Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-05-2012, n. 8118 Imposta regionale sulle attivita’ produttive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 155/3/09, depositata il 13.11.09, la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Potenza avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dall’ingegnere C.D.E. avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRAP, versata per gli anni di imposta 2001-2003. 2. La CTR, invero, sebbene con riferimento espresso alla sola annualità 2001, riteneva insussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, costituente il presupposto per l’applicabilità dell’imposta in questione.

3. Per la cassazione della sentenza n. 155/3/09 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. 1.1. Rileva, invero, l’amministrazione finanziaria che il giudice di seconde cure avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame, proposto dall’Ufficio, relativo alla presentazione, da parte del contribuente, dell’istanza per la definizione agevolata della controversia, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 7, per gli anni dal 1997 al 2002.

Siffatta omissione di pronuncia concreterebbe, pertanto, una palese violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., secondo cui il giudice deve pronunciare su tutta la domanda proposta; omissione tanto più grave in quanto, a parere della ricorrente, tale domanda avrebbe dovuto trovare pieno accoglimento da parte della CTR, tenuto conto del fatto che, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità, la presentazione del condono è ostativa alla prosecuzione del giudizio.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Osserva, invero, la Corte che con l’atto di appello – debitamente trascritto nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza – era stata evidenziata dall’Agenzia delle Entrate, "per la prima volta", non essendo stata la questione sollevata in prime cure, l’avvenuta adesione del contribuente al condono, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 7, per gli anni dal 1997 al 2002.

Per il che, in relazione alle annualità di imposta 2001 e 2002 – pure ricomprese nella domanda di rimborso proposta dal C., ed in ordine alla quale si era formato il silenzio rifiuto impugnato dal contribuente – era da ritenersi si fosse verificata, a parere dell’amministrazione finanziaria, la cristallizzazione del debito IRAP, liquidato con le dichiarazioni presentate per le suddette annualità. Con la conseguenza che non avrebbe potuto la CTR – pur riferendosi, incomprensibilmente, alla sola annualità 2001 – confermare in toto la sentenza di prime cure, che – a sua volta – aveva ritenuto di accogliere la domanda di rimborso dell’IRAP, avanzata dal C. per tutte e tre gli anni di imposta 2001, 2002 e 2003. 1.2.2. Ciò posto, osserva anzitutto la Corte che la domanda relativa all’istanza di condono, presentata dal contribuente, deve ritenersi del tutto legittimamente proposta, per la prima volta, dall’amministrazione finanziaria nel giudizio di appello.

Va osservato, invero, al riguardo, che – con riferimento alla definizione automatica delle liti fiscali pendenti, ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 7 e 9 – la chiusura della lite, conseguente al pagamento di una soma correlata al valore della causa, produce un effetto estintivo del giudizio, che opera anche in relazione alle domande giudiziali riguardanti – come nel caso concreto – le richieste di rimborso dell’imposta (nella specie, IRAP). E tuttavia, va rilevato in proposito che – se è vero che, in tale evenienza, la definizione della causa provoca, come uriflesso processuale" l’estinzione del giudizio – è, del pari, indubitabile che siffatta definizione non si esaurisca in un evento del processo. Essa configura, infatti, una vicenda più complessa che elide in radice la pretesa impositiva unitamente all’impugnazione del contribuente, nel concorso di condizioni ed adempimenti prestabiliti dalla legge (cfr.

Cass. 15995/00, 6216/06).

Il contrasto tra le parti in ordine al verificarsi di tali condizioni e di quegli adempimenti, viene a tradursi, dunque, in un dibattito sulla cessazione della materia del contendere, che impone al giudice il rilievo di ufficio della relativa questione in qualsiasi grado del giudizio. Ed invero, l’intervenuta proposizione dell’istanza di condono si traduce in una questione officiosa di ordine pubblico, poichè essa è originata dall’elisione della pretesa impositiva dell’Erario, in una al diritto del contribuente di opporsi alla stessa, impugnando il relativo atto impositivo (Cass. 25329/07, 17142/08).

Ne discende che tale questione deve essere rilevata d’ufficio dal giudice prima di ogni altra, atteso che la sussistenza e la regolarità di eventuali istanze di condono presentate dal contribuente, determinando la cessazione della materia del contendere mediante definizione transattiva della lite, rende del tutto superfluo l’esame del merito della controversia (Cass. 25239/07, 14007/07).

L’insorgenza della succitata fattispecie estintiva della pretesa fiscale per intervenuto condono, può essere, inoltre, rilevata d’ufficio in qualsiasi grado del processo, ed anche nel giudizio di legittimità (cfr., in generale, sul rilievo officioso di tale questione in cassazione, essendo possibile la produzione di documenti relativi alla cessazione della materia del contendere ex art. 372 c.p.c., concernendo gli stessi l’ammissibilità del ricorso, Cass. 14657/09, Cass.S.U. 14385/07, Cass.S.U. 18047/10, Cass. 5112/11). E ciò, in quanto la cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione – in tale figura va certamente inquadrata la definizione automatica della lite per condono (Cass. 3682/07) – non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio ed è, pertanto, sempre rilevabile d’ufficio dal giudice, non essendo soggetta alle preclusioni previste per siffatto tipo di eccezioni (cfr. Cass. 4883/06).

1.2.3. Tutto ciò premesso in ordine ala legittimità della proposizione in appello della questione relativa alla presentazione della domanda di condono da parte del contribuente, va osservato in proposito che – secondo l’insegnamento di questa Corte – l’esercizio della facoltà di ottenere la chiusura delle liti fiscali pendenti, pagando una somma correlata al valore della causa, ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 7 e 9, produce un effetto estintivo del giudizio, che opera – come dianzi detto – anche in relazione alle domande giudiziali riguardanti le richieste di rimborso d’imposta (nella specie, IRAP). Ed invero, il condono, in quanto volto a definire in via transattiva la controversia, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro, ovverosia coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo, se del caso, il rimborso delle somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria (Cass. 3682,/0725239/07, 17142/08).

Da quanto suesposto consegue, dunque, che – in accoglimento del primo motivo di ricorso – l’esame della controversia non può che essere limitato alla sola annualità di imposta 2003, non ricompresa nell’istanza di condono proposta dal contribuente, e per la quale, pertanto, non si è verificato il suindicato effetto estintivo della controversia, conseguente alla sua definizione transattiva.

2. A tal fine va rilevato, pertanto, che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 2.1. L’impugnata sentenza, infatti, – dopo avere inspiegabilmente parlato in motivazione della alla sola annualità 2001 – si sarebbe limitata, per le altre due annualità (2002 e 2003), a fare un generico e laconico riferimento al fatto che il contribuente avrebbe svolto la sua attività di ingegnere, "senza alcuna autonoma organizzazione, ovverosia senza investimenti di capitale e senza dipendenti". 2.2. Il ricorso, per quanto attiene – come detto – al solo anno 2003, si palesa manifestamente fondato.

2.2.1. Va rilevato, infatti, che l’attività libero-professionale – svolta, nella specie, dal C. – è esclusa dall’applicazione dell’IRAP solo quando si tratti di attività non autonomamente organizzata. Tale organizzazione sussiste quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’"id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce, in ogni caso, onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. S.U. 12111/09, Cass. 21122/10, 21123/10, 26161/11).

2.2.2. Ebbene, nel caso concreto, non risulta in alcun modo, dall’esame della sentenza impugnata, che tale onere della prova sia stato adempiuto dal contribuente, atteso il carattere del tutto apodittico delle affermazioni, circa l’inesistenza di un’organizzazione della quale possa essersi avvalso il C., contenuta nella, più che stringata, motivazione della decisione di appello. Per cui, per tutte le ragioni esposte, il motivo di ricorso in esame deve, del pari essere accolto.

3. L’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente;

condanna il resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito;

dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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