Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-10-2011) 15-11-2011, n. 41720 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe il Tribunale di Gela, giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata da D.G. G., volta alla declaratoria della continuazione tra: (1) il delitto di associazione di stampo mafioso, commesso dal (OMISSIS), oggetto di sentenza di condanna della Corte di appello di Caltanissetta del 22.2.2006, irrevocabile il 18.6.2006, in parziale riforma di quella di (OMISSIS); (2) il delitto di tentata estorsione, commesso in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS); oggetto di sentenza di condanna del Tribunale di gela del 16.2.2005, confermata dalla Corte di appello il 23.3.2006, irrevocabile il 7.11.2007.

Osservava, a ragione, che la condotta estorsiva risultava posta in essere in epoca successiva rispetto a quella in cui s’era protratta la condotta associativa e che non v’era alcuna circostanza che consentisse di far risalire la sua ideazione al momento in cui era stato costituito il sodalizio, nel cui ambito la realizzazione di estorsioni risultava essere stata frutto di scelte contingenti, adottate via via dai vertici del sodalizio sulla base di elementi ed informazioni quotidianamente assunte, sull’apertura di nuovi esercizi, sulle fiorenti condizioni economiche di talune imprese, o in vista di una migliore suddivisione dei profitti.

2. Ha proposto ricorso il condannato a mezzo del difensore, avvocato Daniele Tipo, che chiede l’annullamento della ordinanza impugnata denunziando violazione di legge e vizi di motivazione.

Si duole in particolare: della erronea individuazione della distanza temporale tra la data di consumazione dei due reati, giacchè per il secondo essa era indicata come risalente ad epoca imprecisata antecedente all’ottobre 2002; della mancata adeguata considerazione del fatto che il D.G. era stato condannato quale organizzatore e capo dell’associazione mafiosa, sicchè a lui potevano farsi risalire le risoluzioni relative alla commissione dei singoli reati, e del fatto che anche l’estorsione oggetto della seconda condanna era stata realizzata mediante minaccia derivante dall’appartenenza alla "stidda"; della omessa valutatone degli elementi deponenti per la continuazione evidenziati nell’istanza ex art. 671 c.p.p.; della illogicità della motivazione laddove aveva obliterato che ad altro imputato, A.G., era stata riconosciuta, con sentenza emessa il 12.10.2010, la continuazione tra la medesima estorsione e la medesima associazione di stampo mafioso, oltre che con il reato per il quale lo stesso era stato giudicato con sentenza della Corte di appello 23.3.2006 (l’ A., dice il ricorso, era stato condannato per la medesima associazione mafiosa in data 22.12.2004 dal Tribunale di Gela, con sentenza modificata solo quanto alla pena dalla Corte di appello in data 17.2.2006; i reati ritenuti in continuazione con la sentenza di primo grado confermata in appello il 12.10.2010 erano quelli giudicati con la sentenza 17.2.2006).

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.

Alla luce della motivazione del provvedimento impugnato, in diritto assolutamente corretta ed esauriente e plausibile in fatto, le censure d’erronea applicazione della legge penale appaiono manifestamente infondate e le doglianze sono (per) non soltanto prive di autosufficienza, ma tendenti ad introdurre rivalutazioni di merito che non possono avere ingresso in questa sede.

Può solo aggiungersi, in particolare, che la tesi di una diversa collocazione temporale dell’estorsione è del tutto priva della individuazione di una specifica, diversa e decisiva, data di realizzazione delle condotte; che la circostanza che l’estorsione sarebbe stata contestata come realizzata mediante avvalimento della forza di intimidazione derivante dalla partecipazione mafiosa, non è affatto, di per sè, nè equivalente ad una prova della perdurante partecipazione mafiosa nè, soprattutto, dimostrativa della programmazione, sia pure generica, in capo al D.G. di tale specifica estorsione sin dall’origine della costituzione del sodalizio.

Quanto alle deduzioni relative al riconoscimento della continuazione ad altro imputato per i medesimi fatti, le stesse sono, da un lato, del tutto prive di autosufficienza quanto a coincidenza dei fatti e quanto a natura e ragioni del diverso giudizio; sono, dall’altro – anche ad ammettere che effettivamente per altro imputato sia stata riconosciuta la continuazione tra i medesimi fatti -, relative a differente giudizio, che non ha alcuna forza condizionante del presente e in relazione al quale non è, neppure in astratto, predicabile alcun rapporto di contraddizione, giacchè le valutazionì sull’identità del disegno criminoso originario afferiscono l’atteggiamento psicologico di ciascun imputato e non può, perciò, il semplice differente esito di tali valutazioni essere utilmente additato a tertium comparationis.

Non è, in conclusione, censurabile in questa sede la motivazione, corretta e plausibile, del provvedimento impugnato, con la quale si evidenzia che una valutazione globale dei dati acquisiti non consentiva di affermare che i fatti dei quali si chiedeva l’unificazione erano il portato di un disegno criminoso del D. G., unitario e preesistente alla realizzazione di entrambi i delitti.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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