T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 20-12-2011, n. 9953

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. S.P., con delibera della Commissione centrale del 18/1/2001, è stato ammesso allo speciale programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia dal D.l. n. 8/1991.

Con provvedimento del 12/11/2009 la medesima Commissione centrale ha revocato il programma di protezione.

Ritenendo erronea ed illegittima la determinazione assunta dalla Commissione centrale, l’interessato l’ha impugnata dinanzi al TAR del Lazio, avanzando la domanda di annullamento indicata in epigrafe.

In particolare, a parere del ricorrente, il provvedimento di revoca va considerato illegittimo perché affetto dai vizi di seguito indicati:

– eccesso di potere per travisamento dei fatti: – con il provvedimento impugnato la Commissione ha sostenuto che il programma di protezione deve essere revocato in considerazione del persistente rifiuto dello S. di sottoporsi al programma e del procedimento penale instaurato a carico del ricorrente per maltrattamenti in danno della moglie; – contrariamente a quanto asserito dalla Commissione centrale, già nel settembre 2006 il ricorrente era rientrato nel circuito tutorio previsto dal programma di protezione, per allontanarsene di li a qualche settimana, non avendo il Ministero degli Interni provveduto agli adempimenti di cui all’art. 13, commi 6, 10 e 11, del D.l. n. 8/1991; – le condotte penalmente rilevanti poste a base della revoca non hanno costituito oggetto di pronunce da parte dell’Autorità giudiziaria e, comunque, si tratta di un fatto bagatellare, non idoneo a legittimare la revoca del programma di protezione;

– violazione di legge: – il provvedimento impugnato è stato adottato in violazione dell’art. 13 quater, comma 3, del D.l. n. 8/1991, il quale prevede un termine non inferiore a sei mesi e non superiore a cinque anni entro il quale occorre procedere alle verifiche della sussistenza o meno delle condizioni per il mantenimento delle misure di protezione; posto che lo S. è stato ammesso al programma in data 18/1/2001 e considerato che lo stesso non solo aveva fornito alle varie Autorità giudiziarie la collaborazione necessaria ma aveva, altresì, ripetutamente chiesto di uscire dal programma di protezione, il provvedimento di revoca avrebbe dovuto essere adottato sulla scorta di una motivazione diversa da quella espressa dalla Commissione centrale; – il provvedimento impugnato, oltretutto, non tiene conto che dinanzi al Tribunale civile di Roma pendeva una causa civile promossa dal ricorrente contro il Ministero degli Interni, tesa ad ottenere il pagamento di quanto a lui dovuto dallo Stato durante il periodo di collaborazione.

2. L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, si è difesa depositando note e documenti relativi alla vicenda, eccependo l’irricevibilità del ricorso, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. All’udienza del 1° dicembre 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

4. Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso avanzata dall’Amministrazione resistente evidenziando che il provvedimento della Commissione centrale è stato notificato il 18 gennaio 2010, mentre il ricorso è stato notificato in data 22 marzo 2010 e, quindi, oltre il termine di decadenza stabilito dalla legge.

L’eccezione è infondata e va respinta in quanto il plico è stato ricevuto il 22.3.2010, ma è stato consegnato per la spedizione il 18.3.2010 e, quindi, il ricorso è tempestivo.

5. Per quanto concerne il merito della controversia, è opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161/2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che mentre il provvedimento di revoca del programma di protezione adottato nei confronti del soggetto "collaboratore di giustizia", di cui all’art. 13 quater, comma 2, prima parte del D.L. n.8/1991, si deve considerare vincolato, quello che si adotta in base a quanto dispone la seconda parte dello stesso articolo si configura adottabile in forma di atto sostanzialmente discrezionale, cioè avente aspetti propriamente valutativi; infatti, in tale ipotesi, si tratta di considerare l’insieme delle valutazioni operate tendenti ad accertare elementi, nella situazione di fatto, legittimanti la revoca stessa. Ne consegue che il mutamento o la cessazione dello stato di pericolo in connessione con reinserimento nel circuito criminale del soggetto protetto, in quanto elementi che contraddistinguono, in concreto, tale istituto, legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29012008).

Del resto, non si può ritenere illegittimo il provvedimento di revoca del programma di protezione di cui alla L. n. 82/1991, a cui un soggetto è stato ammesso, qualora siano stati acquisiti, su detto soggetto, elementi di coinvolgimento in vicende criminali tali da non apparire irragionevole ed infondata la valutazione di pericolosità sociale, in riferimento, appunto, a tali elementi obiettivamente incompatibili con il programma di protezione (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 3088 del 12062007).

Infatti, si deve ritenere che la L. n. 82/1991, nel disporre la protezione di testimoni, non accordi alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, vincolandole anzi al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo; la "ratio" giustificatrice di tale tutela, infatti, non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso. La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione, quindi, non può ritenersi una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta diretta conseguenza dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia e confermato dall’atto della sottoscrizione, prevista dall’art. 12, comma secondo, della L. n. 82/1991 (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 2541 del 24042009).

La revoca, come la modifica, delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione disposti dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 l. n. 82/1991 e succ. mod.) – e dunque costituenti oggetto di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per la cessazione, o per la modifica, del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1955 del 07042010, che conferma la sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I ter, n. 8197/2004).

Sotto questo profilo, risulta infondata la censura con la quale si contesta che le accuse aventi ad oggetto condotte penalmente rilevanti possa avere rilievo determinate in assenza di una sentenza penale passata in giudicato, poiché è chiaro che – ai fini della revoca o della modifica di speciali misure di protezione o dello speciale programma di protezione – ciò che rileva sono i comportamenti inadempienti del collaboratore desumibili anche da atti di indagine penale o da una sentenza di condanna non ancora passata in giudicato, posto che l’accertamento e la valutazione dei fatti eseguita in via amministrativa dalla Commissione centrale (al fine di revocare misure di protezione precedentemente disposte) è del tutto diversa e distinta da quella che, in relazione ai medesimi fatti, è chiamata a compiere l’Autorità giudiziaria (allo scopo di accertare la responsabilità penale dell’interessato).

La giurisprudenza ha affermato che i familiari del soggetto ammesso a protezione sono essi stessi destinatari del programma speciale, dovendosi adottare nei loro confronti la speciali misure di cui all’art. 9, comma 5, D.L.n. 8/1991, in funzione della relazione di convivenza o comunque della specificità del rapporto con il "titolare principale" delle misure: essi, infatti, sono esposti, in connessione a ciò, a gravi, attuali e concreti pericoli. E’ evidente, quindi, che una volta accertato, in base alla commissione di significativi delitti e della tenuta di specifici comportamenti, che, rispetto al collaboratore di giustiziatitolare del programma di protezione, sia venuta meno o comunque mutata la situazione di pericolo, al punto da essere incompatibile il mantenimento delle misure di protezione, tale venir meno del pericolo si estende in modo automatico anche agli altri soggetti indicati dal comma 5 dell’art. 9, ed anche qui nel senso della incompatibilità con il proseguire della protezione; con il che diventa legittima la revoca anche nei confronti di detti soggetti (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29012008).

5. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

Nel caso di specie, dall’esito dell’istruttoria condotta in relazione alla fattispecie – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato e dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale (che recano l’indicazione di atti, fatti e circostanze, sostanzialmente, non contestati dalla parte ricorrente che, invece, ha contestato le valutazioni e le conseguenze che dagli stessi ha fatto scaturire l’Amministrazione procedente) – risulta quanto segue.

A seguito dell’annullamento del provvedimento con il quale la Commissione centrale per l’applicazione delle misure di protezione di cui alla legge n. 82/19911 disponeva la cessazione degli effetti del piano provvisorio di protezione (cfr. sentenza del TAR del Lazio n. 14468/2006), sono stati segnalate ulteriori violazioni poste in essere dall’interessato. In particolare, con nota del 5 giugno 2008, è stato comunicato che, a seguito di indagini di polizia giudiziaria, lo S. era stato denunciato per appropriazione indebita di autovettura; – con nota del 13 giugno 2008, è stato comunicato che nell’abitazione del ricorrente, durante una perquisizione disposta ai sensi dell’art. 41 TULPS, sono state rinvenute una pistola Beretta mod. 92 FS a gas e banconote in carta comune con dicitura "fac simile" (per tali fatti lo Sparanza è stato deferito all’Autorità Giudiziaria); – con nota del 26 gennaio 2009, è stato comunicato che il collaboratore era stato deferito all’Autorità Giudiziaria, a seguito di denuncia sporta dalla moglie, Mottino Daniela.

Le sistematiche condotte tenute dallo S. successivamente alla citata sentenza del TAR Lazio n. 14468/2006, hanno evidenziato la sostanziale contraddittorietà tra il comportamento dell’interessato e l’attuazione in concreto del programma di protezione.

A ciò va aggiunto che il collaboratore è stato ripetutamente e inutilmente invitato a trasferirsi in una località protetta, al fine di dare compiuta e concreta attuazione ai contenuti del programma di protezione.

Per tali ragioni, la Commissione centrale ha correttamente ravvisato nelle condotte del ricorrente un contrasto con gli impegni derivanti dal programma speciale di protezione, in relazione a quanto rappresentato dal Servizio Centrale di Protezione ed in conformità alle valutazioni degli Uffici giudiziari interessati e, conseguentemente, con delibera in data 12 novembre 2009 ha disposto la revoca del programma speciale di protezione, essendosi configurati i presupposti previsti dall’art. 13quater, della legge n. 82/1991.

In conclusione, il provvedimento di revoca è stato legittimamente adottato a causa di reiterate condotte poste in essere dallo S. in violazione degli obblighi assunti (rinuncia di trasferirsi in località protetta; denunciato per appropriazione indebita di una autovettura; sequestro presso la propria abitazione di una pistola e di banconote false; denunciato dalla moglie per maltrattamenti; reiterato rifiuto di rientrare nel programma).

E’ vero che la DDA di Milano, competente unitamente alla DDA di Catanzaro (che si era espressa favorevolmente alla revoca in considerazione del fatto che l’interessato aveva esaurito i propri impegni processuali) avevano chiesto di conoscere gli esiti dei procedimenti a carico del ricorrente prima di esprimere il parere. Ma non è contestato dal ricorrente il suo rifiuto di trasferirsi in località protetta e, quindi, a prescindere dagli sviluppi delle denunce e dei procedimenti a suo carico, la revoca appare giustificata.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

7. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *