Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-05-2012, n. 8143

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In relazione alle forniture di pasti effettuate da Onama spa, ora Compass Group Italia, presso la residenza sanitaria (OMISSIS) era sorta controversia tra detta società e la GMS srl (ora trasformata in società per azioni).

Onama spa attivava con comunicazione 27 luglio 2005 l’arbitrato previsto dalla clausola compromissoria.

Secondo il ricorso, il lodo veniva reso da tre arbitri, il primo nominato da Onama, il secondo dal presidente del tribunale di Bari e il terzo dai due arbitri.

Veniva impugnato da GMS davanti alla Corte d’appello di bari, con citazione notificata il 27 dicembre 2006.

La Corte d’appello rigettava l’impugnazione con sentenza 14 ottobre 2009. La Corte osservava:

che la domanda di arbitrato era stata ritualmente notificata; che la clausola compromissoria era valida, anche senza specifica approvazione scritta, poichè non si trattava di contratto concluso mediante formulari o moduli predisposti;

che infondatamente GMS spa aveva eccepito la nullità della procura alle liti rilasciata dal procuratore della Onama con firma illeggibile, provenendo essa da soggetto puntualmente individuato in atti.

Gestione e Management Sanitario spa ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 29 gennaio 2010, imperniato su tre motivi e resistito da controricorso.

Motivi della decisione

2) Con il primo motivo GMS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e violazione degli artt. 112, 809 e 810 c.p.c., e art. 829 c.p.c., n. 2., "violazione della clausola arbitrale". Espone che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare sulla censura di violazione dell’art. 829 c.p.c. "a proposito del difetto di valida costituzione del Collegio". La doglianza è infondata.

Dalla sentenza impugnata si apprende (pag 3, rigo 3 e 4) che il Presidente del tirbuanle di Bari aveva nominato l’arbitro di spettanza della impugnante GMS e il presidente del Collegio arbitrale. Ciò era avvenuto, sempre secondo la sentenza, perchè Onama aveva sollecitato la formazione del Collegio arbitrale con rituale notifica dell’atto di impulso, ma GMS era rimasta inerte e non aveva nominato il proprio arbitro.

Il ricorso per cassazione lamenta che, al di là della notifica del ricorso ex art. 810, era stata posta questione in ordine alla nomina del terzo arbitro che doveva spettare alle parti e non ai primi due arbitri.

Tale questione, contrariamente a quanto dedotto con il primo motivo, risulta affrontata e decisa dalla Corte di appello.

2.1) La Corte, infatti, dopo aver dettagliatamente chiarito i meccanismi di attivazione dell’arbitrato e della colpevole inerzia della GMS ha ritenuto valida "la posteriore attività suppletiva del Presidente del Tribunale", così ritenendo che a fronte del comportamento inerte della parte, la necessità di comporre il Collegio imponesse la condotta del Presidente finalizzata, secondo la sentenza, all’integrale formazione del trio incaricato di decidere.

Tale operato non è idoneamente censurato, atteso che i richiami giurisprudenziali, ai quali il ricorso si affida, concernono la nullità del Collegio per difetto di costituzione, ma non affrontano il tema della configurabilità del difetto quando la formazione sia stata determinata dal presidente del Tribunale, in funzione vicaria rispetto all’inerzia del titolare del potere di nomina che sia rimasto inerte.

3) Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 1341 e 1342 c.c. ed "erroneità della motivazione".

Viene riproposta la tesi della necessità di specifica approvazione scritta della clausola arbitrale, invocando anche un precedente giurisprudenziale secondo il quale: "La clausola compromissoria rientra fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 cod. civ. solo se istitutiva di arbitrato rituale".

Anche queste doglianze non sono fondate.

Va riconfermato infatti (cfr Cass. 11757/06) che dopo aver constatato che il contratto era nato da trattativa bilaterale, è stata fatta corretta applicazione, in sede di esame dell’impugnativa, dell’insegnamento in forza del quale: "un contratto e1 qualificabile per adesione secondo il disposto dell’art. 1341 cod. civ. – e come tale soggetto, per l’efficacia delle clausole cosiddette vessatorie, alla specifica approvazione per iscritto – solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Ne consegue che tale ipotesi non ricorre quando risulta che il negozio è stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti".

Ovviamente tale affermazione, che comporta la superfluità nella specie della doppia sottoscrizione, rende irrilevante la distinzione tra arbitrato rituale e irrituale al fine di escludere o imporre l’adempimento.

4) Il terzo motivo concerne violazione e falsa applicazione degli art. 112, 809 e 810 c.p.c. e art. 829 c.p.c., n. 2 e vizi di motivazione. Parte ricorrente deduce che in sede di appello aveva rilevato contraddittorietà del lodo, perchè esso avrebbe affermato che il contratto si era risolto per inadempimento e che Onama si era avvalsa della clausola risolutiva espressa.

Lamenta che la motivazione della sentenza di appello sarebbe erronea o inesistente.

La censura è inammissibilmente formulata.

La Corte di appello ha negato la sussistenza delle contraddittorietà lamentate.

Ha precisato che il lodo aveva "accertato e dichiarato soltanto l’inadempimento della GMS srl al suo obbligo di pagamento e ne ha tratto le necessarie conseguenze in termini di condanna della debitrice".

A fronte di questa sufficiente motivazione, che escludeva in punto di fatto la sussistenza di contraddittorietà interne del lodo, incombeva su parte ricorrente, per rendere intelligibile la censura e munirla della indispensabile specificità, l’onere di riportare testualmente in ricorso il testo del lodo e di illustrare le censure con argomenti puntuali e non con mero richiamo delle brevi considerazioni svolte in sede di appello e disattese dalla Corte.

L’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), qualunque sia il tipo di errore ("in procedendo" o "in iudicando") per cui è proposto, non può essere assolto "per relationem" con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in se, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità’ la possibilità’ di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass 11984/11).

Essa doveva inoltre articolare dettagliatamente le critiche relative all’asserita violazione di norme, esponendo adeguatamente i profili rilevanti.

Mette conto ricordare che: "Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione" (Cass. 5353/07).

Dalla mancata osservazione di questi criteri di redazione del ricorso per cassazione deriva la inammissibilità della censura. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 5.000 (cinquemila) per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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