Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-10-2011) 15-11-2011, n. 42016 Responsabilità del medico e dell’esercente professioni sanitarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Catania, con sentenza in data 19.03.2009 dichiarava O.R. colpevole del reato di lesioni colpose commesso nell’esercizio delle sue funzioni di medico chirurgo, in danno del paziente R.G., in data 5.12.2002 e lo condannava alla pena di Euro 200,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

La Corte di Appello di Catania con sentenza in data 7 ottobre 2010 confermava la sentenza di primo grado. La Corte territoriale evidenziava che all’imputato non si contesta di avere errato – nella qualità di medico chirurgo presso la divisione di Ortopedia dell’Ospedale di (OMISSIS) – nella esecuzione dell’intervento chirurgico di riduzione della frattura spiroide terzo medio prossimale diafisario omero sinistro al quale è stato sottoposto il paziente R.G., bensì di non avere valutato correttamente le conseguenze negative derivanti dal predetto intervento, rese palesi dall’esame radiografico eseguito in data 5.12.2002; e di non avere posto in essere quanto necessario per elidere dette conseguenze, informando il paziente e programmando una successiva revisione chirurgica, revisione che ove eseguita nelle immediatezze del riscontro negativo di cui sopra, avrebbe determinato una guarigione in tempi più brevi rispetto a quanto poi avvenuto a causa dell’operazione alla quale il paziente ebbe a sottoporsi nell’Ospedale di (OMISSIS).

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione O.R., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo la parte deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in relazione alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato rispetto al delitto di cui all’art. 590 cod. pen. L’esponente rileva che R.G. ebbe a recarsi al Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS) in data (OMISSIS) a causa di una accidentale caduta; e che in data 4.12.2002 i sanitari della divisione di Ortopedia, previo consenso del paziente, procedettero a riduzione della frattura, stabilizzazione con chiodo di Rush e posizionamento dell’arto in Gillchrist. Il ricorrente considera che la scelta terapeutica venne effettuata dal primario del reparto – persona diversa dall’ O. – e che l’intervento venne eseguito dall’equipe formata dal dott. O. e dal dott. P..

L’esponente rileva che nella relazione di dimissione del paziente, del (OMISSIS), era stabilito il rientro in ospedale per medicazioni il giorno (OMISSIS) ed un controllo radiografico per il giorno 2.01.2003; e che il paziente decise, invece, di recarsi presso l’Azienda (OMISSIS), ove in data 20.12.2002 venne sottoposto ad intervento chirurgico di rimozione del chiodo di Rush, riduzione della frattura ed ostiosintesi metallica con due chiodi di Nancy e cerchiaggio metallico con bendaggio in adduzione. La parte rilevava che la scelta terapeutica effettuata dal primario dell’Ospedale di (OMISSIS) si giustificava in ragione della non più giovane età del paziente e che i sanitari di (OMISSIS) ebbero ad effettuare una diversa opzione chirugica.

Tanto premesso, il ricorrente assume che la motivazione della sentenza impugnata, laddove individua un obbligo informativo a carico del medico dopo l’effettuazione dell’intervento chirurgico, postula due circostanze di fatto non rispondenti al vero: – che il primo intervento chirurgico abbia avuto esito negativo; – che la condotta dell’imputato abbia determinato un allungamento della durata della malattia.

Con riguardo alla prima evenienza la parte ribadisce che fu il paziente ad interrompere il processo di calcificazione, seguendo un nuovo percorso chirugico-terapeutico; in relazione alla seconda circostanza, osserva il deducente che gli stessi periti non hanno smentito il dato riportato dalla difesa, in base al quale il normale decorso post-operatorio conduce a guarigione in almeno novanta giorni, limite non superato nel caso di specie.

Assume, inoltre, la parte che la Corte di Appello abbia omesso di motivare in ordine alle ragioni idonee ad escludere che la mancata formazione del callo ripartivo sia in realtà da addebitare ai medici dell’ospedale di (OMISSIS).

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna. La parte ritiene che la Corte di Appello erroneamente abbia fatto riferimento all’atteggiamento processuale dell’imputato.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge ed il difetto di motivazione, con riferimento al pronunciamento relativo alla generica condanna dell’imputato al risarcimento del danno subito dalla costituita parte civile. L’esponente rileva che se del caso fu la scelta del paziente di sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico a determinare l’allungamento della malattia; e considera che la parte civile non ha comunque patito alcun prolungamento della malattia.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

3.1 Con il primo motivo di ricorso la parte si limita a prospettare una valutazione alternativa del compendio probatorio censito dai giudici di merito. Giova, al riguardo, sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità, nelle sue varie e concrete espressioni – contraddittorietà, illogicità, etc. – deve risultare dal testo della decisione impugnata deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali;

con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verifica re l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272). Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, dopo aver già in passato precisato che "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. Sez. 4, sentenza n. 32911 In data 11.05.2004, dep. 29.07.2004, Rv. 229268).

Del resto, nel caso di specie, la Corte di Appello ha considerato che l’imputato dimise il paziente, rinviandolo ad un controllo da eseguirsi a distanza di undici giorni, omettendo di comunicare alla parte offesa la mancata riuscita dell’intervento – per la presenza di monconi accavallati – e di prospettare la possibilità di effettuare un nuovo intervento. A fronte di ciò, la Corte territoriale ha del tutto conferentemente considerato destituita di fondamento la tesi difensiva, in base alla quale deve ascriversi al paziente medesimo il fatto di avere reso impossibile all’odierno imputato di porre in essere un intervento riparatorio, atteso che il R. non si attenne alle prescrizioni impostegli all’atto delle dimissioni e si rivolse ad un diverso ospedale. Sul punto il Collegio ha sottolineato che R., pochi giorni dopo le dimissioni, accusando forti dolori, ebbe a recarsi per due volte presso l’Ospedale di (OMISSIS); e che in occasione del secondo accesso l’imputato visitò il paziente ed ancora una volta omise di riferire alla persona offesa la non perfetta riuscita dell’intervento e consiglio al R. di effettuare un ulteriore esame radiografico presso uno studio privato.

La Corte di Appello ha rilevato, inoltre, che per il giorno 17 dicembre, data in cui era stato programmato il controllo del paziente, non era stata prevista l’effettuazione di un nuovo esame radiografico.

La Corte territoriale ha, quindi, osservato che la condotta dell’imputato risultava caratterizzata da macroscopica negligenza sotto un duplice alternativo profilo: – per non avere esaminato la radiografia del 5 dicembre 2002, dalla quale emergeva il cattivo esito dell’intervento e conseguentemente per non avere notiziato di ciò il paziente; – per non avere comunque avvertito il paziente del fatto che si rendeva necessario un nuovo intervento, pure avendo piena consapevolezza di tale evenienza. A questo riguardo, deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che grava sul medico il preciso dovere di informare il paziente in ordine alle possibili complicanze derivanti dall’atto operatorio (vedi Cass. Sezione 4, sentenza n. 31968 del 19.05.2009, dep. 5.08.2009, Rv. 245313).

La Corte di Appello di Catania ha, poi, rilevato che dalla espletata perizia collegiale risulta che le angolazioni dei monconi erano presenti prima dell’avvio dei processi di consolidazione e che tale evenienza avrebbe precluso, con ragionevole probabilità di certezza, che la frattura andasse incontro a normale processo di consolidazione; ed ha evidenziato che la condotta dell’imputato – che aveva omesso di informare il paziente circa l’esito inaccettabile dell’intervento operatorio – era da individuare quale causa dell’evento dannoso, consistito nel prolungamento della malattia.

3.2 Il secondo motivo è del pari inammissibile; ed invero, in relazione alla richiesta di concessione della non menzione della sentenza di condanna, la Corte territoriale ha osservato che il comportamento processuale tenuto dall’imputato giustificava il diniego del beneficio, con ciò adempiendo al relativo obbligo motivazionale, secondo un apprezzamento non censurabile in sede di legittimità. 3.3 Il terzo motivo è inammissibile; al riguardo, deve rilevarsi che la violazione di legge afferente alla intervenuta condanna generica al risarcimento dei danni, oggi prospettata dal ricorrente, non venne proposta con l’atto di appello, di talchè la stessa risulta inammissibile, ai sensi e per gli effetti dell’art. 606 c.p.p., comma 3, (in termini, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 40240 del 22/11/2006, dep. 06/12/2006, Rv. 235504).

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00, in favore della Cassa delle Ammende. Il ricorrente viene, inoltre, condannato al pagamento delle spese sostenute dalla costituta parte civile per questo giudizio di cassazione, liquidate come a dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese cW processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese in favore dalla parte civile e liquida le stesse in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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