Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-05-2012, n. 8111

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 120/07/09, depositata il 5.10.09, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari (OMISSIS) avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto da N.R. avverso il diniego di condono, per omessi e ritardati versamenti dell’IVA e del IRPEF, per gli anni di imposta 2000 e 2001.

2. La CTR, riteneva, invero, che il mancato pagamento delle rate successive alla prima, dell’importo necessario per la definizione della lite, non comportasse l’inefficacia dell’istanza di definizione proposta dalla contribuente.

3. Per la cassazione della sentenza della n. 120/07/09 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando un unico motivo.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1. La CTR avrebbe, invero, errato nel ritenere che il tempestivo pagamento della prima rata del condono, richiesto dal contribuente ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, fosse sufficiente ad evitare la decadenza dal beneficio medesimo.

Il mancato pagamento di tutte le rate nei termini di legge (in caso di opzione del contribuente per il versamento rateizzato), costituendo la condicio sine qua non per l’accesso al beneficio condonale L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis, stante la natura clemenziale del medesimo, non potrebbe, infatti, non determinare – a parere dell’Agenzia delle Entrate – la decadenza del contribuente dal beneficio, con conseguente applicazione in misura integrale delle sanzioni dovute, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

2. Il ricorso si palesa manifestamente fondato, benchè debba operarsi una distinzione, al riguardo, tra le due imposte in contestazione, ossia l’IVA e l’IRPEF. 2.1. Per quanto concerne la prima, va osservato, infatti, che – in tema di condono fiscale, limitatamente all’IVA -le misure clemenziali che comportano una rinuncia definitiva dell’amministrazione alla riscossione di un credito già accertato contrastano con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, in data 17.5.77, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17.7.08, in causa C- 132/06. Secondo tale decisione, invero, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della predetta sesta direttiva del Consiglio, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di IVA, per avere previsto, con la L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, una rinuncia generale ed indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto.

2.2. Ebbene – come questa Corte ha già avuto modo di precisare – deve ritenersi che detta pronuncia abbia una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale (a carattere sia legislativo che amministrativo), con la quale lo Stato membro rinunci in via generale, o in modo indiscriminato, all’accertamento e/o alla riscossione di tutto o parte dell’imposta dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario (cfr. Cass. 20068/09, Cass. S.U. 3674/10).

Ne discende che va disapplicato, per contrasto con il menzionato diritto comunitario cogente, sebbene con riferimento alla sola IVA, la L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, che, consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comporta una rinuncia definitiva alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale (cfr. Cass. 19546/11).

Nè può dubitarsi del fatto che la disapplicazione del diritto nazionale confliggente con le norme del diritto comunitario cogente debba essere operata, pure d’ufficio, anche nel presente giudizio di legittimità, onde assicurare la piena applicazione delle norme comunitarie aventi un rango preminente rispetto a quelle del singoli Stati membri. A tanto induce, invero, il principio di effettività, enunciato nell’art. 10 del Trattato CE, che comporta l’obbligo per il giudice nazionale di applicare il diritto comunitario in qualsiasi stato e grado del processo, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o – nella specie – il carattere chiuso del giudizio di cassazione (Cass.S.U. 26948/06, Cass. 19546/11).

2.3. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, vertendosi, nel caso concreto, in ipotesi di omesso pagamento dell’IVA per gli anni 2000 e 2001, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere accolto, in relazione all’imposta in parola, dovendo essere disapplicata la disposizione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, sulla quale il contribuente ha fondato il proprio diritto all’estinzione della pretesa fiscale azionata nei suoi confronti.

3. Ma il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve ritenersi fondato, questa volta nel merito, anche per quanto concerne l’IRPEF. 3.1. Va osservato, infatti, che il condono previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, relativo alla possibilità di definire gli omessi o tardivi versamenti fiscali dovuti, mediante il pagamento – in unica soluzione o in modo rateale – di somme determinate per legge, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale, come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 15 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario.

Nella fattispecie di cui all’art. 9 bis, per contro, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, in ordine alla determinazione del quantum, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata dal contribuente, in forza della medesima disposizione, il condono è condizionato dall’intero pagamento di quanto dovuto, non essendo sufficiente il pagamento tempestivo della sola prima rata ad escludere la decadenza del contribuente dal beneficio condonale ivi previsto (Cass. 20745/10).

3.2. A tal riguardo, deve – per vero – altresì soggiungersi che, in assenza di disposizioni quali quelle di cui alla L. n. 289 del 2002, artt. 8, 9, 15 e 16 – che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza adempimento integrale, insuscettibili di applicazione analogica, poichè connesse a norme di tipo eccezionale – nell’ipotesi prevista dall’art. 9 bis della stessa legge, la non applicazione delle sanzioni, per le imposte diverse dall’IVA, si verifica solo se si provvede all’integrale pagamento delle imposte stesse nei modi e nei termini di cui alla disposizione summenzionata.

Ne discende che, nel caso di omesso o non integrale pagamento, l’istanza di definizione diviene inefficace e si verifica la perdita della possibilità di avvelarsi della definizione anticipata (cfr.

Cass. 19546/11).

Per tali ragioni, pertanto, il motivo di ricorso in esame va accolto anche in relazione al diniego di condono inerente all’IRPEF non versata negli anni in contestazione.

4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

5. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico dell’intimato soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente;

condanna l’intimato al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;

dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2012
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