corte di Appello, accolta la domanda di risoluzione del contratto, ha affermato il diritto della parte istante a trattenere la caparra confirmatoria senza che fosse stata richiesta e fornita prova di un danno da inadempimento e senza che fosse esercitato il recesso che avrebbe consentito la ritenzione della caparra e formula il quesito diretto a stabilire se, risolto il contratto, la caparra debba essere restituita o se debba essere trattenuta anche se la parte istante non ha fornito la prova di avere subito un danno almeno pari all’ammontare della caparra medesima; il quesito non doveva essere formulato perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (che aveva previsto la formulazione del quesito di diritto) con la L. n. 69 del 2009. 3.1 Il motivo è inammissibile in quanto introduce una questione nuova, mai trattata nei giudizi di merito; infatti non risulta (e per il principio di autosufficienza del ricorso il ricorrente avrebbe dovuto riportare i contenuti delle deduzioni difensive eventualmente relative alla mancata prova del danno) che nei giudizi di merito sia mai stata contestata la non debenza della caparra sotto il profilo della mancata prova del danno, nè che sia mai stato dedotto che la caparra non poteva essere trattenuta essendo stata esercitata la risoluzione (censura che, comunque, avrebbe dovuto dedursi sub specie della violazione di legge e non come vizio di motivazione): la contestazione ha avuto ad oggetto (almeno a quanto risulta dalle premesse in fatto del ricorso) solo il fatto che di due acconti, solo uno avrebbe potuto qualificarsi caparra.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; non si provvede in merito alle spese di questo giudizio di cassazione in quanto l’intimata non si è costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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