T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 20-12-2011, n. 1068

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 Con atto notificato il 3 novembre 2004, depositato il successivo 10, i ricorrenti espongono: (a) di aver conseguito il permesso n. 2 del 23 luglio 2003 per la costruzione, sul terreno di cui al foglio 25 mappale 204, di un fabbricato da destinare ad abitazione "sviluppato su tre livelli, un piano interrato, con accesso dall’esterno mediante una rampa della larghezza massima di mt. 5,00 destinato a rimessa e deposito"; (b) ad esito degli accertamenti dalla polizia locale, eseguiti in corso d’opera, il comune ha adottato l’ingiunzione di demolizione.

2 Impugnano quindi l’ordinanza n. 116 prot. n. 13625 del 4/7 settembre 2004 ed argomentano la domanda deducendo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990 – eccesso di potere – vizio del procedimento – errata applicazione delle norme del D.P.R. 380/2001.

3 Il comune di Ceprano ha depositato documentazione il 30 novembre 2004.

4 Con ordinanza n. 841 del 4 dicembre 2004, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare.

5 Con istanza depositata il 15 dicembre 2010, i ricorrenti hanno manifestato il persistente interesse alla definizione della domanda.

6 Alla pubblica udienza del 3 novembre 2011 il ricorso è stato chiamato ed introdotto per la decisione.

Motivi della decisione

1 I ricorrenti impugnano l’ordinanza di demolizione adottata dal comune di Ceprano a seguito di accertata esecuzione di lavori difformi rispetto al premesso a costruire ed implicanti un incremento del volume complessivo dipendente: – dal mancato interramento di uno dei quattro lati dell’immobile; – dalla realizzazione di una rampa di accesso al piano seminterrato di larghezza pari a mt 7,50 e tale da essere considerata nel calcolo volumetrico dell’immobile.

2 Ritiene il Collegio di dover pervenire, dopo una più approfondita valutazione degli atti, a conclusioni diverse da quelle anticipate in sede cautelare.

3 Prima dell’analisi dei motivi, va ricostruita la situazione sulla base della documentazione versata dal comune.

3.1 Il permesso a costruire 2/2003 interessava la realizzazione di un fabbricato bifamiliare a duplice elevazione, strutturato in due piani fuori terra ed un piano interrato con accesso, dall’interno, a mezzo di una scala di collegamento tra i piani, dall’esterno, mediante una rampa larga metri 4. In sede di sopralluogo, veniva quindi accertata la "realizzazione in difformità del permesso…, di variazioni essenziali rientranti nell’art. 8 lett. C della L.R. 36/87, consistenti nell’incremento del volume complessivo dell’immobile. Detto incremento viene a concretizzarsi attraverso il parziale interramento di uno dei quattro lati dell’immobile e con la realizzazione di una rampa di accesso al piano seminterrato di larghezza pari a mt. 7,50 e tale da essere considerata anch’essa nel calcolo volumetrico dell’immobile." (allegato sub due della citata produzione).

3.2 L’ufficio comunale ha poi trasmesso relazione (prot. n. 17986 in data 22 novembre 2004), dalla quale emerge che: (a) la variazione essenziale, rispetto al progetto approvato, va ricondotta ad un incremento volumetrico stimato in mc. 191,28, superiore al limite del 2 % di quello assentito (959,58), limite fissato dall’articolo 8, comma 1, lettera c) della L.R. 2 luglio 1987, n. 36; (b) tale esito si fonda, stante anche la mancata rilevazione di un cantiere in itinere, sulla difformità rispetto al progetto che "prevedeva l’interramento fino al piano di calpestio del balcone" (cfr. foto n. 1 di cui a pagina 2 della predetta relazione, nella quale viene sottolineata anche la presenza di "luci" realizzate nella porzione da interrare, nonché degli intonaci e delle tinteggiature sempre relative alla porzione da rinterrare); (c) analoghe e specifiche indicazioni si traggono quanto alla difformità della rampa di accesso di larghezza pari a mt. 7,50 rispetto ai mt. 4,00 di progetto ed alla rilevanza, nei termini presupposti dall’ordinanza impugnata, degli apprestamenti e dotazioni ivi accertate; (d) il completamento delle opere impediva l’esercizio del potere di sospensione; (e) il comune quindi sospendeva ogni successiva attività con la quale, "i responsabili dell’abuso tentavano di ripristinare la legalità dell’intervento attraverso operazioni promiscue, finalizzata a reinterrare la porzione di immobile fuori terra.".

4 Può ora passarsi all’esame del primo motivo con il quale i ricorrenti, deducono la violazione degli articoli 7 ed 8 della legge 241/1990, lamentando: (a) la mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento e dell’ufficio presso il quale poter visionare gli atti; (b) il mancato accesso al verbale di accertamento; (c) la violazione delle garanzie partecipative con riguardo all’accertamento e quindi alla rappresentabilità, prima dell’adozione dell’ordinanza impugnata, della conformità delle opere e dell’esecuzione del reinterro, una volta ultimati i lavori.

5 Il motivo è nel complesso infondato.

5.1 Il primo profilo va disatteso alla stregua del costante orientamento per il quale, l’omessa comunicazione del responsabile del procedimento e dell’ufficio presso cui poter prendere visione degli atti non determina l’illegittimità del provvedimento finale, dovendosi considerare responsabile del procedimento il dirigente e/o responsabile della struttura amministrativa, da cui promana l’atto (cfr.: T.a.r. Campania Napoli, sez. IV, 20 aprile 2010, n. 2051; Consiglio Stato, sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6242).

5.2 Alla rappresentata impossibilità di acquisire il verbale di sopralluogo, deve opporsi l’inammissibilità della relativa censura perché, l’allegato n. 5 del ricorso certifica il diniego dell’istanza di accesso con provvedimento che non è stato impugnato (nota prot n. 1478/R dell’ 8 settembre 2004).

5.3 Per quello che riguarda l’ultimo profilo, è sufficiente richiamare il costante orientamento che ha escluso l’applicabilità della previsione sulla comunicazione di avvio del procedimento stante il carattere vincolato del provvedimento sanzionatorio che presuppone un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere. Aggiungasi poi, anche per quanto disposto dall’articolo 21 – octies della legge 241/1990, che non rileva il richiamo agli apporti che si sarebbero potuti introdurre in sede procedimentale, perché i ricorrenti non hanno in alcun modo contestato gli accertamenti, per come connotati nella già citata relazione del competente ufficio comunale, quindi l’esecuzione di opere difformi e costituenti variazione essenziale.

6 I ricorrenti lamentano infine la violazione: (a) degli articoli 27 e 36 del d.P.R. 380/2001 perchè la demolizione non preceduta dalla sospensione dei lavori avrebbe precluso l’esercizio della facoltà di cui alla seconda delle citate norme; (b) dell’articolo 34, comma 2, dello stesso d.P.R.

7 Anche detti profili devono essere disattesi:

7.1 Ed, infatti, agli stessi va opposto: (a) quanto al primo, che l’accertata assenza di un cantiere in essere (cfr. sul punto la citata relazione) costituisce indice di sicuro rilievo perché, nell’ipotesi di lavori ultimati, l’adozione della sospensione è inutile, pertanto la sua mancanza non rileva in termini di possibile illegittimità dell’ordinanza di demolizione; (b) quanto al secondo, invece che la mancanza della sospensione non preclude l’esercizio della relativa facoltà, essendo l’stanza di accertamento di conformità presentabile secondo i termini di cui all’articolo 36, comma 1, del d.P.R. 380/2001; (c) quanto alla dedotta violazione dell’articolo 34, comma 2, che il Collegio condivide l’orientamento per il quale: "La valutazione circa la possibilità di dar corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra la demolizione d’ufficio e l’irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, successiva alla disposta ingiunzione. La possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria – disciplinata, con riferimento alle opere eseguite in parziale difformità dal titolo edificatorio, dall’art. 34 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 – viene infatti valutata dall’Amministrazione soltanto in un secondo momento, successivo ed autonomo rispetto all’atto di diffida a demolire, ossia quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente emana l’ordine di demolizione in danno delle opere edili costruite. Conseguentemente, l’esito negativo di tale valutazione non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma al più della fase di esecuzione in danno." (T.a.r. Campania Napoli, sez. III, 10 maggio 2010, n. 3418).

8 Il ricorso va, pertanto, respinto.

9 Non si provvede ad alcuna statuizione sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio dell’azienda.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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