Cassazione civile anno 2005 n. 1345 Provvedimenti impugnabili per Cassazione Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali

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Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
1 Di X X X, con ricorso in data 22 ottobre 2001, chiedeva al Tribunale di Latina pronuncia di ammissibilità dell’azione giudiziale di paternità naturale nei confronti di X X X, X X e X X, quali eredi di X X, asserendo di essere nato da una relazione della propria madre Di X X con X X, instaurato il contraddittorio, le convenute si opponevano alla domanda, negandone il fondamento e chiedendone il rigetto, il Tribunale, con decreto in data 12 febbraio 2002, dichiarava l’azione ammissibile. X X X, X X, e X X proponevano reclamo avverso tale decreto, ma la Corte di appello di Roma, con decreto in data 31 ottobre 2002, lo rigettava. Avverso tale ultimo decreto X X X, X X e X X hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Di X il 7 maggio 2003, formulando due motivi. La parte intimata resiste con controricorso notificato il 14 giugno 2003.

Motivi della decisione
1 Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 274 cod. civ., per non essere stato prestato, nel grado di appello, in sede di discussione, il parere richiesto da tale norma da parte del Procuratore generalo presso la Corte di appello di Roma.
Con il secondo motivo si denunciano la violazione dell’art. 274 cod. civ. e vizi motivazionali, per non avere la Corte di appello tenuto conto delle dichiarazioni delle persone indicate dalle parti convenute, dalle quali emergeva che esse non avevano mai saputo della relazione fra X X e la Di X, nonchè per essere nello stesso decreto della Corte di appello affermato che gli elementi probatori acquisiti non erano sufficienti a provare 11 fondamento della domanda.
2 Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo va considerato che costituisce ius receptum il principio secondo il quale, nei procedimenti aventi natura contenziosa, quale è anche quello ex art. 374 cod. civ., non essendo ad essi applicabile la disposizione dell’art. 738, comma 2, c.p.c. (Cass. 20 dicembre 1994, n. 10951), per l’osservanza delle norme che prevedono l’intervento obbligatorio del p.m. nel processo civile, è sufficiente che gli atti siano comunicati all’ufficio del p.m., per consentirgli d’intervenire nel giudizio, ma le modalità della sua concreta partecipazione rimessa alla sua diligenza, senza che tali modalità e l’uso fatto del suo potere rilevino e possano formare oggetto di censura sotto il profilo di nullità processuale ( Cass. 19 gennaio 2000, n. 571; 10 ottobre 1999, n. 12456; 4 giugno 1996, n. 5119).
Nel caso di specie nel decreto impugnato si da atto dell’intervento nel giudizio di appello del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma (che dall’esame degli atti risulta avere chiesto in data 13 giugno 2002 la conferma della sentenza di primo grado) e le ricorrenti non formulano alcuna contestazione sul punto, limitandosi a contestare la mancanza di un suo ulteriore intervento e di sue conclusioni in sede di discussione. Circostanza questa che, sulla base del consolidato principio su menzionato è del tutto irrilevante, con la conseguente infondatezza del motivo.
Quanto al secondo motivo esso deve essere dichiarato inammissibile.
In proposito va osservato che il decreto con il quale la Corte di appello provvede in sede di reclamo, ai sensi dell’art. 274, comma 2, cod. civ., nel giudizio promosso ai fini dell’ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, dichiarando ammissibile l’azione, ha natura decisoria e definitiva, ed è impugnabile per Cassazione ex art. 111 Cost., con i limiti, quindi, previsti per tale tipo di ricorso, proponibile solo per violazione di legge (da ultimo Cass. 17 settembre 2003, n. 13657).
Conseguentemente detto provvedimento può essere censurato, in relazione alla motivazione, solo sotto il profilo della sua radicale mancanza o della mera apparenza, e non anche sotto il profilo della sua insufficienza o inadeguatezza (da ultimo Cass. 16 febbraio 2001, n. 2287; 30 maggio 2001, n. 7342; 5 ottobre 2000, n. 13272/10 maggio 1999, n. 4641; 8 novembre 1997, n. 11027).
Va altresì considerato che il giudizio di ammissibilità non costituisce anticipazione del giudizio di merito, ma ha ad oggetto, quando non riguardi minori di anni sedici, la sola delibazione della non manifesta infondatezza dalla demanda (Cass. 20 settembre 2002, n. 13767), essendo in tal caso la funziona del procedimento di ammissibilità dell’azione previsto dall’art. 274 unicamente quella di evitare l’esperimento di azioni palesemente infondate e vessatorie, attraverso l’accertamento della esistenza di un fumus boni juris circa il preteso rapporto di filiazione (Cass. 30 maggio 2001, n. 7342; 12 maggio 1999, n. 4712; 8 novembre che 1997, n. 11027 cit.; 27 gennaio 1997, n. 802; 27 febbraio 1996, n. 1517).
A tal fine la pronunzia autorizzativi non postula l’acquisizione di elementi forniti di un’elevata valenza probatoria, tali da fare ritenere altamente probabile il rapporto di paternità, ma richiede soltanto l’acquisizione di elementi che, sulla base di un’indagine di tipo delibativo, valgano ad avvalorare la non manifesta infondatezza dell’azione.
Nel caso di specie il decreto della Corte di appello, in conformità di tali principi, ha motivato l’esistenza del fumus boni juris facendo riferimento alle dichiarazioni della madre dell’attore ed a numerosi altri elementi indiziari tratti dalle informazioni assunte e dalla documentazione prodotta.
Con la censura formulata non si contesta l’esistenza nel decreto di una motivazione, ma si compie una critica della valutazione della prova e si allegano vizi motivazionali, cosicchè essa ai risolve in allegazioni inammissibili, per quanto sopra detto, in questa sede, con conseguente inammissibilità del motivo.
Ne deriva che il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In proposito va rilevato che il convenuto Di X è stato ammesso, durante il corso del giudizio di Cassazione, al patrocinio a spese dello Stato ed il difensore avv. Pasquale Lattari, successivamente nominato dal Di X in sostituzione del precedente, si e costituito all’udienza di discussione.
A norma dell’art. 133 del d.lgs. n. 113 del 2002, in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato la condanna alle spese della parte soccombente va fatta in favore dello Stato. Peraltro, essendo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato intervenuta quando il controricorso era stato già redatto e depositato da un difensore diverso da quello a spese dello Stato, questo collegio reputa che le spese vanno liquidate per metà in favore del Di X, che dovrà pagare il difensore che ha redatto il controricorso, e per metà in favore dello Stato. Esse vanno liquidate nell’intero nella misura di euro cinquemila per onorari, euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.
Non può essere effettuata in questa sede la liquidazione degli onorari dell’avv. Lattari, da porsi a carico dello Stato, essendo tale liquidazione, nel caso di rigetto del ricorso, di competenza del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato (Cass. 9 dicembre 2004, n. 23000).

P. Q. M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida nella misura di euro cinquemila per onorari, euro duecento per spese vive, oltre le spese generali e accessori come per legge, per metà in favore del Di X e per metà in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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