Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-10-2011) 15-11-2011, n. 42033 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto in data 5.03.2010 il G.i.p. presso il Tribunale di Vibo Valentia disponeva il sequestro preventivo del fabbricato in corso di costruzione da adibire a centro commerciale, catastalmente identificato al foglio 8, parti 1, 2, e 45, del Comune di Pizzo, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), che si ascrive a L.C., M.B., R. A., S.E. e S.F..

Rilevava il G.i.p. che, a seguito del rilascio da parte del Comune di Pizzo dell’originario permesso di costruire n. 191 del 2002 e del successivo permesso in variante n. 220 del 2002, erano state effettuate dalla Plumeria s.r.l. – sulla base di una semplice DIA – opere di sbancamento e livellamento del terreno su cui insiste il fabbricato in sequestro, tali da determinare una trasformazione urbanistica bisognevole del controllo preventivo del Comune. Analoghe considerazioni erano state svolte dal G.i.p. in ordine agli interventi edilizi effettuati a seguito della presentazione da parte della Plumeria s.r.l. al Comune di Pizzo della DIA in data 25.3.2009. 1.1 Il Tribunale di Vibo Valentia, con ordinanza in data 15.04.2010 accoglieva l’istanza di riesame presentata dalla difesa ed annullava il decreto di sequestro preventivo del 5.3.2010, ritenendo assente il requisito del fumus commissi delicti.

1.2 La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza in data 27.10.2010, in accoglimento del ricorso proposto dal pubblico ministero, annullava con rinvio la richiamata ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia.

1.3 Il Tribunale di Vibo Valentia, con ordinanza in data 4.02.2011, effettuata una nuova valutazione del requisito del fumus in relazione alla concreta procedura amministrativa seguita, confermava il decreto di sequestro preventivo impugnato.

2. Avverso la richiamata ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia hanno proposto ricorso per cassazione L.C., M. B., R.A., S.E. e S. F. a mezzo del difensore; con unico motivo di gravame gli esponenti deducono il vizio motivazionale risultante dal testo del provvedimento impugnato. Osservano gli esponenti che la Suprema Corte, con sentenza del 27.10.2010, in parziale accoglimento del ricorso del pubblico ministero, aveva disposto l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame del 15.04.2010, con rinvio al medesimo Tribunale per accertare: se le modifiche apportate al progetto assentito avessero comportato – quanto alla parte seminterrata ed alla rampa – una modifica strutturale ed estetica tale da imporre il preventivo assenso dell’ente territoriale; e se le modifiche apportate al tetto dell’edificio avessero comportato una variazione della sagoma rilevante rispetto a quanto indicato nel progetto iniziale.

Rilevano gli esponenti che nel giudizio di rinvio il Tribunale avrebbe dovuto verificare, in concreto, se le modifiche al progetto originario erano di natura strutturale ed estetica e di consistenza tale da richiedere il preventivo assenso dell’ente territoriale.

Considerano, al riguardo, che il Tribunale del Riesame ha ritenuto ininfluente l’eliminazione del piano interrato sul computo dei volumi complessivi; osservano che gli atti inibitori adottati dal Comune di Pizzo erano stati annullati dal TAR Calabria; e rilevano che il Tribunale del Riesame ha pure omesso di chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente il fumus in relazione alle rampe esterne di collegamento, opere che si limitano a dare una sistemazione all’area esterna.

I ricorrenti assumono che la decisione oggi impugnata si ponga in contrasto con l’originaria ordinanza adottata dal Tribunale del Riesame e ciò con specifico riguardo a parti della decisione coperte da giudicato. Gli esponenti osservano che la Suprema Corte, nella sentenza di annullamento, ha rilevato che in presenza di un piano attuativo che definisca gli standard nei termini propri di un piano di lottizzazione, i privati possono procedere con denuncia di inizio attività. Nel ricorso si osserva che la Plumeria ha chiesto al Comune di Pizzo il rilascio del permesso a costruire in variante e che l’amministrazione ha omesso di adottare ogni ulteriore provvedimento.

I ricorrenti denunciano, quindi, il difetto totale di motivazione dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, difetto che si sostanzia in una violazione di legge.

Gli esponenti ritengono insussistenti le esigenze cautelari, osservando che la Procura procedente ha calcolato erroneamente la quota del terreno sul quale sorge il fabbricato in oggetto, sulla base di dati risalenti al 1957; che l’abbassamento del livello del terreno risale in realtà al 1970; e che la Plumeria si è limitata ad effettuare opere di pulizia e livellamento del terreno. Osservano che la rottura della diga è evento di natura eccezionale, tanto che il Piano di Assetto Idrogeologico della Regione Calabria non ha ricompreso l’area di sommersione all’interno della zona di rischio idraulico; e rilevano che proprio detto elemento era stato valorizzato dal G.i.p. in ordine ai periculum – sommersione di un fabbricato da adibirsi a centro commerciale – laddove il Tribunale ha introdotto un ulteriore profilo di pericolo dato dalla definitività della lesione al bene giuridico tutelato, assente nella valutazione del G.i.p.

Motivi della decisione

3. I ricorsi sono infondati, per le ragioni di seguito esposte.

3.1. Giova primieramente rilevare che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito che in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7472 del 21/01/2009, Rv. 242916).

Nel caso di specie, di converso, il ricorso che occupa involge in realtà il tema della conferenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, tanto da porsi ai limiti della inammissibilità.

E’ poi appena il caso di rilevare che, se è vero che In sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice sono preclusi sia l’accertamento del merito dell’azione penale sia il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, è pure vero che il giudice deve operare un attento controllo sulla base fattuale del singolo caso concreto, secondo il parametro del fumus (così Cass., Sez. 1, 11 maggio 2007 n. 21736, Citarella, Rv. 236474, che richiama Corte Costituzionale, ord. n. 153 del 2007), tenendo conto (Cass., Sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 10979, Veronese, Rv.

236193) delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti. Per l’applicazione delle misure cautelari reali è sufficiente e necessaria, cioè, la sussistenza del fumus commissi delieti, ovvero una verifica delle risultanze processuali che consenta di ricondurre alla figura astratta del reato contestato la fattispecie concreta e renda plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato (Cass. Sez. 1, sentenza n. 1415 del 16.12.2003, dep. 20.01.2004, Rv.

226640).

3.2 Orbene, a tali coordinate interpretative sembra essersi attenuto il Tribunale di Vibo Valentia, nella fase rescissoria del giudizio, in osservanza dei principi di diritto affermati da questa Suprema Corte, con la richiamata sentenza in data 27.10.2010. La Corte regolatrice, infatti, ha chiarito che il permesso di costruire è necessario in caso di varianti in corso d’opera che comportino modifiche volumetriche tanto in aumento quanto in diminuzione; e che tali varianti non risultano assentibili in base a mera denuncia di inizio attività, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 2.

Il Collegio ha rilevato che la Plumeria s.r.l., dopo avere stipulato la convenzione per il piano di lottizzazione dell’8.04.2000 e dopo che era intervenuta l’autorizzazione alla esecuzione delle opere di urbanizzazione, aveva elaborato un progetto per la realizzazione del fabbricato di che trattasi e che il Sindaco del Comune di Pizzo aveva quindi rilasciato in data 5.7.2002 concessione edilizia ed in data 22.11.2002 variante planimetrica del fabbricato (concessione n. 220/2002).

Ciò premesso, il Tribunale ha rilevato che rispetto al progetto originariamente assentito erano state apportate delle varianti, consistenti:

– nella eliminazione del piano interrato e della relativa rampa di collegamento;

– nella realizzazione di una rampa carrabile dall’esterno (DIA n. 17524 del 2005);

– nella modifica del tetto dell’immobile, mediante l’apposizione di una struttura a doppia falda in luogo della originaria copertura di forma circolare (DIA n. 7088 del 2009).

Sulla scorta di tali rilievi, il Tribunale di Vibo Valentia ha considerato che detti interventi edilizi, realizzati in variante rispetto al progetto assentito con la concessione n. 220/2002 – fatta salva la necessità di approfondimenti in sede dibattimentale sulla incidenza della intervenuta eliminazione del piano interrato – rappresentavano modifiche idonee ad alterare la sagoma dell’edificio e necessitavano di un previo rilascio del permesso a costruire.

Oltre a ciò, il Tribunale del Riesame ha considerato che la mancata adozione da parte della amministrazione comunale di provvedimenti inibitori nel termine di trenta giorni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, comma 6, non equivaleva ad autorizzazione implicita degli interventi edilizi; ha sottolineato che il T.A.R. competente aveva annullato il provvedimento inibitorio alla prosecuzione dei lavori emesso dal Comune di Pizzo, in ragione della tardi vita e per il difetto di motivazione dell’atto impugnato; ed ha osservato che il medesimo Tribunale amministrativo non aveva espresso valutazioni di merito sulla necessità, o meno, che gli interventi edilizi di cui si tratta necessitassero di un permesso a costruire.

Il Collegio ha rilevato, quindi, che occorreva effettuare una valutazione sulla incidenza delle varianti rispetto ai parametri urbanistici, ai sensi dell’art. 22, comma 2, e che non trovava nel caso applicazione il peculiare iter amministrativo di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3.

Al riguardo, ha considerato che difettavano le condizioni di applicabilità della richiamata procedura di cui al cit. D.P.R., art. 22, comma 3; ciò in quanto il piano attuativo era stato approvato prima della entrata in vigore della L. n. 443 del 2001 e tenuto conto del fatto che il progetto originario non risultava accompagnato da apposita relazione tecnica. Il Tribunale ha pure rilevato che il Comune di Pizzo aveva esplidtato alla Plumeria s.r.l. con nota del 25.01.2006, la necessità di ottenere un permesso a costruire, anche per la realizzazione delle opere di cui alla DIA n. 17524 del 2005.

In tali termini, il Collegio ha apprezzato, secondo un conferente percorso logico argomentativo, la sussistenza del fumus, rispetto al reato in iscrizione.

Sul piano cautelare, il Tribunale ha osservato di condividere le osservazioni espresse dal G.i.p., il quale aveva evidenziato profili di pericolo potenziale in relazione alla ipotesi di esondazione della diga di (OMISSIS); ed ha, altresì, rilevato che la libera disponibilità dell’immobile, tuttora in corso di costruzione, avrebbe potuto concretamente aggravare le conseguenze del reato, determinando una lesione definitiva del bene giuridico tutelato.

4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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