Cassazione civile anno 2005 n. 1330 ICI Imposta incremento valore immobili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
La Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza 12 maggio 2003, ha ritenuto imponibili a fini ICI da parte del Comune di Montegalda, per gli anni 1993 e 1994, i fabbricati, appartenenti ai soci della Cooperativa X X, insistenti su terreno di proprietà della suddetta Cooperativa, dalla stessa utilizzati per la manipolazione e trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici (allevamento di pollame). Secondo i giudici tributar d’appello, i fabbricati in questione sarebbero privi del carattere della ruralità (che ne avrebbe determinato, secondo l’art. 1 comma 2 del D.Lgvo 504/92, relativo alla imponibilità dei soli fabbricati urbani l’esenzione dall’imposta) in quanto, per il 1993, al fine del riconoscimento di tale carattere, anche se non può essere applicato il D.L. 557/93, entrato in vigore nel 1994, sarebbe stata comunque necessaria, à sensi dell’art. 38 del DPR 1142/1949 l’identità fra il soggetto proprietario del terreno (la Cooperativa) e il proprietario dei fabbricatiti soci); mentre per il 1994 non era applicabile l’esenzione stabilita con l’art. 9 comma 1 del D.L. 557/93, per l’assenza dei requisiti prescritti da tale disposizione, e in particolare per la mancanza di identità soggettiva fra il proprietario del terreno e quello dei fabbricati, non potendo la personalità giuridica della Cooperativa confondersi con quella dei soci, come invece ritenuto dai giudici di primo grado.
L’X X s.c.r.l. ha chiesto la cassazione di tale sentenza sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria. Il Comune di Montegalda resiste con controricorso.

Motivi della decisione
Adducendo violazione degli artt. 2 D.Lgs. 504/92, 9 D.L. 557/93, convertito nella L. 133/94, 38 DPR 1142/49, 29 DPR 917/86, la ricorrente contesta in primo luogo l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale, per l’imponibilità relativa al 1993, pur non potendosi applicare il D.L. 557/93, dovrebbe farsi riferimento, à fini fiscali, ad una norma del 1949(art. 39 L. 1142/49), la quale ha solo incidenza catastale. Secondo la ricorrente, se il D.L. del 1993 non è applicabile, neppure può essere richiamato il cit. art. 39 della L. 1142/49; in ogni caso i fabbricati in questione avrebbero i caratteri della ruralità, perchè utilizzati in funzione strumentale all’attività X e di allevamento svolta dalla Cooperativa, rientrante fra le ipotesi di cui agli art. 2135 c.c. e 29 del DPR 917/86. Gli immobili sono infatti classificati "rurali" quando siano posseduti o detenuti dallo stesso soggetto titolare del diritto di proprietà, perchè la relazione fra terreno e costruzione rurale sussiste anche se il proprietario o affittuario sia soggetto diverso da una persona fisica, in quanto il concetto di ruralità investe soprattutto il tipo di impiego del fabbricato, che non perde tale connotazione ancorchè iscritto nel nuovo catasto (nella particolare categoria D/10, senza attribuzione di rendita), mentre l’attività di una Cooperativa può ritenersi meramente sostitutiva di quella dei singoli coltivatori associati e perciò connessa con l’attività X primaria degli stessi.
Prima di esaminare la suesposta doglianza, occorre dar conto della eccezione formulata dal Comune controricorrente, relativa alla inammissibilità del ricorso per invalidità della procura " ad litem", in quanto apposta in foglio separato rispetto al ricorso, priva di collegamento o richiamo all’atto cui è riferita, nonchè della data di sottoscrizione., per cui non potrebbe considerarsi "materialmente "congiunta col ricorso stesso, come richiesto dal novellato art. 83 c.p.c. L’eccezione non è fondata.
Premesso che la procura alle liti è stata nella specie rilasciata su foglio separato rispetto al ricorso, ma ad esso materialmente congiunto mediante punti metallici, e che la stessa contiene, contrariamente a quanto affermato dal controricorrente, specifico riferimento (mediante indicazione del numero di ruolo e della sentenza impugnata) al proposto ricorso, non rileva il fatto che la procura in questione sia priva di data (Cass. 12080/2003), postochè precede i successivi fogli, ulteriormente spillati, contenenti le relate di notifica, la cui data non può che essere successiva al rilascio della procura stessa (Cass. 12709/2002): la quale è valida perchè redatta, come previsto dagli artt. 125 e 83(novellato) c.p.c., in forma scritta, con riferimento dell’attività del procuratore alla parte del rapporto controverso, e depositata, unitamente al ricorso notificato cui è materialmente congiunta, al momento della costituzione della parte in giudizio (Cass. 10031/1997).
Passando dunque all’esame del ricorso, occorre innanzi tutto precisare la situazione di fatto che ha dato luogo alla pretesa impositiva, e la sequenza delle norme intervenute a definire la "ruralità" dei fabbricati, incidenti sulla determinazione dell’imposta comunale in questione. Secondo la sentenza impugnatala controversia verte sulla imponibilità, à fini ICI, di quattro fabbricati di proprietà della l’X X, società cooperativa avente ad oggetto la manipolazione e trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici, e specificamente l’allevamento di pollame, per i quali la predetta Cooperativa non aveva presentato denuncia, tre risultanti dal catasto terreni(capannone ad uso incubatoio, tettoia esterna al capannone, abitazione del custode) e uno dal catasto urbano (ufficio e magazzino). Tali fabbricati insistono, come è pacifico, su terreno di proprietà dei soci, la cui estensione non è inequivocamente stabilita.
La sentenza impugnata nega, per l’anno 1993, il carattere "rurale" a tali fabbricati, in base alla definizione di ruralità in vigore, fino al 30 dicembre 1993(data di entrata in vigore del D.L. 557/93) contenuta negli artt. 38 e 39 del DPR 1 dicembre 1949 n. 1142 (mutuata dall’art. 16 del R.D. 8 ottobre 1931 n. 1572, che a sua volta richiamava sul punto la definizione di cui all’art. 8 della L. 6 giugno 1877 n. 3684) secondo cui 1 fabbricati rurali, per essere qualificati tali a fini catastali, debbono appartenere allo stesso proprietario del terreno ed essere destinati all’abitazione del coltivatore, al ricovero del bestiame e alla conservazione e prima manipolazione dei prodotti agrari dei terreni, nonchè alla conservazione degli attrezzi necessari alla coltivazione. Non essendo i terreni, sui quali insistono i fabbricati, di proprietà della Cooperativa, la Commissione Regionale ha concluso che mancava non soltanto il principale presupposto per il riconoscimento della "ruralità" dei predetti immobili, ma anche (con qualche contraddizione) la destinazione dei fabbricati ad abitazione del custode, ovvero alla conservazione e prima manipolazione dei prodotti agrari. Per quanto attiene l’anno 1994, in cui il requisito della identità proprietaria fra terreno e fabbricati non è più richiesta in via assoluta dall’art. 9 n. 3 a) D.L. 557/93 (convertito nella L. 133/94) ("Il fabbricato deve essere posseduto dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero detenuto dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito…), la Commissione ha confermato il criterio di valutazione espresso per il 1993, non potendo il diritto di proprietà sul terreni dei soci confondersi con quello della Cooperativa sui fabbricati, ed escludendo la rilevanza, ai fini dell’ICI, della definizione di "attività X" contenuta, con riferimento alle imposte sul reddito, e in particolare al reddito agrario, nell’art. 29 lett. b) e c) DPR 22 dicembre 1986 n. 917 (ove sono elencati sub b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno…; sub c) le attività dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, che rientrino nell’esercizio normale dell’agricoltura…).
Il ricorso è solo parzialmente fondato.
Lo stretto collegamento fra la normativa relativa all’ICI e le disposizioni in tema di catasto(sancito "in primis" dall’art. 5 del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; cfr. Cass. 22943/2004) impone infatti, per quanto attiene l’anno 1993, una soluzione rispettosa della definizione di "fabbricato rurale" all’epoca ancora vigente, basata sul dettato dell’art. 39 del DPR n. 1142/1949, che come s’è visto, riconosce il requisito della ruralità del soli immobili appartenenti allo stesso proprietario del terreno agricolo, identità che nella specie non sussiste. Non può infatti confondersi la personalità giuridica autonoma della Cooperativa(cui i fabbricati appartengono) con quella fisica dei singoli soci, nè identificare, come è stato osservato dal Comune controricorrente, il contenuto del contratto di società, comportante l’esercizio di impresa mediante l’utilizzazione di beni strumentali conferiti alla stessa e ad essa vincolati, con il contratto di comunione, che presuppone il solo comune godimento della cosa da parte dei comproprietari.
E non è neppure possibile far ricorso, in materia di classificazione catastale, alla generale nozione di imprenditore agricolo di cui all’art. 2135 c.c., che il legislatore del 1949 certamente non ignorava, ma che tuttavia non ha preso in considerazione ai fini della più ristretta e specifica definizione della "ruralità" dei fabbricati a fini catastali, definizione cui resta estranea anche la individuazione delle attività agricole imprenditoriali contenuta nell’art. 29 del DPR 917/86(fra le quali potrebbe rientrare, alla lett. c) quella di allevamento di pollame svolta dalla Cooperativa) riguardando tale norma l’individuazione, ad altri fini impositivi, delle attività che producono reddito d’impresa.
Diverso è invece il discorso per il 1994, anno in cui è entrato in vigore il D.L. 30 dicembre 1993 n. 557 (come convertito), che nell’aggiornare le disposizioni catastali, ha ampliato (art. 9 n. 3 lett. a) la gamma dei soggetti titolari di diritti su fabbricati, che possono godere del "riconoscimento della ruralità degli immobili à fini fiscali", includendovi sia il titolare di diritti reali diversi dalla proprietà sul terreno su cui il fabbricato insiste sia il soggetto che "ad altro titolo" conduce il terreno cui l’immobile è asservito, dovendo l’immobile essere utilizzato, fra l’altro "per funzioni strumentali alla attività X" (art. 9 n. 3 b) D.Lgs. cit.), che è quella nella specie svolta dalla Cooperativa In questione, in quanto impresa X à sensi dell’art. 2135 c.c., norma correttamente applicabile in relazione a tale nozione, poichè la nozione catastale riguarda la "strumentante" dell’immobile, rispetto ad un’attività definibile come X secondo i principi civilistici.
Non appare dunque condivisibile quanto affermato in proposito nella sentenza impugnata, secondo la quale, anche per il 1994, sarebbe richiesta, ai fini della classificazione catastale, cui l’imponibile à fini ICI è collegato, la proprietà del fabbricato in capo al solo soggetto proprietario del terreno in cui l’immobile insiste, è invece vero che vengono ammessi dalla nuova normativa altri titoli di possesso di fabbricati ricompresi in terreni agricoli, quale la titolarità di un diritto reale sugli stessi(che nella specie potrebbe configurarsi come diritto di superficie)ovvero altro titolo, che potrebbe eventualmente risultare dall’atto costitutivo della Società o dagli atti necessari all’ottenimento della licenza edilizia, in ordine a cui nessuna valutazione è stata effettuata dai giudici d’appello; ovviamente, per il riconoscimento del requisito della ruralità ai predetti immobili per l’anno 1994, occorre altresì che ricorrano gli ulteriori elementi (previsti nelle lettere da a) a d) del cit. art. 9), sui quali la Commissione Regionale, nel ritenere complessivamente inapplicabile alla fattispecie il menzionato art. 9, non si è soffermata. Cassata pertanto "in parte qua" la sentenza impugnata, in parziale accoglimento del ricorso, gli atti dovranno essere rimessi ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, la quale procederà, per quanto attiene l’imponibilità à fini ICI per il 1994, ad un nuovo esame delle caratteristiche degli immobili, in relazione alla loro titolarità, secondo le indicazioni di cui all’art. 9 n. 3 lett. a) del D.Lg. 557/93, e alla strumentalità della loro funzione rispetto all’attività propria del soggetto titolare del diritto sugli stessi(art. 9 lett. b), nonchè al controllo della estensione del terreni (non inferiore ai 10.000 mq.) su cui i fabbricati insistono (art. 9 n. 3 c) e al calcolo del volume di affari del soggetto che in tal modo utilizza il fondo (art. 9 lett. d), dando conto di tale verifica con adeguata motivazione, e provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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