Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8146 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con contratto del 14.6.1995 F.W. vendeva ad M. O. due ville da edificare nell’ambito della lottizzazione edilizia (OMISSIS), secondo una data, convenuta progettazione. Successivamente il venditore, non in proprio, ma nella qualità di amministratore della Fin.Ind Finanziaria Industriale s.r.l., stipulava con la MA.RI.KA. Costruzioni Generali s.r.l. un contratto d’appalto per la costruzione (fra l’altro, anche) delle due ville cedute ad M.O., mentre di lì a poco R.M. e M.G. acquistarono da terzi il terreno su cui dovevano sorgere i due immobili anzi detti. In esito alla costruzione, sorte contestazioni per difformità varie – quali la maggior ampiezza, rispetto al progettato, del piano interrato, nonchè differenze di quota rispetto alla strada di lottizzazione – e per il pagamento di opere extracapitolato, la MA.RI.KA. s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Verona O., R.M. e M.G. per il pagamento delle opere extracapitolato e la Fin.Ind per il saldo prezzo dell’appalto. I M., a loro volta, chiamati in causa F.W. e il direttore dei lavori, B. R., domandavano in via riconvenzionale la condanna di questi ultimi e della società attrice al risarcimento dei danni per le ridette difformità.

Il Tribunale di Verona, sulla base della consulenza tecnica espletata accoglieva parzialmente la domanda proposta della MA.RI.KA. nei confronti della Fin.Ind s.r.l. e di M.O., R.M. e G., che condannava al pagamento della somma di Euro 9.816,01, e condannava F.W. a pagare a questi ultimi il risarcimento dei danni per le riscontrate difformità, che liquidava in Euro 111.038,23. Rigettava, invece, la domanda proposta dai M. contro il B..

Gravata sia dalla MA.RI.KA, sia dai M., tale sentenza era in parte riformata dalla Corte d’appello di Venezia, la quale, dichiarata cessata la materia del contendere fra la soc. MA.RI.KA e la Fin.Ind s.r.l. per intervenuta transazione, rideterminava in Euro 27.788,67 il credito della società MA.RI.KA. nei confronti di O., R.M. e M.G., e riquantificava in Euro 138.923,25 il credito di questi ultimi verso F.W..

La Corte territoriale osservava – per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità – che l’affermazione del Tribunale secondo cui non vi era rapporto contrattuale fra i M. e la MA.RI.KA, essendo intervenuto il contratto d’appalto fra quest’ultima e la Fin.Ind, e che non vi era prova di un’eventuale responsabilità extracontrattuale dell’appaltatrice per le difformità riscontrate, escludeva la detrazione di L. 34.993.552 dal credito complessivo della MA.RI.KA nei confronti dei M..

Esaminando l’impugnazione di questi ultimi, quanto alla posizione della MA.RI.KA e di B.R. rispetto all’azione proposta nei loro confronti dai M., la Corte lagunare osservava che tanto la prima, quanto il secondo non avevano alcun legame contrattuale con gli acquirenti.

Infine, la responsabilità del F. non escludeva quella dei M., i quali fin dall’inizio dell’attività costruttiva erano a conoscenza delle difformità tra il realizzato e il progettato, per cui doveva ritenersi che essi avessero prestato il loro consenso consapevole all’esecuzione dei lavori in difformità dalla concessione edilizia.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono O., R.M. e M.G., formulando tre mezzi d’annullamento.

Resistono con un unico controricorso la MA.RI.KA Costruzioni Generali s.r.l., B.R. e F.W..

La Fin.Ind Finanziaria Industriale s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo d’impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1472, 1490, 1494 e 2055 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si sostiene che, formatosi il giudicato interno sul fatto che il rapporto di vendita è intercorso tra i consorti M. e il F., trattandosi di vendita di cosa futura avrebbe dovuto applicarsi l’art. 1494 c.c., e nel liquidare il danno subito dagli acquirenti la Corte territoriale non avrebbe dovuto defalcare alcuna somma per la ritenuta corresponsabilità dei M., in quanto l’eccezione di cui all’art. 1227 cpv. c.c. non è rilevabile d’ufficio, ed il F. non aveva sollevato alcuna eccezione in merito. Ciò è dipeso dal fatto che la Corte lagunare, e prima di essa il Tribunale, trattando la domanda nei confronti del F. unitamente a quella proposta nei confronti della società MA.RI.KA e del direttore dei lavori, ha semplicemente fatto propri i calcoli del c.t.u., senza avvedersi che nel fare ciò ha trattato il rapporto giuridico tra il F. e i M. in termini di responsabilità extracontrattuale "condannando tutti in solido ex art. 2055 c.c. svolgendo addirittura il giudizio interno circa la quantificazione dei contributi causali di ciascuno alla produzione del danno finale" (così, a pag. 24 del ricorso).

2. – Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la contraddittorietà della motivazione in ordine alla corresponsabilità del direttore dei lavori, B. R., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene parte ricorrente che ancorchè non espressamente esplicitata, i M. hanno fatto valere nei confronti dell’impresa costruttrice e del direttore dei lavori una responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c., che ha natura extracontrattuale. Pertanto, l’assunto della Corte veneta secondo cui tanto la MA.RI.KA quanto il B. sono estranei ai fatti lamentati non avendo rapporto contrattuale con i M., costituisce una palese violazione della norma citata.

3. – I terzo motivo lamenta l’omessa motivazione circa i criteri di ripartizione del danno derivante dalla necessità di regolarizzare urbanisticamente gli immobili di cui è causa.

Il c.t.u. nominato in primo grado, dopo aver accertato che i M. per poter regolarizzare gli immobili dal punto di vista urbanistico hanno dovuto sostenere la spesa di L. 220.072.841, ha suddiviso tale somma in quattro classi, proponendo per ciascuna di esse dei criteri di suddivisione della spesa tra le varie parti.

Tuttavia, sia il Tribunale di Verona, prima, sia la Corte d’appello, poi, pur avendo integralmente recepito tali criteri di riparto, non hanno speso alcuna motivazione per chiarire le ragioni per cui il danno sia stato suddiviso in quattro classi, e perchè all’interno di ciascuna classe si sia adottata una certa percentuale piuttosto che un’altra.

4. – IlI primo motivo è infondato.

Nonostante l’incauto impiego da parte della Corte territoriale (v. pagg. 20-21 della sentenza impugnata) di termini come "responsabilità" e "corresponsabilità" (evocativi la soggezione patrimoniale per l’inadempimento di un’obbligazione o per la commissione di un fatto illecito) riferiti alla posizione dei M., i quali erano semmai creditori della prestazione di fare di cui si discute, dal complessivo senso della motivazione è evidente che la Corte veneta abbia inteso riferirsi al fatto che la parte creditrice avesse assentito l’esecuzione delle opere in maniera difforme dal progettato. Ciò è reso evidente dalla motivazione (v. in particolare pag. 21 dove si afferma che M.O. era a conoscenza che la realizzazione dell’opera avveniva in maniera non conforme al progetto) e dalla circostanza che non vi è stata nessuna condanna dei M. verso il F.. Il concorso ritenuto nella sentenza impugnata non scaturisce, dunque, da un’implicita affermazione di responsabilità ex art. 2055 c.c. (come sostiene parte ricorrente, senza considerare che l’illecito presuppone un danno arrecato a un terzo, situazione non configurabile nella fattispecie non essendovi alcun soggetto assertivamente danneggiato se non gli stessi M.), ma dal fatto che gli odierni ricorrenti sarebbero stati al corrente della difformità dell’opera sin dalla sua prima realizzazione. Tale concorso, operando a livello della stessa causazione del danno, il quale non si sarebbe verificato senza la compartecipazione del creditore, coeva alla condotta dell’impresa esecutrice dei lavori, è regolato dall’art. 1227 c.c., comma 1, e come tale è rilevabile d’ufficio e non su eccezione di parte (costante, in tal senso, la giurisprudenza di questa Corte:

cfr. ex pluribus e tra le più recenti, nn. 6529/11, 12714/10, 23734/09 e 18544/09).

Contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente, il caso di specie non rientra nell’ipotesi del comma 2 della disposizione precitata, la cui funzione normativa consiste nel selezionare i danni in base al criterio della diligenza esigibile per evitarli, escludendo la risarcibilità di quelli che, pur collegati dal punto di vista eziologico alla condotta del debitore, il creditore avrebbe potuto scongiurare attivandosi per impedirne la produzione o l’aggravamento.

5. – Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili perchè pongono questioni nuove.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (v.

Cass. nn. 20518/08, 14590/05, 15950/04, 6656/04, 6542/04, 12571/03 e 2331/03).

5.1. – In particolare, quanto al secondo motivo, la stessa parte ricorrente ammette di non aver espressamente dedotto la responsabilità della società MA.RI.KA e del B. ai sensi dell’art. 1669 c.c., sostenendo in maniera del tutto apodittica che, ciò nonostante, i M. l’avevano "indubbiamente" fatta valere.

5.2. – Allo stesso modo, il terzo motivo coinvolge una questione di cui non v’è traccia nella sentenza impugnata, e la cui espressa allegazione nel giudizio d’appello non è minimamente dimostrata.

6. -In conclusione il ricorso va respinto.

7. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido fra loro al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese, che liquida in Euro 6.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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