Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-05-2012, n. 8129 Procedimento avanti le Commissioni tributarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n.157/39/09, depositata il 2.3.2009 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, confermava le sentenza di primo grado che avevano accolto i ricorsi della società Bianchi Maria Rosaria & C. s.n.c., avverso l’avviso di accertamento, per l’anno 1998, con cui veniva rettificato il reddito d’impresa, con conseguente maggior imponibile Iva in capo alla società e imponibile Irpef in capo ai soci, proporzionalmente alle loro quote di partecipazione, accertando, ai fini Iva, imposte non dichiarate.

Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale, confermando quanto affermato già nella sentenza di primo grado, che la rettifica operata si fondasse su semplici presunzioni, senza validi elementi probatori "in ordine alla effettiva realtà negoziale posta in essere dalle parti".

L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenze della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi:

a) omessa motivazione su un fatto controverso è decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo l’Ufficio evidenziato i dati che lo avevano indotto a ritenere che l’asserita associazione in partecipazione tra la società Bianchi Maria Rosaria & C. s.n.c. e la F.lli Morsilli & C. snc dissimulasse in realtà un contratto di subaffitto dell’azienda "Bottega del Buongustaio";

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo autorità di cosa giudicata nel giudizio tributano la sentenza penale irrevocabile di assoluzione emessa in materia di reati tributari.

La società intimata non si è costituita nel giudizio di legittimità.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 11.4.2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

L’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso di impugnazione, la necessità del "simultaneus processus" nei confronti dei soci e, quindi, un litisconsorzio necessario, mancando un meccanismo analogo a quello previsto dal combinato disposto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40, comma 2, e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, di unicità di accertamento ed automatica imputazione dei redditi della società ai soci in proporzione alla partecipazione agli utili, con connessa comunanza di base imponibile tra i tributi a carico della società e dei soci (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11240 del 20/05/2011; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12236 del 19/05/2010).

Il primo motivo di ricorso è inammissibile per la mancata formulazione del quesito di fatto.

E’, infatti, inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la "ratio" che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11240 del 20/05/2011).

Il motivo, comunque, sarebbe anche inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione; infatti non viene riprodotta testualmente la "convenzione" al fine di potere accertare la natura del contratto stipulato tra le parti, documento ai quali questa Corte non può accedere direttamente e la cui conoscenza è necessaria per valutare la fondatezza della censura difetto di motivazione dell’atto proposta in questa sede.

Il motivo, peraltro, sarebbe anche infondato. Ancorchè con motivazione sintetica le sentenze della commissione tributaria regionale, con riferimento "per relationem" anche alla motivazione delle sentenze della Commissione ributaria provinciale, hanno ritenuto che la rettifica operata dall’Amministrazione finanziaria si fondasse su semplici presunzioni," prive di validi elementi probatori e che non possono ritenersi prova in ordine alla effettiva realtà negoziale posta in essere dalle parti".

Trattasi di valutazione di merito, non illogica, come tale non censurabile in sede di legittimità, relativa alla natura del contratto stipulato con la Fili Morsilli & C. snc, qualificato di associazione in partecipazione, escludendo la configurazione di un contratto di subaffitto, ancorchè siano stati offerti dall’agenzia elementi logici anche per una diversa valutazione che, tuttavia, non è stata ritenuta idonea dai giudici di merito, in mancanza di ulteriori elementi concreti, al fine di suffragare la tesi dell’Ufficio. Il sindacato legittimità non può estendersi al merito, in mancanza di illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del contratto.

2) Anche il secondo motivo va disatteso.

Inefficacia vincolante del giudicato penale, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., non può operare automaticamente nel processo tributario nel quale vigono limitazioni della prova, come il divieto della prova testimoniale e possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (Cass.21.8.2007 n. 17799).

Quindi, nel giudizio tributario nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano quelli stessi che fondano l’accertamento, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, con rilievo probatorio in materia di determinazione dell’IVA, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Di conseguenza, l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena (per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste), può essere ritenuto responsabile fiscalmente, qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. 6 ottobre 2010 n. 20740).

Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c., deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare e del tutto legittimamente, nell’esercizio dei suoi poteri di valutazione del comportamento delle parti e degli elementi probatori desumibili dagli atti, verifica la rilevanza della sentenza penale assolutoria ai fini dell’accertamento materiale dei fatti riguardanti la fattispecie al suo esame, quale elemento di prova, ancorchè privo dell’efficacia del giudicato. La motivazioni della sentenza della Commissione regionale impugnata non fa alcun riferimento diretto alla sentenza di non luogo a procedere pronunciata in sede penale nei confronti di B.M.R. e M.C. ed alla loro efficacia nel giudizio tributario, al di fuori di una generica condivisione della motivazione del primo giudice.

Avendo la Commissione regionale respinto il ricorso della Agenzia delle entrate in ordine alla mancata prova della stipulazione di un contratto diverso da quello dell’associazione in partecipazione e non in forza del giudicato penale, la questione rimane assorbita.

Peraltro la Commissione provinciale si era limitata a richiamare, a sostegno della decisione di accoglimento del ricorso anche la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in sede penale nei confronti dei soci della Bianchi Maria Rosaria & C. s.n.c., senza tuttavia attribuirle rilievo di giudicato estensibile al giudizio tributario, ma solo quale elemento probatorio rafforzativo della decisione adottata. Il ricorso va quindi respinto.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, in difetto di costituzione dell’intimata società.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *